Bottecchia in giallo, uomo da Tour e uomo da sofferenza

di GIANCARLO BROCCI*

Ho già scritto tanto di Tour e di Bartali; in vero anche di Ottavio Bottecchia, ma il Tour 2021 mi sembra d'obbligo celebrarlo con la storia speciale di un campione che fu tale solo lì, rigorosamente esclusivo, un ciclista eroico che riservò le sue imprese solo a quel gigantesco palcoscenico, alle strade dell'estate francese. 

Bottecchia, ai 29 anni, era arrivato solo alla categoria dei "professionisti juniores", giusto per dare altro attributo agli isolati, ai diseredati, sfigati comunque. Si era da poco guadagnato un'attenzione del vecchio Ganna ed i consigli del primo vincitore del Giro gli erano serviti per mantenere un utile basso profilo tra Girardengo e Brunero, una neutralità nella lotta fra i big che gli aveva guadagnato la vittoria tra i suoi peones, i senza squadra. La fortuna virò quando Borella, inviato dal Tour per ingaggiare almeno un paio tra i recalcitranti italiani per la colossale corsa oltralpe, raccolse il rifiuto anche di Brunero, che Girardengo non ne voleva più sentire parlare dopo un timido approccio anteguerra. Il torinese Santhià, già esperto e dotato di buon francese e poi chi altri? Ottavio è un “lucky looser”, non gli par vero di sentire la proposta, l'idea de "i schei", in Francia ha già lavorato duro da muratore.


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Il 21 di giugno i due scendono dal treno a Parigi, ad accoglierli Fabio Orlandini, un fiorentino corrispondente Gazzetta, anche perché la Rosea ha deciso, per la prima volta, di non mandare nessuno a quel Tour: troppo sparuta la rappresentanza, senza quarti di nobiltà quei ronzini da tiro attempati. L'elegante Orlandini osserva curioso quel veneto ossuto: "Indossa giacca di cotone che gli cade sulle spalle e pantaloni stretti colore marrone che gli arrivano alla caviglia. In mano tiene stretta una valigetta di fibra colore giallino. Contiene un paio di scarpini e una maglia da ciclista, biancheria intima, una saponetta usata, una camicia a righe nere e gialle per le occasioni importanti e un impermeabile mai indossato prima... Glielo ha imposto la moglie per presentarsi bene". Virgoletto Paolo Facchinetti, un maestro e un amico. Il direttore dell' Automoto, Pierrard, conosce Santhià, che si atteggia ad esperto; di Bottecchia non riesce a pensare positivo. "Accidenti a Borella, ma dove mai ha scovato questo tizio qua? E Pelissier come fa a dire che costui è un corridore? Ingaggiamolo per tre tappe, non andrà più lontano, questo è certo".

Saranno 3 Tour, invece; in quel 1923 solo secondo ma perché Henry Pelissier, beniamino di Francia tutta e suo capitano, deve finalmente vincere un Tour. Nei due successivi Bottecchia domina, scrive la storia. Lui, uomo speciale da fatica, formidabile mulo, tanto callo quanto muscolo, ha trovato il suo ciclismo, quello delle enormi distanze e delle grandi fatiche, del coraggio e del sacrificio estremo. È proprio in quel Tour 1924, dove Ottavio si veste di giallo alla prima tappa e lo porta a Parigi, che Albert Londres, appena tornato dalle colonie penali francesi in Sudamerica e inviato a quel ciclismo mai visto, titolerà "Tour de France, Tour de souffrance".

E comunque quelli del Tour, per tanta bella gente, restano giorni di festa; per me di sicuro è così da sempre. La festa è ricominciata, ce n'era bisogno. 


*GIANCARLO BROCCI (Da Gaiole in Chianti. Cominciò a sentir parlare e leggere di ciclismo quando ancora Coppi inseguiva i suoi ultimi traguardi. Laureatosi in Medicina e Chirurgia, ha sempre fatto altro. Prima la politica, interrotta con il libro “Ridatemi il Pci” - estate ’88, prefazione di Michele Serra -. Poi lo sport, lottando contro i professionisti e il business che si stavano rubando ogni giocattolo. Ma è oggi soprattutto l’inventore de L’Eroica. Altri suoi libri: “Bartali, l’ultimo eroico” e “Bartali, mito oscurato”, “L’Eroica, storie, imprese e sogni sulle strade bianche”)


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