LA RECENSIONE - Dostoevskij e l'eroe, solitudine e tabù

di MADDALENA TULANTI*

Dostoevskij per Giulia Gigante, studiosa che ha curato per Apollinea, la collana di testi e monografie di storia, filosofia e letteratura di Agorà & Co,  un’edizione celebrativa dello scrittore russo in occasione dei 200 anni dalla nascita, è “un eroe solitario”, come i protagonisti dei suoi più grandi romanzi. E come ha scelto di titolare l’intero suo lavoro. E’ vero che alla solitudine è dedicato solo il primo dei tre saggi di cui è composto il volume; ma è altrettanto vero che la “solitudine”, imbattibile, cosmica, eterna, che costringe sia i buoni sia i cattivi delle storie a scappare da se stessi, a desiderare di essere altri, a mimetizzarsi, permea l’intera opera del grande scrittore russo.


 


E’ questo il motivo per cui le storie di Dostoevskij non invecchiano mai, come scrive nell’introduzione Giulia Gigante. “Le sue parole risuonano ancor oggi più vive che mai” e “continueranno a farlo anche nei secoli a venire, perché la scrittura dostoevskiana coinvolge il lettore in maniera totalizzante, aprendo un dialogo con la mente, ma anche con il cuore e con l’anima”.

E tutto ciò accade perché “al centro dell’universo narrativo di Dostoevskij c’è sempre l’uomo, nella sua miseria e nel suo splendore, nella sua unicità e nella sua universalità. L’uomo con i suoi dubbi e le sue convinzioni, le piccolezze e le smisurate passioni, gli affanni e le idee grandiose, le paure e i raptus, i sogni a occhi aperti e quelli a occhi chiusi. L’uomo e tutta la gamma di interrogativi maledetti – di natura etica, esistenziale, religiosa, sociale, politica – a cui non è possibile trovare una risposta”.

L’uomo e la sua solitudine, appunto.  


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(Immagine da pixabay)


Il secondo saggio del libro affronta l’Idiota, il romanzo preferito di Dostoevskij, l’unico che egli diceva di avere amato scrivere. Che Giulia Gigante disegna come “un percorso narrativo di tipo onirico, una percezione del tempo e dello spazio che si apparenta a quella del sogno e riscontra nelle azioni e nei comportamenti dei personaggi del romanzo una logica altra che sfugge alle norme della ragione”.

Nel terzo saggio infine la studiosa analizza il modo in cui Dostoevskij “si sottrae alle convenzioni letterarie del suo tempo, ma sceglie di affrontare argomenti di cui normalmente non si parla, infrangendo una serie di tabù di natura etica, ma anche linguistica”.  

E’ proprio su queste ultime riflessioni che intendiamo soffermarci considerandole particolarmente interessanti per chi le ha lette: Dostoevskij come “trasgressore di frontiere letterarie”, come lo descrive Stefan Zweig,  e che, come scrive l’autrice,  “infrange via via una serie di tabù di diverso tipo e in particolare relativi a comportamenti devianti, che contravvengono a divieti di natura etica, come la seduzione di una bambina ne I demoni e il parricidio commesso o vagheggiato ne I fratelli Karamazov”. Tabù rotti non solo nei grandi capolavori, ma fin dai primi libri, Memorie del sottosuolo e la Padrona di casa, dove si  sospetta una relazione incestuosa. E’ una vera e propria rivoluzione dei costumi descritti fino ad allora nei romanzi. Ovviamente rivoluzione che egli aborre, che descrive solo per individuare in essa il male più grande, ma che comunque resta la protagonista assoluta delle sue storie. “Il divieto imposto dal senso comune – scrive Gigante – viene infranto sulla spinta dell’aspirazione a raggiungere la verità, per quanto disgustosa e squallida essa possa essere, una verità scomoda, difficilmente accettabile, che per la sua bruttezza lo scrittore assimila alla neve sporca, bagnata e torbida che cade nel giorno in cui avviene l’episodio rievocato”. E si sa, questa è la peggiore metafora che si possa immaginare per chi abbia vissuto  lo spazio e il tempo russo.

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(Dostoevskij e l'eroe solitario   di Giulia Gigante   - ed. Agorà&co  -   pagg. 92    euro 19)  

In conclusione – come acutamente fa notare Giulia Gigante – “ciò che sembra caratterizzare l’approccio dell’autore non solo è la scelta di non autoimporsi limitazioni e di non conformarsi alle convenzioni letterarie della sua epoca, e quindi di narrare situazioni scabrose, comportamenti devianti o comunque sgradevoli e socialmente non accettati, ma è anche il modo in cui decide di modulare la loro narrazione ed eventualmente di procedere alla loro detabuizzazione”.  E ciò che non si dice apertamente “viene velato, mascherato, evocato con allusioni più o meno enigmatiche, ciò la cui narrazione viene differita, talvolta, come nella Mite, fino al limite estremo. Un silenzio talvolta crudele, che, oltre ad essere frutto di paura, vergogna, e angoscia diremmo oggi esistenziale, è l’espressione , ancora una volta, della profonda solitudine interiore di tanti suoi personaggi”.

E torniamo al punto di partenza. La “solitudine dell’Eroe”.



*MADDALENA TULANTI (Napoletana, ha fondato nel 2000 e diretto fino al 2015 il Corriere del Mezzogiorno Puglia, dorso locale del Corriere della Sera, dopo essere stata capo redattore e corrispondente da Mosca per L’Unità. Oggi è editorialista di Telebari, la prima tv della città di Bari dove vive quando non si occupa dei suoi ulivi a Ostuni. Laureata in Russo con il massimo dei voti presso l’Orientale di Napoli è appassionata di politica internazionale e di geografia e lettrice avida e curiosa di ogni genere letterario. E’ separata, non ha figli, ha tre gatti e una splendida e geniale nipote)

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