Il sanguinaccio e quell'ingrediente che non c'è più

di TINA PANE*

C’era una volta il sanguinaccio, tipico dolce napoletano del periodo di Carnevale, preparato, oltre che con cioccolato, zucchero, canditi, aromi e altri ingredienti, col sangue di maiale.

Nei primi anni ’60 mia nonna materna ancora lo faceva così, procurandosi il sangue (colato) dal suo macellaio di fiducia e avviando una produzione quasi industriale di questa crema scura e densa che provvedeva a distribuire a parenti e vicini di casa.

Va detto che la nonna insisteva fino allo sfinimento con mia madre per convincerla che anche una bambina come me poteva mangiarlo senza rischi e mia madre finiva per cedere, mentre mai ha ceduto a simile maieutico ragionamento quando il nonno paterno provava a rifilare a me e agli altri nipoti le cozze crude appena pescate nel mare di Mergellina: lì i veti di mia madre erano del tipo consiglio di sicurezza ONU.


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Io stavo dalla parte della nonna, ovviamente, ma siccome le creme non sono mai state in cima ai miei gusti, ne assaggiavo giusto un pochino per farla contenta e per avere invece quantitativi no limits di quelle che mia nonna chiamava nocchette e che poi altro non erano che le chiacchiere (o frappe o bugie) che a Carnevale, appunto, si servono insieme al sanguinaccio.

Lo scontro sull’opportunità di usare il sangue di maiale si prolungò, che io ricordi, fino agli inizi degli anni 90, quando una ordinanza ad hoc mise fine alla vendita del prodotto, ma nel frattempo il numero delle massaie che come mia nonna si ostinava a usarlo si era già ridotto, a favore dei primi prodromi di una cucina più salutare e leggera che giunse a eccessi come togliere la sugna al tortano o il burro alla pasta frolla.

E comunque ancora adesso se andate a spulciare nel blog di Luciano Pignataro, considerato il guru vivente della cucina napoletana tradizionale , o nel poderoso ricettario di Jeanne Caròla Francesconi, che della suddetta cucina è l’indiscussa storia e cassazione, trovate che la ricetta originale del sanguinaccio prevede il sangue di maiale.

Sicuramente nei piccoli centri dove ancora le famiglie allevano i maiali per consumo personale (e a cui, se si conosce si possono fare i voti per comprarsi una mezza pancetta arrotolata da gustare a maggio con le fave fresche, una sublime delizia che ognuno dovrebbe poter provare una volta nella vita) ci sono quelli che preparano il sanguinaccio con il sangue colato del proprio maiale appena ucciso. Ma in città, no, niente da fare, il sanguinaccio si fa con il cioccolato fondente, ed è un’altra cosa.


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La riprovazione di mia madre per il sanguinaccio originale giunse al punto che anche nel suo santa sanctorum di ricette, un’agenda della Cirio degli anni ’70 dove trascriveva ricette vecchie e nuove, e che mi ero premurata di fotocopiare ma che non trovo più, il sanguinaccio era stato già edulcorato dal suo ingrediente proibito.

Negli ultimi anni lei, che era una donna ordinata e precisa, aveva deciso che l’agenda Cirio era diventata troppo sporca di ditate e rovinata, e aveva cominciato a trascrivere le sue ricette su un quaderno ad anelli che le avevo procurato. È quello che mi è rimasto, e che conservo come una piccola reliquia.

Lì, insieme alla ricetta delle nocchette della nonna, delle mitiche graffe (frappe) sempre della nonna e degli struffoli, alla pagina del sanguinaccio, il sangue di maiale non c’è, neppure indicato come ingrediente da sostituire con.

È un peccato, certo, ma mi piace pensare che la sua intransigenza fosse un gesto di modernità ed emancipazione.

 

* TINA PANE (Napoli, 1962. Una laurea, un tesserino da pubblicista e un esodo incentivato da un lavoro per caso durato 30 anni. Ora libera: di camminare, fotografare, programmare viaggi anche brevissimi e vicini, scrivere di cose belle e di memorie)

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