La Tour d'argent e il regalo del maître

di ANTONIO SILVA*

Abbiamo messo su un gruppo di 5 buongustai, intenzionati a visitare i migliori ristoranti.

C’è il Lucini. Fa il meccanico nella sua officina Citroën. Ha le mani d’oro con le quali riesce a riparare qualunque cosa. Indispensabile per far fronte agli imprevisti.

Poi c’è il Viganò, detto Viga. Che fa il trumbé (l’idraulico, in italiano). Quando l’abbiamo conosciuto marciava a pastina e philadelphia.

Quindi arriva il Santolini. E’ architetto ma preferisce farsi chiamare geometra, anzi geometro, dai legnamee brianzoli per i quali costruisce villette a schiera.

Il Cappelletti è socio del Santolini. Nel senso che lui c’ha l’impresetta edile. Detto Il Grosso, per via della stazza.

Da ultimo io.

Quando ci si sposta in auto, ci si alterna alla guida. L’autista di turno beve solo il brut di aperitivo, e poi acqua. Perché ci teniamo alla ghirba. Io sono escluso dal turno, e si capisce perché. Però sono quello che organizza, pianifica, prenota alberghi e ristoranti e gestisce la cassa comune.

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Quella volta lì era uscito, su una rivista italiana, un articolo dal titolo “meglio che alla Tour d’Argent”, o qualcosa di simile. Titolo choc, perché la Tour – al di là del viavai delle stelle Michelin – resta il più rinomato ristorante di Francia, forse del mondo.

Nel citato articolo si elencavano una serie di ristoranti francesi, ognuno dei quali presentava un piatto, tra quelli che compaiono nel menu della Tour, realizzato – a dire degli articolisti – meglio che alla Tour.

La decisione è immediata. Se il punto di riferimento è la Tour d’Argent, ragazzi, noi andiamo alla Tour d’Argent.

Fisso tre camere (due da due e una per Il Grosso che russa da bestia) a un Ibis non troppo lontano dal Quai de la Tournelle, prenoto per cinque persone al ristorante e parte la zingarata. Una tre giorni a Parigi, con al centro la cena del secondo giorno alla Tour.

Che appena arrivi ti manca il fiato. Perché il ristorante è su al sesto piano e, per arrivarci, attraversi gli altri cinque che stanno tra il museo della ristorazione  e la storia del mondo. Poi entri nella sala ristorante e picchi per terra. Per dire: dalle pareti, tutte vetrate, lo sguardo spazia su Parigi e Notre Dame è di fronte a te. In quella sala hanno mangiato tutti i grandi della storia: da Enrico IV di Francia, che lì – nel 1500 e rotti – ha imparato dagli italiani a usare le forchette,  a Marylin Monroe.

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Ci accoglie, in doppio petto blu, il maître di sala che ci fa accomodare al nostro tavolo. Come tradizione, in Francia, alle signore si presentano copie del menu senza i prezzi delle portate. Quindi quello coi prezzi lo dà solo a me.

E me mi prende lo sciopone.

Sarà che ho sbagliato a leggere quando ho organizzato, sarà che la mia Guida Michelin aveva qualche annetto, sarà che nel fare i conti non ho fatto caso al “boissons non comprises”, insomma non c’abbiamo i soldi abbastanza per il menu con le specialità della casa. Cerco di non svenire e faccio capire al maître che devo confabulare con i miei soci. Spiego la faccenda e a nessuno di quei rimbambiti viene in mente che esistono le carte di credito. Macché. Per altro, passare a un menu dal prezzo inferiore non se ne parla neanche.

Torna il maître per prendere la comanda. Mi armo di faccia tosta e, col francese più brillante che riesco a sfoderare, gli faccio lo spiegone. Che noi siamo partiti da Milano per verificare quanto dice la rivista - che gli mostro e di cui riassumo l’articolo incriminato - ; che quindi non possiamo evitare le specialità che hanno reso la Tour famosa nel mondo: in particolare i foie gras (d’oca e di anatra) e l’anatra al sangue. Ma che non abbiamo soldi a sufficienza per il menu con le specialità di cui.

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Quello sbarra gli occhi, poi mi chiede sottovoce di quanto disponiamo, io gli dico che nella cassa comune abbiamo mille e cinquecento euro, cioè trecento euro a testa. Mi dice (in francese): un momento, devo parlare con una persona. E se ne va.

Torna dopo qualche minuto e ormai noi siamo pronti ad alzarci e andarcene con la nostra figura di sterch.

Quello torna e, con un sorriso radioso, proclama: vous aurez votre Tour d’Argent. Voi avrete la vostra Tour d’Argent, ordinate quel che volete.

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Addirittura i foie gras ce li serve lui, prendendone a cucchiaiate da una specie di zuppiera.

Poi arriva l’anatra al sangue, anzi – come recita il menu – le caneton à la presse: l’anatroccolo alla pressa.

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Che, da solo, è una leggenda. Perché viene preparato con uno speciale attrezzo, realizzato in argento, che di fatto è una pressa. Perché viene servito – uno a testa - in tre differenti portate: prima il petto, poi le cosce, poi altre parti molli condite con una salsa ricavata dal sangue e dal midollo osseo dell’anatroccolo. Perché, roba da far schiattare un vegetariano, ti danno la carta d’identità dell’anatroccolo. Cioè, ti portano un elegante bigliettino in cui ti dicono che l’anatroccolo che hai mangiato è nato il, è stato allevato nell’allevamento di, è stato nutrito con, ed è stato abbattuto il. E per fortuna te lo danno dopo, il biglietto. Se no, come fai a mangiare la creatura? “Mi la mangiavi istèss”, dice Il Grosso.

 

*ANTONIO SILVA (Ha insegnato storia e filosofia in diversi licei di Milano e provincia per quindici anni. Poi, per altri trenta, è stato Preside di licei classici e scientifici in Milano e provincia. Ha collaborato con diverse testate giornalistiche - La Repubblica, il Sole 24 ore - discutendo i problemi della scuola italiana. Con un nom de plume ha gestito la rubrica "Il Giudizio Universale” sul settimanale di resistenza umana "Cuore". Dal 1976 è lo "storico" presentatore della "Rassegna della canzone d'autore - Premio Tenco", che si svolge ogni anno a Sanremo)

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