Zibaldone di Sanremo: più Fogli o più Viaggi?

di GIGI SPINA*

Dice: “Ma tu sei mai stato a Sanremo?”. “Certo! O intendevi a cantare?”.

Dialogo possibile. In ogni caso, ottimo come inizio.

Perché io a Sanremo ci sono stato. Dal 26 al 28 aprile 1964, pochi mesi prima della licenza liceale. Non a cantare, peccato. Partecipai a un Certamen nazionale di Latino, come facevano tutti quelli che sarebbero poi diventati professori. Infatti, non lo vincevano. Sicuramente l’avrà vinto uno che poi avrà fatto l’ingegnere o il medico. E magari oggi legge foglieviaggi.

 Ecco dove volevo arrivare, a lanciare il tormentone dell’anno:

MA TU, RISPETTO A SANREMO, VORRESTI PIÙ FOGLI O PIÙ VIAGGI?

Qualsiasi cosa possa significare, provo a organizzare una risposta sincera, perché oggi, che inizia il festival di Sanremo, si mentirà dicendo di non vederlo (“pensa, non ho neanche il televisore”), o dicendo di vederlo, da sempre; si avranno conati di vomito o si rivendicherà il dovere intellettuale di sentirsi presi dal festival; si commenterà, si rifiuterà, si giudicherà. Come ogni anno, ma sostenendo che questa volta è tutto nuovo: l’altro anno non c’era il covid – se è per questo, non c’era neanche foglieviaggi.

Insomma, il variegato mondo si rinnoverà nella continuità. 

L’unica novità sarà il tormentone, che ora ripropongo ripercorrendo la storia del festival e dei suoi vincitori, dal 1951 all’anno scorso. Reggetevi forte … si rimane fermi: e dove volevate andare?

Io ho contato  solo 8 Fogli e ben 42 Viaggi.

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(Sanremo 1964      foto di Gigi Spina)


Svolgimento.


Due Fogli per i fiori, anche se messi in ordine inverso: Simone Cristicchi nel 2007 prepara un bel foglio di presentazione del dono perché, dice: Ti regalerò una rosa. E Nilla Pizzi risponde in anticipo, nel 1951, appena inizia il Festival: Grazie dei fiori. I Fogli dei fiori tappezzano il palco di Sanremo, confondendosi col Messaggio d’amore dei Matia Bazar (2002), mentre Adriano Celentano e Claudia Mori cercano invano un foglio di assunzione, un contratto, sapendo bene che Chi non lavora non fa l’amore. Per fortuna, negli ultimi due anni, le banconote, i Fogli che contano, si fanno vedere: Soldi di Mahmood (2019), anche se Diodato, un po’ invidioso, lo critica: Fai rumore (2020). Il rumore, come il colore dei soldi, logora chi non ce li ha. Nel 1982 succede l’impensabile: Fogli, proprio Fogli, di nome Riccardo, vincono il festival; sono Fogli pieni di Storie di tutti i giorni. E poi, nel 1997, a marcare l’ibrido, la contaminazione che ormai segna la vita italiana, i Jalisse navigano su Fiumi di parole, un timido accenno di riconoscimento del viaggio, anche se fluviale, purché sia accompagnato da parole, meglio se ricopiate in bella scrittura su Fogli, Fogli e ancora Fogli. 

Troppo poco, però, per contrastare i Viaggi. Nilla Pizzi, non contenta dei fiori, affida alla colomba il primo, timido viaggio del festival, nel 1952: Vola colomba. Ovviamente Franca Raimondi è pronta alla bisogna, nel 1956: Aprite le finestre, altrimenti come fa a volare, la povera colomba rimasta prigioniera? Comincia il tripudio dei Viaggi fantastici: Nel blu dipinto di blu (Domenico Modugno, Johnny Dorelli, 1958), anche se Piove  (gli stessi, l’anno dopo), e quindi meglio Al di là (Betty Curtis, Luciano Tajoli, 1961), per vedere I giorni dell’arcobaleno (Nicola di Bari, 1972) o Tramonti a nord est (Luce, Elisa, 2001) e magari, trovandosi di passaggio, Una ragazza del Sud (Gilda, 1975). Ovviamente sono Viaggi che può fare solo L’uomo volante (Marco Masini, 2004), anche se Francesco Renga precisa che trattasi di Angelo (2005) e quindi Non è l’inferno (Emma, 2012). Povia, sempre originale, capisce il bello di questo modo di viaggiare e canta Vorrei avere il becco (2005). Non sappiamo se è per aver espresso questo desiderio che due anni dopo (2008) Giò Di Tonno e Lola Ponce gli augurano un Colpo di fulmine, magari proprio durante Il Volo, inteso come trio (2015, Il grande amore).

Come si vede, non c’è nessun/a cantante Viaggi: peccato!. Controvento, avverte a ogni buon conto Arisa (2014). Ma viaggiare nello spazio non basta, neanche per l’Occidentali’s Karma che insegue Francesco Gabbani (2017): bisogna viaggiare nel tempo, come avevano capito più di venti anni prima (1996) Ron e Tosca: Vorrei incontrarti fra cent’anni.

Nessuno più si accontenta di percorrere, viaggio breve, un Viale d’autunno (Carla Boni, Flo Sandon’s, 1953), magari solo per incontrare qualcuno/a e salutare mestamente: Buongiorno tristezza (Claudio Villa, Tullio Pane, 1955) …e dirsi ciao! (Matia Bazar, 1978), oppure, più intimamente, Ciao cara come stai? (Iva Zanicchi, 1974), se non, tragicamente: Addio … Addio (Domenico Modugno Claudio Villa, 1962).

Ma i Viaggi non sono sempre così felici, proiettati nel tempo e nello spazio. Certo, Si può dare di più (Gianni Morandi, Enrico Ruggeri, Fausto Tozzi, 1987): alle agenzie, alle compagnie aeree, ai benzinai, a Trenitalia o a Italo, ma non sempre la qualità corrisponde al prezzo.

Intanto bisogna fare i conti, almeno da giovani, con Tutte le mamme (Giorgio Consolini, Gino Latilla, 1954). Tu ti vorresti portare L’Essenziale (Marco Mengoni, 2013), ma loro, le mamme, Senza pietà (Anna Oxa 1999), Per tutte le volte che … (Valerio Scanu, 2010) apri un cassetto, hanno un elenco pronto: Uno per tutte (Tony Renis, Emilio Pericoli, 1963), per tutte le cose inutili che non userai mai. E tu stai Per dire di no (Alexia, 2003), ma un pensiero ti paralizza: Perdere l’amore! (Massimo Ranieri, 1988). E ti rassegni, non puoi perdere l’amore della mamma. E ti porti due o tre valigie, piene di cose che non userai mai.

I Viaggi iniziano, ma non sono finiti i dubbi e i problemi su partecipanti e itineriario: Solo noi (Toto Cutugno, 1980); Se stiamo insieme (Riccardo Cocciante, 1991); Portami a ballare (Luca Barbarossa, 1992); Adesso tu (Eros Ramazzotti, 1986); Ti lascerò (Anna Oxa, Fausto Leali, 1989); Senza te o con te (Annalisa Minetti, 1998); Passerà (Aleandro Baldi, 1994); Uomini soli (Pooh, 1990).

Ma allora, chi ce lo fa fare di viaggiare? Mistero (Enrico Ruggeri, 1993). 

Ma non si può sempre scherzare, perché io me lo ricordo il 1967, quando un giovane cantante con occhi di brace salì sul palco di Sanremo e, con una giovane cantante con occhi di brace, levò un inno (allora) incompreso ai Viaggi disperati della speranza. 

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(Dalida e Luigi Tenco)


La solita strada, bianca come il sale, il grano da crescere, i campi da arare. Guardare ogni giorno
se piove o c'è il sole, per saper se domani si vive o si muore; e un bel giorno dire basta e andare via.

Ciao amore, ciao amore, ciao amore ciao. Ciao amore, ciao amore, ciao amore ciao.

Andare via lontano a cercare un altro mondo, dire addio al cortile, andarsene sognando. E poi mille strade grigie come il fumo, in un mondo di luci sentirsi nessuno. Saltare cent'anni in un giorno solo, dai carri dei campi agli aerei nel cielo. E non capirci niente e aver voglia di tornare da te.

Ciao amore, ciao amore, ciao amore ciao. Ciao amore, ciao amore, ciao amore ciao.

Non saper fare niente in un mondo che sa tutto e non avere un soldo nemmeno per tornare.
Ciao amore, ciao amore, ciao amore ciao. Ciao amore, ciao amore, ciao amore ciao.


In memoria di Dalida e Luigi Tenco


*GIGI SPINA (Salerno, 1946, è stato professore di Filologia Classica alla università Federico II di Napoli. Pratica jazz e tennis. Gli piace pensare e scrivere, mescolando passato e presente)   


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