Tre donne, tre musei 1) Georgia O'Keeffe, l'arte come libertà

di MANUELA CASSARA'*

Premessa doverosa: non sono una critica d’arte, e se qualcuno alzerà un dotto sopracciglio su certe mie valutazioni soggettive, per le quali mi assumo la totale responsabilità di libera pensatrice, avrà molto probabilmente ragione. Ho messo insieme le storie di tre donne, Georgia O' Keeffe, Isabella Stewart-Gardner e lady Florence Philips; un’artista, una collezionista, una filantropa, perché ossessionate, in maniera diversa, dall’arte, accomunate, va sottolineato, da un notevole benessere sociale ed economico, anche se avrebbero potuto godersela, quella ricchezza, in altri modi. Spiriti liberi, intraprendenti, indipendenti, e per forza di cose ego riferite. Tre donne nate nell’Ottocento, che ci hanno lasciato, con le loro opere, dipinte, collezionate, trasmesse ai posteri, un perenne messaggio di bellezza.

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A Santa Fé una visita al suo Museo è una tappa obbligata, un omaggio dovuto. La mia conoscenza delle opere di Georgia O’Keeffe era limitata a quei suoi dipinti di fiori carnosi e sensuali, considerati troppo espliciti. Ed era proprio la diffusa interpretazione di quella, peraltro piccola, parte delle sue opere, a darle fastidio. Al punto di decidere di fare altro: di diventare dapprima più didascalica e meno evocativa nel dipingere ancora fiori, poi astratta e schematica nel rappresentare New York con le geometrie rigorose dei grattacieli, poi poetica e pittorica per raccontare quel suo New Mexico adottato e amato, poi ancora astratta e rarefatta nei suoi appunti di viaggio, spunti colti in volo, letteralmente, spesso dall'aereo.

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(Il museo)

Il museo mi ha svelato le sue tante anime, un rigore, un respiro poetico che non conoscevo. Georgia O'Keeffe nasce a Sun Praire, nel Wisconsin, un piccolo centro, seconda di sette figli. Mi hanno sorpreso, e ho subito amato, quegli incantevoli ritratti accennati a matita fatti alle sorelle, quel tratto fluido e facile e preciso; appena adolescente già disegnava con grazia incantevole. Poi gli acquarelli scolastici, realizzati all'Università della Virginia, accademici, architettonici, curati, troppo. Un manierismo al quale lei si ribella, presto, giovanissima. Nel 1917, poco più che ventenne, quando il suo viso è ancora morbido e tenero, incontra quello che poi diventerà il suo pigmalione e marito: Alfred Stieglitz, precursore della fotografia artistica, gallerista e artista famoso. Li dividono vent’anni, li uniscono l’amore per l’arte. E, sospetto, anche quello fisico.

Stieglitz, sedotto dai primi lavori di Georgia, li espone nella sua galleria. Quando subentra la passione, la documenta con una serie di nudi in bianco e nero, pagani, sensuali, che la mostrano senza veli, un’Afrodite dai seni pieni ed eretti, sfrontata ma casta. Quei ritratti, per Georgia, diventeranno delle stigmate che le rimarranno addosso e contribuiranno a rafforzare le critiche moraliste ai suoi dipinti, interpretati e giudicati solo in chiave erotica. Interpretazione che lei rifiuterà, detestandola, e che farà cambiare corso al suo percorso creativo. Io però, senza timore di peccare di pruderie, trovo, da profana non prevenuta, che in quei primi fiori ingigantiti, carnali e astratti, possa esserci lo zampino dell'inconscio. Sono erotici, insomma. A meno che la malizia non sia solo nell’occhio di chi guarda.

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(L'ingresso del ranch)

Qualche anno dopo, Alfred e Georgia si sposano. Era il 1924, ma già nel ‘29, dopo cinque anni, Georgia sceglie di lasciare New York per i grandi spazi del New Mexico; libertà, silenzio e spazio incontaminato saranno i nuovi amori della sua vita. Una scelta che sembra una fuga, che si spiega, a mio avviso, alla luce della corrispondenza con Stieglitz, pubblicata a vent'anni dalla sua morte. Circa 25.000 lettere: una frequenza che oggi potremmo definire da stalker, con Alfred che gliene mandava anche tre al giorno, alcune di quaranta pagine. Voleva convincerla a tornare da lui, ma si direbbe che abbia ottenuto l’effetto contrario. Georgia, infatti, finirà i suoi giorni in New Mexico, nel Ghost Ranch, il suo ranch fantasma a Abiquiù, nel nulla ma a pochi chilometri da Santa Fe. Un luogo isolato, assolato, selvaggio e, come lei, di una bellezza austera.

veduta dal Ghost Ranchjpg(Veduta dal Ghost ranch)

Abiterà sola, circondata da amici che, apprezzano e godono di quella luce limpida, di quell’orizzonte lontano e ininterrotto. Fotografi per lo più: Ansel Adams, Eliot Porter, Todd Web, che la ritraggono e  ce la fanno ricordare con quel bel viso asciutto, virilmente severo, vestita di nero, o con delle immacolate camicie inamidate, i capelli tirati, le sopracciglia folte, il sorriso appena accennato, lo sguardo attento, benevolo. Raffinatissima. Morirà a Santa Fe, nel 1986, quasi centenaria. Sono uscita da quel museo innamorata, sedotta, affascinata, emozionata. Con la voglia di dipingere.

*MANUELA CASSARA’ (Roma 1949, giornalista, ha lavorato unicamente nella moda, scrivendo per settimanali di settore e mensili femminili, per poi dedicarsi al marketing, alla comunicazione e all’ immagine per alcuni importanti marchi. Giramondo fin da ragazza, ama raccontare le sue impressioni e ricordi agli amici e sui social. Sposata con Giovanni Viviani, sui viaggi si sono trovati. Ma in verità  anche sul resto) 

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