Capitale della cultura, ecco perchè vedo Volterra e L' Aquila in pole position

di NICOLA FANO*

La vera notizia è che ci sia tanta gente pronta a spendere soldi per la cultura. Non è mai stata tanto in basso nella considerazione generale, questa benedetta cultura, sennonché pare davvero incredibile che così tante amministrazioni pubbliche si siano impegnate per fare progetti, stilare programmi, inventare slogan, mappare luoghi da restaurare o da abbellire o da mostrare. E invece, evidentemente, in tempi di Covid quel milione di euro cash che accompagna la nomina di “Capitale italiana della cultura 2022” deve far gola a molti. Forse soprattutto per via di una norma annessa: il Comune che risulterà vincitore del “concorso” potrà fare spese fuori dal patto di stabilità europeo. Potrà far debiti con maggiore libertà, in altre parole.

Leggendo in filigrana tutte le buone intenzioni, pare di poter dire che, quasi sempre, la cultura è considerata un mezzo, non un fine. E invece dovrebbe bastare a se stessa: dovrebbe essere un bene in sé sul quale investire a vantaggio della collettività. A beneficio della crescita civile e civica, dell’incremento generale del gusto, dell’estetica e del rispetto degli altri, della memoria comune e delle identità. A prescindere dai riscontri economici immediati. Siamo un Paese seduto su un giacimento di meraviglie della creatività umana: mettiamole in sicurezza e in mostra per il bene di noi stessi, prima di tutto. Poi, solo poi saranno anche un buon prodotto turistico: la creazione artistica non coincide con il consumo culturale. Perché se non amiamo noi la nostra cultura, difficilmente qualcuno verrà qui ad apprezzarla.

Riconoscere se stessi: con una buona dose di ottimismo, ci piace sperare che questo nobile obiettivo – oltre al miraggio del contributo statale – abbia spinto le dieci città finaliste a impegnarsi nella ricerca di questo moderno alloro poetico. Ancona, Bari, Cerveteri, L’ Aquila, Pieve di Soligo, Procida, Taranto, Trapani, Verbania e Volterra sono le dieci “città” in lizza: il 18 gennaio, quando è attesa la decisione della commissione all’interno del Ministero dei Beni Ambientali, della Cultura e del Turismo, sapremo chi ha vinto. Ma intanto noi abbiamo voluto fare un gioco. Abbiamo preso in esame i programmi delle candidature, li abbiamo rapportati alla storia culturale dei luoghi proponenti e al loro “peso specifico” nell’Italia politica (non solo in senso geografico…) dopo di che abbiamo stilato una sorta di classifica delle percentuali di possibilità di vittoria. Fatta somma cento, abbiamo individuato quelle che ci paiono (in modo del tutto empirico e personale) le chances di ciascuna località. È un gioco, naturalmente: sicché ci prendiamo tutte le responsabilità del caso, nella certezza che la burocrazia ministeriale ci sorprenderà.


VOLTERRA 26%

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Lo slogan di Volterra (sindaco Giacomo Santi, pd, eletto nel 2019) è «Benessere bellezza coesione sviluppo, le quattro sfide che ri-generano Volterra». D’altra parte, il titolo del progetto elaborato per sostenere la candidatura è “ri-generazione umana”: ha molto a che vedere con una cittadina la cui storia civica è puntellata da un celebre carcere (tutt’ora sistemato nella Fortezza medicea) e da un altrettanto celebre ex-ospedale psichiatrico. Come che sia, Volterra ha da dare alla cultura la sua Compagnia della Fortezza (un gruppo di reclusi votati al teatro da decenni), un Teatro Romano piuttosto ben conservato (luogo di un apprezzato festival estivo) e gli scenari dei romanzi di Carlo Cassola, a cominciare da La ragazza di Bube. Eppure, se Volterra – come è probabile – la spunterà sulle concorrenti non sarà solo per via del povero Cassola (che invece andrebbe riscoperto e ripulito dall’ostracismo becero del Gruppo ’63 che ancora pesa sulla sua memoria) né solo per le sue realtà teatrali e monumentali: sarà perché ha messo in campo, nel comitato organizzatore della “gara”, due pesi massimi. Ossia Paolo Verri, “direttore della candidatura”, già coordinatore di Matera 2019 (ci arrivò sulla spinta di molte polemiche, ma con il forte sostegno del Mibact) e Ledo Prato, “coordinatore d Piano strategico di Volterra e del territorio”, uno dei rari e autentici esperti di politiche culturali nel nostro Paese nonché animatore di Mecenate 90, un trasparente (ed efficace) centro di lobbying in favore della cultura.



L’AQUILA 24%

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Ha investito molto sulla candidatura anche L’Aquila. Dalla sua ha una terribile ferita da rimarginare (il terremoto del 2009, ovviamente) e una gran voglia di ripartire cancellando le lentezze e le capziosità burocratiche che hanno avvolto la ricostruzione, avviata sotto il segno della nefasta coppia Berlusconi/Bertolaso. Il comitato promotore ha chiamato attorno a sé come testimonial alcuni protagonisti della cultura cittadina del recente passato (Vittorio Storaro, Antonio Calenda e, prima della scomparsa, Ennio Morricone) forse perché i loro omologhi del presente sono un po’ meno “presentabili”. Perché L’Aquila aveva, sì, delle prestigiose istituzioni culturali come il teatro Stabile, l’Accademia di Belle Arti, l’Istituzione Sinfonica Abruzzese e tante altre, ma almeno alcune di loro da anni hanno perso buona parte del proprio credito (vedi lo Stabile Abruzzese, passato dalla improbabile direzione del cantautore Simone Cristicchi a quella del divetto televisivo Giorgio Pasotti). E, poi, la città non ha proprio brillato per attaccamento alla cultura, recentemente. Basterà ricordare le polemiche che seguirono la decisione di Renzo Piano di regalare all’Aquila il progetto di un auditorium (bellissimo, per altro), poi costruito nei Giardini del Castello a spese dell’amministrazione provinciale di Trento. Sorse un movimento civico contro l’iniziativa, all’epoca: di ben altri doni avevano bisogno gli aquilani che non un auditorium, si protestò. Per inciso, il Teatro Comunale dell’Aquila (una classica sala ottocentesca all’italiana) lesionata dal terremoto del 2009 è ancora in restauro. Dopo dodici anni. Insomma, forse gli aquilani hanno deciso di concorrere a capitale del 2022 proprio per fare pace con la cultura.


ANCONA 20%

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Ancona ha un progetto: si vede che la giunta (presieduta da Valeria Mancinelli, pd, al secondo mandato, rieletta nel 2018) non ha improvvisato la candidatura. In vista del 2022 c’è l’ipotesi di interventi di restauro: la risistemazione del Porto Antico come spazio di spettacoli, l’apertura dell’intero Lazzaretto di Vanvitelli. E c’è un tema al quale agganciare gli eventi: si può riassumere nello slogan «inclusione dell’altro» che, scandito sulla riva di un mare sottile che ci divide dal mondo slavo, non sembra solo un modo di dire. Quanto al patrimonio da valorizzare, Ancona non teme confronti: dal Duomo di San Ciriaco a picco sul mare ai resti romani (l’Arco di Traiano) appunto alla Mole Vanvitelliana. La sua vittoria, diciamolo con sincerità, avrebbe un valore fortemente politico (di politica culturale) e sarebbe anche un premio alla nitidezza progettuale: sulla carta, le intenzioni espresse da Ancona sono le più chiare e le più sostenibili di tutte. Ma basterà?




 

TRAPANI 10%

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Che lo si voglia o no, l’idea stessa di Trapani capitale italiana della cultura ha un sapore rivoluzionario. Nel senso che definire soltanto “italiana” la cultura e l’identità storica e attuale di Trapani è per lo meno una forzatura. Città di mare, prua sul Mediterraneo, crocevia di popoli ed esperienze anche in forte contrasto fra loro, oggi Trapani è soprattutto una terra di frontiera: non a caso, la candidatura è stata lanciata nel nome delle culture “euromediterranee”. Perché Trapani sembra corrispondere oggi come non mai a quella terribile e struggente idea della Sicilia espressa da Don Fabrizio Salina nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: «Tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà dove, subito serviti, presto detestati e presto incompresi, che si sono espressi soltanto con opere d’arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori di imposte spese poi altrove; tutte queste cose hanno formato il carattere nostro che rimane così condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità dell’animo». Saprebbe, Trapani, ribellarsi a questa sua stessa storia in nome della sua identità? E saprà lo Stato riconosce quella sorta di extraterritorialità culturale di Trapani?

 

TARANTO E BARI 6% + 6%

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Anche Taranto, come L’Aquila, è una città ferita. Non è stato il Destino a colpirla, ma l’ignavia dell’Uomo incapace di cogliere la contraddizione (peculiare del secolo appena passato) tra Salute e Lavoro. Diciamo che Taranto ha vissuto in anticipo quello che tutto il mondo sta vivendo oggi a causa della pandemia da Covid: la salute conta più dell’economia? Come per ribellarsi al suo ruolo di ideale apripista di una tragedia globale, i promotori della candidatura a Capitale della cultura 2022 hanno preferito ripiegarsi su se stessi dedicando il loro progetto alla riscoperta dei legami tra la città e la Grecìa salentina, ossia quell’enclave linguistica e identitaria che si dipana tra Taranto e Lecce. Un modo per eludere altri problemi – da un certo punto di vista – e un modo di ritrovare delle radici – dall’altro. Il progetto, infatti, si concentra sul recupero di luoghi dimenticati («piazze, spiagge, isole, palazzi storici, case museo, chiese…»). Il guaio è che lì di fronte si è candidata anche Bari. La “piccola Parigi sul mare” ha lanciato il sasso puntando su una tradizione e un’identità tutt’affatto diverse: lo slogan barese è dedicato al rapporto tra San Nicola e il Mediterraneo. Il vero San Nicola, come è noto, era greco, di Myra – una località dell’Asia Minore oggi nel territorio turco – e le sue spoglie hanno viaggiato a lungo avanti e indietro sul Mediterraneo contese tra pugliesi e greci. Le due città si sfidano (anche) una pro e una contro l’identità comune greca. È vero che la Regione e i sindaci hanno deciso di collaborare a sostegno della duplice candidatura, ma c’è il rischio concreto che Bari e Taranto si eliminino a vicenda. Così, insomma, hanno poche possibilità ciascuna ma, forse, senza la concorrenza di Bari, Taranto sarebbe stata più in alto nella nostra personalissima classifica.

 

PROCIDA 3%

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La candidatura più interessante, sulla carta, è quella dell’Isola di Arturo, Procida. Consegnata all’immaginario culturale collettivo dal celebre romanzo di Elsa Morante, la piccola isola campana è stretta tra i miti diversamente ingombranti di Ischia e Capri. Al glamour secolare dell’isola dei Faraglioni (residenza di scrittori, rivoluzionari, vecchi esteti) e a quello più aristocratico dell’isola delle terme (che Luchino Visconti e Angelo Rizzoli scelsero come proprio buen retiro), Procida ha sempre risposto con il primato della natura selvaggia. Poco turismo e pochissime concessioni alle movide non turbano il clima autentico dell’Isola: il suo stesso profilo sul mare di Napoli, tra i due spunzoni del Monte Solaro e dell’Epomeo, sembra attribuirle un carattere defilato. Salvo che questo che è il suo maggior pregio (una ricercata “marginalità”) rischia di essere il suo peggior difetto nella corsa al titolo di Capitale della cultura. Come e dove? Unico segno “culturale” della sua tradizione è un premio letterario (intitolato, ovviamente, a Elsa Morante): ma anche questo, come tutti i suoi confratelli sparsi per la penisola, ha da tempo perso smalto e forza propulsiva. Insomma, come ostentano con passione i promotori, si tratta di una “candidatura sovversiva”. Forse nel senso che, prima di tutto, per farla salire sul palcoscenico della grande cultura, occorrerebbe sovvertire Procida.

 

CERVETERI 2%

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Conoscete Cerveteri? Di nome, sicuramente sì. Rappresenta il cuore dell’Etruria o, per meglio dire, il luogo dove sono conservati il maggior numero di reperti etruschi. Al di là delle necropoli e di un curioso museo appellato sontuosamente “Museo Nazionale Archeologico Cerite”, il territorio intorno al piccolo centro a Nord di Roma è pieno di segni della civiltà etrusca. A cominciare da numerose, magnifiche strade tagliate nel tufo: passeggiando per la campagna non è raro imbattersi in luoghi magici e incredibili. Ma dintorni ci sono anche altre strane attrazioni: da una delle più ricche oasi faunistiche d’Europa (incredibile, a dirsi, su uno dei litorali più compromessi dal degrado) a un celebre castello medioevale (quello di Palo); senza contare che qui, proprio tra Palo e Cerveteri, c’era il deposito di munizioni più importante della Resistenza romana. Ma basterà tutto questo per fare di Cerveteri la capitale della cultura italiana del 2022? Si tratta, in fondo, di un piccolo centro che gravita, economicamente e non solo, su Roma, giacché per molti è una sorta di mega-quartiere dormitorio della capitale… Insomma, se vincesse Cerveteri si potrebbe dire – come nel caso in cui vincesse Procida – che è stata fatta una scelta “sovversiva”: per aiutare un piccolo territorio a costruirsi una identità culturale (che ora ancora non ha) più che per celebrarne la statura di “capitale della cultura”.

 

VERBANIA 2%

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Lo slogan è tutto: “La cultura riflette”. Che sarebbe anche un bel modo di dire, se non avesse sotto di sé un dipinto ottocentesco con una veduta del Lago Maggiore che ispira riflessioni, sì, ma in vestaglia o sulla sedia a sdraio. Anche qui, insomma, la cultura va a braccetto con il turismo. O forse è solo turismo. E, del resto, il territorio di Verbania è ricco di attrazioni naturali e storiche antiche e moderne, fino all’avveniristico Centro culturale Maggiore, sulle rive del lago: un complesso che ospita due sale teatrali (per oltre ottocento posti complessivi), una arena infinita (duemila posti) più una serie di strutture di servizio. Detta così, sembra quasi una cattedrale nel (simbolico) deserto: non saranno pochi i trentamila abitanti di Verbania per un Centro Eventi Multifunzionale (così si chiama, ufficialmente) del genere? Viene il sospetto che il milione di euro destinato alla capitale della cultura sia inteso da Verbania come un indispensabile contributo per mantenere in vita il suo moloch. Ma forse è un sospetto troppo malizioso, perché Verbania, uno dei più giovani capoluoghi di provincia italiani, ha bisogno soprattutto di mettere in mostra la propria identità: la cultura non serve proprio a questo?

 

PIEVE DI SOLIGO 1%

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Onestamente, l’unica nota di merito in ambito culturale di Pieve di Soligo, piccolo centro del trevigiano, è quella di aver dato i natali al poeta Andrea Zanzotto. Può bastare, per farne una “capitale della cultura”? «Leggeri ormai sono i sogni», dice un celebre verso di Zanzotto, ma poi ognuno si darà una risposta da sé. Quel che si può aggiungere è che questo paese è emblematico della provincia italiana: qualche bella chiesa, qualche bel palazzo storico, un paio di ville sontuose, un corso. Può sembrare strano, ma i promotori della candidatura puntano proprio su questo: la “cultura” del borgo contro quella delle città d’arte. In fin dei conti, tra le concorrenti, Pieve di Soligo è l’unica che possa vantare questa peculiarità. E se diventasse il suo asso nella manica?

*NICOLA FANO (1959. Vive tra Roma e Torino dove insegna all’Accademia Albertina di Belle Arti l’astrusa materia di Letteratura e filosofia del teatro. Da quarantacinque anni va a teatro quasi tutte le sere e, giacché è recidivo, alla storia del teatro ha dedicato i numerosi libri che ha scritto. Detesta il calcio, ma gioca a pallacanestro: quando smetterà di farlo, con ogni probabilità, morirà) 


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