L' Aquila e il Calderone: la città fredda e il declino di un ghiacciaio

di GABRIELLA DI LELLIO*

 Che L’Aquila sia la capitale italiana del freddo è una certezza. Anche per una aquilana come me, amante della neve e della montagna, vivere a temperature troppo basse e troppo a lungo non è sempre facile. Il riscaldamento globale a volte sembra lontano da qui. I nostri nonni non leggevano le previsioni del tempo sul giornale e nemmeno le ascoltavano alla radio, al massimo seguivano il colonnello Bernacca che fra perturbazioni e anticicloni ha imperversato in televisione per anni. Si affidavano a proverbi e detti popolari che riflettono una certa saggezza meteorologica. Il più noto: “A L’Aquila fa undici mesi de friddu e unu de friscu”.

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In effetti l’Abruzzo ha un clima complesso  per posizione geografica e varietà di territorio e risente del contrasto tra le masse di aria tropicale e quelle di origine polare. Oltretutto la presenza di altopiani in quota (Campo Imperatore, Cinque Miglia, Altopiano delle Rocche), di conche interne (Valle dell’Aterno, Fucino, Valle Peligna, Valle del Salto) e di aree vallive fluviali favorisce il fenomeno dell’inversione termica nelle ore notturne con notevole differenza tra i valori massimi diurni e i minimi notturni.


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(Immagine da Caput Frigoris)


Oggi la meteorologia ha approcci scientifici,  non si parla più di previsioni deterministiche bensì di metodi probabilistici usati per stimare l’evoluzione futura.

Per saperne di più ho incontrato i rappresentanti delle due associazioni meteorologiche locali che studiano il fenomeno: Manuel Montini per AQ Caput Frigoris e Andrea Cucchiarella per MeteoAQuilano.


I mutamenti climatici nella zona di Campo Imperatore

Cominciamo da Campo Imperatore: anche qui le condizioni climatiche sono cambiate. “Questo perché - spiega Manuel Montini  - alcune figure bariche sono scomparse: l’anticiclone delle Azzorre, che dava temperature massime estive ragionevoli, e l’aria fredda proveniente dal Rodano che produceva nevicate frequenti ed abbondanti. Non era difficile infatti, 40 o 50 anni fa, trovarsi a Campo Imperatore in una bella giornata estiva e sentire addirittura freddo. L’inverno giungeva presto ed anche in maniera accentuata, come ad esempio accadde nell’ottobre del 1919. Questo tipo di clima era favorevole al mantenimento del ghiacciaio del Calderone ed anche dei nevai che si affacciano verso la piana di Campo Imperatore, come quello di Rionne, sotto il Monte Infornace, e Monte Prena, anch’esso definito permanente ma che ultimamente tende ad assottigliarsi di molto se non a scomparire del tutto.”


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(Il Monte Infornace per il Canale di Rionne)


“Molto più indietro nel tempo, nel 1573 quando Francesco De Marchi salì sul Corno Grande, lui stesso menziona che il vino gelava nella bottiglia - era il 9 Agosto - e parlò di nevi perpetue al di sotto della cima. Cosa che anche tra l’800 ed il 900 si nota molto bene in alcune foto, visto che stavamo uscendo dalla piccola era glaciale (PEG). A quei tempi, il grande ghiacciaio che occupava la parte occidentale di Campo Imperatore arrivava fino alle Coppe di Santo Stefano e il piano del Bove a poca distanza dal lago Racollo; il 27 luglio del 1873 ci fu una forte alluvione a Santo Stefano di Sessanio per cui il sindaco del paese, Nicola Ciarrocca, chiese quello che oggi definiremmo lo stato di calamità".


Il ritiro del Calderone

 Oggi il ghiacciaio del Calderone è quello più a sud di Europa, ma molti anni fa era un altro  ghiacciaio a detenere il titolo: quello di Picato de Veleta in Sierra Nevada, a 3479 mt, nella provincia di Granada in Spagna. Nel 1913 il ghiacciaio spagnolo è scomparso per sempre lasciando resti di ghiaccio fossile sotto le rocce a prova della sua esistenza. Il Calderone è entrato in declino nel ‘95 perché l’aumento delle temperature ha impedito la conservazione del permafrost del ghiacciaio (lo strato di terreno permanentemente gelato che si trova nel sottosuolo a profondità non minori di qualche metro) anche alle altitudini più elevate.

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(La progressiva scomparsa del ghiacciaio di Picato de Veleta, in Sierra Nevada    foto da zerowaterloss.world )        




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(Il ghiacciaio Calderone      foto di Marinelli e Ricci del settembre 1916)

 

Il ghiacciaio  occupa il fondo e il pendio settentrionale sotto il massiccio del Corno Grande del Gran Sasso. In base alle classificazioni è definito di tipo pirenaico perché non molto esteso, adagiato in forma più o meno concava e scavato lungo le pendici dei versanti montuosi, e fossile perché la gran parte è ricoperta da detriti morenici (ghiaia e massi).

In base ai rilievi effettuati negli anni 1958-60 la quota del punto più alto del ghiacciaio (sotto la vetta occidentale di Corno Grande di 2914 metri) era a 2867 metri e quella del punto più basso a 2676 metri.

L'alimentazione è prevalentemente diretta, con notevoli apporti di neve trasportata dal vento o precipitata in forma di valanga dalle pendici rocciose che circondano il ghiacciaio e che lo proteggono con la propria ombra. Le caratteristiche esteriori variano non soltanto da un anno all'altro ma anche all’interno della stessa stagione, soprattutto per la grande mutabilità del manto nevoso che ricopre più o meno la massa glaciale.

Sono stati condotti numerosi studi a partire dal 1916 (Marinelli & Ricci)  per la definizione della geometria e dell’evoluzione dell’apparato glaciale, e hanno indicato la presenza di una massa ghiacciata di uno spessore di circa 26 mt.


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(Il Calderone, foto e schema da Caput Frigoris)

Mentre nella prima parte della stagione estiva il ghiacciaio appare prevalentemente coperto da neve, nella seconda parte della stagione prevale l'affioramento dei detriti ghiaiosi. Il colpo d'occhio suggerisce l'apparente scomparsa del ghiaccio, che invece è ancora ben presente al di sotto dei detriti. In passato invece il ghiacciaio era ben visibile in tutta la sua estensione anche alla fine della stagione calda. Per questo motivo recentemente è stato declassato a “glacionevato” o ghiacciaio fossile o ghiacciaio nero.

Nel luglio 2015 è stata effettuata una indagine con tecnologia GPR (Ground Penetrating Radar - Georadar) sul ghiacciaio. I risultati ottenuti, pubblicati sulla rivista scientifica “Alpine and Mediterranean Quaternary” nel 2017, mettono in luce una certa conservatività della massa glaciale e una diminuzione dello spessore del ghiaccio di circa 1 metro in vent’anni, dovuta probabilmente alla protezione dello strato di detriti e ai fenomeni delle inversioni termiche nella parte più depressa della conca glaciale.

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(Immagine da Caput Frigoris)


Il vento e le pulci del  Gran Sasso

La zona del Gran Sasso è esposta ai venti da tutte le direzioni, perché si trova al centro della penisola con il mare ad est e ad ovest, un mare dalle temperature superficiali mediamente calde, che costituisce un inesauribile serbatoio di vapore acqueo indispensabile per la formazione di nubi e precipitazioni. Se è vero che in montagna il tempo cambia molto rapidamente, questo vale ancor di più sul Gran Sasso per le raffiche intense in tutte le stagioni, in alcuni casi sviluppando venti lineari violenti.  “Dai dati in nostro possesso - spiega Andrea Cucchiarella, presidente di MeteoAQuilano, altra associazione nata dieci anni fa per l’attività di monitoraggio atmosferico e previsioni meteorologiche su scala locale e regionale - la massima raffica è stata di 257,4 km/h il 3 Gennaio 2019 presso il Rifugio Duca degli Abruzzi e nello stesso giorno la stazione di Campo Imperatore ha toccato i 213 km/h. Non è raro avere raffiche superiori ai 200 km/h e venti medi giornalieri superiori ai 100 km/h. Tutto questo mentre ci troviamo in un periodo di forte riscaldamento globale. Basta analizzare i dati storici della stazione di proprietà dell’Aeronautica Militare dal 1948 al 1982 e confrontarli con quelli rilevati dalla nostra recente strumentazione.”

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tabella Meto Aquilano 1jpg(Temperature sul Gran Sasso a confronto per periodi        tabella da meteoAQ)


“Il ghiacciaio del Calderone - dice ancora Cucchiarella - non è più considerato tale da quando è stata osservata la separazione dei bacini, due glacionevati, uno nel bacino superiore e uno nel bacino inferiore, di una lunghezza di 250 mt ed una larghezza di 100, con un’area complessivamente di 0.023 kmq.  

È molto difficile stabilire quanto ancora sopravviverà il Calderone e questo ha spinto la comunità scientifica a studiare con ancora più attenzione la sua evoluzione creando  un importante laboratorio naturale ad alta quota. Ed è proprio su questo laboratorio che un team dell'Università Statale di Milano, dell'Università dell'Aquila e Siena ha trovato una nuova specie animale appartenente ai collemboli, piccoli animali simili a insetti a cui appartengono le cosiddette "pulci dei ghiacciai". Questo piccolo animale si è rivelato essere esclusivamente legato al poco ghiaccio coperto dai detriti. Appena scoperto però è già fortemente a rischio d'estinzione per la continua fusione di quel che resta del nostro ex ghiacciaio.


*GABRIELLA DI LELLIO (Sono aquilana e sorella minore di nascita. Mi sento ottimamente a Roma e meno a L' Aquila dal terremoto del 2009. Ho insegnato lingua e letteratura inglese nel Liceo Scientifico della mia città. Sono maestra di sci perché amante della montagna e della neve. Mi piace la fotografia analogica in bianco e nero, che ho ripreso a fare dopo trent'anni e a cui intendo dedicare il mio tempo. Sono cresciuta nella FGCI e nel PCI fino alla “deriva occhettiana")


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