Biden: è la decisione giusta, non sarà un altro Vietnam

traduzione di VITTORIO RAGONE*


leggi: Il discorso originale sul sito della Casa Bianca


"Oggi voglio parlarvi di quel che sta accadendo in Afghanistan: gli sviluppi che ci sono stati nell'ultima settimana e i passi che stiamo muovendo per gestire eventi che evolvono con grande velocità.

Insieme con il consiglio per la sicurezza nazionale abbiamo seguito da vicino la situazione sul campo e abbiamo agito rapidamente in modo da attuare piani che avevamo varato in risposta a ogni eventualità e contingenza, incluso il collasso drammatico al quale stiamo assistendo.

Fra un attimo dirò di più sulle azioni specifiche in corso. Ma prima voglio ricordare a tutti come siamo arrivati fino a questo punto e quali siano gli interessi dell'America in Afghanistan.

Siamo intervenuti in Afghanistan quasi 20 anni fa con obiettivi definiti: arrestare coloro i quali ci avevano attaccato l'11 settembre del 2001 e assicurarci che al Qaeda non potesse usare l'Afghanistan come base da cui colpirci di nuovo.

Ci siamo riusciti. Abbiamo duramente ridimensionato la forza e l'insediamento di al Qaeda in Afghanistan. Non abbiamo mai smesso di dare la caccia a Osama bin Laden e alla fine l'abbiamo preso, dieci anni fa.

La nostra missione non è mai stata costruire una nazione, nè creare una democrazia unita e centralizzata. Il nostro unico interesse nazionale, vitale, in Afghanistan resta oggi quello di sempre: prevenire gli attacchi terroristici contro la madre patria America.

Per molti anni ho sostenuto pubblicamente che la nostra missione doveva essere strettamente focalizzata sull'antiterrorismo, non verso controinsurrezioni o sulla costruzione del paese Afghanistan. Ecco perché mi sono opposto all'intensificarsi del nostro impegno quando fu proposto nel 2009, al tempo in cui ero vicepresidente.

Ed ecco perché, come Presidente, sono assolutamente convinto che dobbiamo concentrarci sulle minacce che abbiamo davanti ora, nel 2021, non su quelle di ieri.

Oggi la minaccia terroristica ha fatto metastasi ben oltre l'Afghanistan. Al Shabaab in Somalia, al Qaeda nella penisola arabica, al-Nusra in Siria, l' ISIS che tenta di creare un califfato in Siria e Iraq e che fa reclutamento in molti paesi dell'Africa e dell'Asia:  queste sono le minacce che richiedono la nostra attenzione e le nostre risorse.

Stiamo conducendo efficaci missioni antiterrorismo contro gruppi terroristici in più paesi in cui non abbiamo una presenza militare permanente.

Se necessario, faremo lo stesso in Afghanistan. Abbiamo sviluppato capacità antiterrorismo che vanno oltre il lavoro sul campo, e che ci consentiranno di tenere gli occhi puntati su qualsiasi minaccia diretta agli Stati Uniti nella regione,  e di agire con rapidità e con grande forza, se sarà necessario.

Quando sono entrato in carica, ho ereditato un accordo che il presidente Trump aveva negoziato con i talebani. Secondo questo accordo, le forze statunitensi sarebbero uscite dall'Afghanistan entro il 1 maggio 2021, poco più di tre mesi dopo il mio insediamento.

Le forze statunitensi erano già state ridotte durante l'amministrazione Trump da circa 15.500 unità a 2.500 truppe nel paese, mentre i talebani avevano raggiunto la loro maggior forza militare dal 2001.

La scelta che ho dovuto fare, come vostro Presidente, è stata quella di dare seguito all'accordo o di essere pronto a tornare a contrastare i talebani nel bel mezzo della stagione dei combattimenti in primavera.

Non ci sarebbe stato cioè alcun cessate il fuoco dopo il 1 maggio. Non ci sarebbe stato alcun accordo che proteggesse le nostre forze dopo il 1 maggio. Non ci sarebbe stata stabilità nello status quo, senza vittime americane dopo il 1 maggio.

C'era solo la fredda realtà:  o dar seguito all'accordo di ritiro delle nostre forze o spingere il conflitto verso una escalation, spedire migliaia di soldati americani di nuovo a combattere, in Afghanistan trascinandoci nel terzo decennio di conflitto.

Sostengo senza alcun tentennamento la decisione che ho preso.  In vent'anni ho imparato a mie spese che nessun momento sarebbe mai stato abbastanza buono per ritirare le forze statunitensi.

Ecco perché eravamo ancora lì.  Abbiamo studiato i rischi con grande lucidità. Abbiamo pianificato ogni possibile sviluppo. 

Ma ho sempre promesso al popolo americano che sarei stato sincero, diretto. E la verità è:  tutto è precipitato più rapidamente di quanto avessimo previsto.

I leader politici dell'Afghanistan si sono arresi e sono fuggiti dal paese. L'esercito afghano ha collassato, in alcuni casi senza nemmeno senza cercare di combattere.

A dirla tutta, gli avvenimenti della scorsa settimana hanno rafforzato la convinzione che porre fine al coinvolgimento militare degli Stati Uniti in Afghanistan adesso fosse la decisione giusta.

Le truppe americane non possono e non devono combattere e morire in una guerra che le forze afghane non sono esse stesse disposte a combattere. Abbiamo speso più di mille miliardi di dollari. Abbiamo addestrato ed equipaggiato una forza militare afghana di circa 300.000 uomini – incredibilmente ben equipaggiati – una forza di dimensioni maggiori delle forze armate di molti dei nostri alleati della NATO.

Abbiamo fornito loro tutti gli strumenti di cui potessero aver bisogno. Abbiamo pagato i loro stipendi, abbiamo  curato la loro aeronautica, fornito supporto aereo. Cose che i talebani non hanno, perchè i talebani non hanno una forza aerea. 

Abbiamo garantito agli alleati afghani ogni possibilità di determinare il proprio futuro. Quello che non potevamo fornire era la volontà di lottare per quel futuro.

Ci sono unità delle forze speciali e soldati afghani molto coraggiosi e capaci; ma se l'Afghanistan non riesce a metter su alcuna vera resistenza ai talebani in questo momento, non c'è alcuna possibilità che 1 anno in più - o 5 anni o altri 20 anni di impegno militare degli Stati Uniti, stivali sul campo - facciano alcuna differenza.

Nel profondo, ecco di cosa sono convinto: è sbagliato ordinare alle truppe americane di spingersi avanti quando le Forze armate afghane non lo fanno. Se i leader politici dell'Afghanistan non sono stati in grado di unirsi per il bene del loro popolo, se si sono dimostrati incapaci di negoziare il futuro del paese nel momento della resa dei conti, non c'era alcuna possibilità che ci riuscissero mentre le truppe statunitensi restavano in Afghanistan a sopportare il peso del combattimento al posto loro.


 


Ai nostri veri concorrenti strategici - Cina e Russia - piacerebbe che gli Stati Uniti continuassero a investire miliardi di dollari nel tentativo di stabilizzare l'Afghanistan a tempo indeterminato.

Quando ho avuto ospiti alla Casa Bianca il presidente Ghani e il presidente Abdullah, a giugno, e ancora quando ho parlato al telefono con Ghani a luglio,  ci siamo confrontati con franchezza. Abbiamo parlato di come l'Afghanistan doveva prepararsi a combattere le sue guerre civili dopo la partenza dell'esercito americano, e a fare piazza pulita della corruzione nel governo, così che  potesse funzionare al servizio del popolo afghano. Abbiamo discusso a lungo della necessità che i leader afghani si unissero politicamente.

Non sono stati capaci di farlo, hanno fallito.

Li avevo anche esortati a battere strade diplomatiche, a cercare un accordo politico con i talebani. Questo consiglio è stato rifiutato. Il signor Ghani ha insistito: le forze afghane avrebbero combattuto. Ovviamente si sbagliava.

Quindi di nuovo sono costretto a chiedere, a quelli che sostengono che saremmo dovuti rimanere lì: quante altre generazioni, delle figlie e dei figli d'America, vorreste che spedissi a combattere gli afghani - la guerra civile afghana - mentre loro non lo fanno? Quante altre vite - vite americane - vale questo coinvolgimento? Quante file interminabili di lapidi al Cimitero Nazionale di Arlington?

La mia risposta è chiara: non ripeterò gli errori del passato - l'errore di restare a combattere a tempo indeterminato in un conflitto che non è nel nostro interesse nazionale, l'errore di impelagarci ancora di più nella guerra civile di un paese straniero, l'errore di provare a ricostruire una nazione attraverso la permanenza infinita delle forze armate statunitensi.

Questi errori non possiamo continuare a ripeterli, perché abbiamo altri importanti interessi vitali nel mondo che non possiamo permetterci di ignorare.

Io mi rendo conto di quanto questo sia doloroso per molti di noi. Le scene che vediamo in Afghanistan sono strazianti, in particolare per i nostri veterani, i diplomatici, gli operatori umanitari, per chiunque abbia passato tempo sul campo per sostenere il popolo afghano.

Per quelli che hanno perso affetti in Afghanistan e per gli americani che hanno combattuto e servito in quel paese questo il dolore è profondo e intimo, personale.

Lo è anche per me. Ho lavorato su questi problemi quanto chiunque altro. Sono stato in tutto l'Afghanistan mentre la guerra era in corso - da Kabul a Kandahar alla valle di Kunar.

Ci sono stato in quattro diverse occasioni. Ho incontrato la gente. Ho parlato con i leader. Ho passato tempo con le nostre truppe. E sono arrivato a capire di prima mano cosa fosse e cosa non fosse possibile in Afghanistan. Ora siamo concentrati su ciò che è possibile.

Noi continueremo a sostenere il popolo afghano. Saremo in prima fila con la nostra diplomazia, la nostra influenza internazionale e il nostro aiuto umanitario.

Continueremo a far pressione perchè si realizzi un'azione diplomatica nella regione e siano prevenute violenza e instabilità.

Continueremo a sostenere la causa dei diritti fondamentali del popolo afghano - delle donne e delle ragazze - così come facciano in tutto il mondo.





Sono stato chiaro:  i diritti umani devono essere il centro della nostra politica estera, non la periferia. Ma il modo per riuscirci non sono gli interventi militari; lo si fa con la nostra diplomazia, i nostri strumenti economici, e convincendo il mondo a unirsi a noi.

Ora, lasciatemi illustrare l'attuale missione in Afghanistan. Mi è stato chiesto di autorizzare - e l'ho fatto - il dispiegamento di 6.000 soldati statunitensi in Afghanistan per  favorire la partenza del personale civile statunitense e alleato dall'Afghanistan e per evacuare i nostri alleati afghani e gli afghani più vulnerabili a mettersi in salvo fuori dal paese.

Le nostre truppe stanno lavorando per mettere in sicurezza l'aeroporto e garantire il funzionamento dei voli civili e militari. Stiamo assumendo il controllo del traffico aereo.

Abbiamo chiuso per sicurezza la nostra ambasciata e abbiamo trasferito i nostri diplomatici. La  nostra presenza diplomatica è ormai stabilita anche in aeroporto.

Nei prossimi giorni intendiamo portare via dall'Afghanistan migliaia di cittadini americani che lì hanno vissuto e lavorato.

Continueremo inoltre a sostenere la partenza in sicurezza del personale civile, il personale civile dei nostri alleati che sta ancora prestando servizio in Afghanistan.

L'operazione Allies Refugee, che ho annunciato a luglio, ha già trasferito negli Stati Uniti 2.000 afghani che hanno i requisiti per i visti speciali per l'immigrazione, e le loro famiglie.


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Nei prossimi giorni, le forze armate statunitensi forniranno assistenza per far partire altri  afghani idonei ai visti speciali e le loro famiglie fuori dal paese. Stiamo anche ampliando l'accesso dei rifugiati per dare copertura ad altri afghani vulnerabili che hanno lavorato per la nostra ambasciata: agenzie non governative statunitensi o organizzazioni non governative statunitensi; e afghani che altrimenti sarebbero a rischio; e agenzie di stampa statunitensi.

So che ci sono preoccupazioni sul perchè non abbiamo iniziato l'evacuazione con gli afghani, prima i civili. Parte della risposta è che alcuni afghani non volevano andarsene prima, ancora nutrivano speranze  per il loro paese. In parte è accaduto anche perché il governo afghano e i suoi sostenitori ci hanno sconsigliato dall'organizzare un esodo di massa per evitare di innescare, così hanno detto, "una crisi di fiducia".

Le truppe americane stanno svolgendo questa missione con la professionalità e l'efficacia di sempre, ma non senza rischi.
Mentre le operazioni di partenza procedono, abbiamo chiarito ai talebani: se attaccheranno il nostro personale o creeranno ostacoli, gli Stati Uniti saranno rapidamente presenti, e la risposta sarà veloce e molto forte. Se necessario, difenderemo la nostra gente con forza devastante.

La nostra attuale missione militare durerà poco,  sarà limitata e concentrata sugli obiettivi: portare in salvo la nostra gente e i nostri alleati il ​​più rapidamente possibile.

Una volta completata questa missione, concluderemo anche il nostro ritiro militare. Porremo fine alla guerra più lunga d'America, dopo 20 lunghi anni di spargimenti di sangue.

Gli eventi ai quali stiamo assistendo ora sono la triste controprova che nessuna forza militare potrebbe mai restituirci un Afghanistan stabile, unito e sicuro, quell'Afghanistan conosciuto nella storia come il "cimitero degli imperi".

Quel che sta accadendo ora sarebbe potuto accadere,  con grande facilità,  5 anni fa o fra 15 anni. Dobbiamo essere onesti: la nostra missione in Afghanistan ha conosciuto tanti passi falsinegli ultimi vent'anni.


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Io sono il quarto presidente americano a gestire la guerra in Afghanistan: due democratici e due repubblicani. Non passerò questa responsabilità a un quinto presidente.
Non ingannerò il popolo americano affermando che se restassimo un po' più di tempo in Afghanistan questo farebbe la differenza. Né proverò a ridurre la mia quota di responsabilità per dove ci troviamo oggi e su come dobbiamo andare avanti da qui.

Sono il presidente degli Stati Uniti d'America e questa responsabilità pesa su di me.

Mi rattristano profondamente le vicende che stiamo affrontando. Ma non mi pento della  decisione di porre fine alla guerra americana in Afghanistan e di focalizzarci invece  sulle  missioni antiterrorismo lì e in altre aree del mondo.

La nostra missione - abbassare la minaccia terroristica di al Qaeda in Afghanistan e uccidere Osama bin Laden - è stata un successo.

I nostri decenni di sforzi per superare secoli di storia e cambiare e ricostruire in maniera  permanente l'Afghanistan invece non hanno avuto successo. Non potevano, e mai avrebbero potuto, come credevo e ho scritto e detto.

Non posso e non voglio chiedere alle nostre truppe di continuare a combattere all'infinito la guerra civile di un altro paese, subendo vittime, subendo ferite che sconvolgono vite intere, lasciando famiglie distrutte dal dolore della perdita.

Questo non è nell'interesse della sicurezza nazionale. Non è quello che vogliono gli americani. Non è ciò che le nostre truppe, che hanno sacrificato così tanto negli ultimi due decenni, meritano.

Ma c'è una cosa ancora più importante:  mi sono impegnato, con gli uomini e le donne coraggiosi che servono questa nazione, che non avrei chiesto loro di continuare a mettere a rischio le vite in un'azione militare che sarebbe dovuta finire molto tempo fa.

I nostri leader lo fecero in Vietnam quando arrivai qui in gioventù. Io non farò lo stesso in Afghanistan.

So che la mia decisione sarà criticata, ma preferisco accettare le critiche piuttosto che passare la decisione a un altro presidente degli Stati Uniti - ancora un altro - il quinto.

Perché è la decisione giusta per la nostra gente. E' la decisione giusta per i militari coraggiosi che hanno rischiato la vita per servire la nostra nazione. E' la decisione giusta per l'America.

Quindi grazie. Possa Dio proteggere le nostre truppe, i diplomatici e tutti gli americani coraggiosi che prestano servizio in mezzo al pericolo".

*VITTORIO RAGONE (ha fondato www.foglieviaggi.cloud. Nato a Castellammare di Stabia nel 1955, è stato un exchange student negli Stati Uniti. Ha lavorato prima all'Unità poi a Repubblica. Ama il trekking e l'opera, lo appassionano le nuove tecnologie e la fantascienza)

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