ALBANIA - MACEDONIA / 5 Përmet, grandi pietre e gliko squisito

di LUISA PECE*

Lasciata Argirocastro, si torna un po’ indietro, verso Tepelene, con sosta in un villaggio praticamente costruito attorno a un albero gigantesco per acquistare un raki “speciale”, fatto in casa e venduto (a caro prezzo) in bottiglie di plastica di acqua minerale riciclate. E finalmente arriviamo a Përmet, cittadina di circa diecimila abitanti, fuori dai consueti itinerari turistici, abbastanza sonnacchiosa, un po’ grigia, pulitissima, famosa per le sue terme naturali, pare estremamente curative. Per ovvi motivi di temperatura esterna non abbiamo potuto godere dei vantaggi e dei piaceri delle vasche e piscine all’aperto. Next time.


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(Foto di Luisa Pece)


Sondaggi recenti hanno rilevato che a Përmet la microcriminalità non esiste e la tranquillità si respira per strada, al ristorante, vicino al fiume o sul belvedere (sul niente, sotto c’è solo una strada) dove, con un vento notturno gelido, siamo andati a rimirar le stelle e le luci della città.


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(Foto di Bledi Bakia)


L’architettura e l’urbanistica del luogo sono di chiara matrice razionalista, tutto squadrato, funzionale, senza troppe concessioni all’estetica ma nell’insieme non è per niente sgradevole. Camminando qua e là abbiamo visto rocce enormi spuntare dal terreno, in alcuni casi addossate alle case, ma nessuno ha saputo spiegarcene l’origine o il perché.


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(Foto di Luisa Pece)


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(Foto di Luisa Pece)


So che susciterò l’invidia di molti arredatori d’interni con la foto che segue, che ritrae la lampada che era sul mio comodino in albergo (che girava anche, tipo carillon) …


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(Foto di Luisa Pece)



La mattina dopo ci siamo presi un po’ di tempo per due cose importanti. La prima, visitare il locale cimitero per portare un fiore sulla tomba di una persona cara scomparsa da poco. Piccolo, ordinato, pieno di fiori colorati, con un custode che spazzava i vialetti e ripuliva le tombe dalle foglie secche. Il culto dei morti in Albania è molto sentito, con ripetute celebrazioni a scadenze regolari (sei giorni, quaranta giorni, sei mesi, un anno) e rispecchia il fortissimo senso della famiglia che è molto presente anche nelle generazioni più giovani.

A pochi passi dal cimitero, andiamo a “esplorare” la sede di uno dei due presidi Slow Food albanesi, una piccola fabbrica che dà lavoro a una ventina di donne per produrre il gliko, una specie di composta fatta con pezzi di frutta e verdura coltivate da piccoli produttori locali e uno sciroppo zuccherino. Il procedimento è lungo e rigorosamente artigianale. La fabbrica è in un piccolo capannone, i pentoloni di rame sono lucenti e il profumo è inebriante. Noi abbiamo assaggiato il gliko di limone e quello di melanzane, ma il più tipico è quello fatto con il mallo delle noci ancora verdi, intere. Il gliko accompagna egregiamente altri due squisitissimi prodotti locali, cioè il formaggio bianco e il burro di pecora salato. Ci mettiamo a chiacchierare con la signora che a quanto pare è la responsabile dell’azienda, che ci parla con entusiasmo di Carlo Petrini e di Slow Food, delle opportunità che si sono create attorno al loro prodotto. La concorrenza è costituita dal gliko prodotto industrialmente che non si avvicina neppure lontanamente alla qualità di quello lavorato qui.



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(Foto di Luisa Pece)



Proseguendo, nei pressi della piccola frazione di Leskovic, incontriamo una fontana con una scritta un po’ particolare: “chi beve il vino rosso di Leskovic campa 120 anni, chi beve quest’acqua ne campa 200” e nel riquadro sotto c’è la parola “mergimtari” che vuol dire “emigrato”. La fontana è stata costruita da un abitante del luogo che, per motivi di sopravvivenza, era stato costretto a espatriare dal suo amato luogo d’origine. Ovviamente ci siamo fermati e abbiamo bevuto abbondantemente.



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(Foto di Bledi Bakia)


Sempre lungo la strada in un villaggio un po’ sgarrupato, ecco un delizioso dordolec che ondeggia appeso a un edificio in ristrutturazione, per scacciare spiriti malvagi e malocchio.

 



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(Foto di Luisa Pece)


A più riprese, in questo viaggio, su un lato della strada correvano dei binari ormai in disuso, e qua e là apparivano strutture abbandonate, ultime tracce dei siti minerari della zona, soprattutto miniere di cromo di cui l’Albania è ricca – verso la fine dello scorso secolo era terza nella lista dei produttori mondiali di questo prezioso minerale. C’è ancora una miniera attiva, che lavorava prevalentemente con l’export verso la Cina, ma ha subito un colpo durissimo dalla pandemia e molti minatori sono rimasti disoccupati. Le loro condizioni lavorative sono molto, molto difficili, un lavoro pericolosissimo per poco più di trecento euro al mese. Del resto, secondo i dati Forex, lo stipendio medio in Albania è di 311 euro mensili e anche se il costo della vita è molto inferiore a quello italiano rincari e aumenti cominciano a farsi sentire.

In serata, arrivo a Korça – il seguito alla prossima puntata…

 

*LUISA PECE (nata a Bologna tanto tempo fa, malata di adolescenza senile, appassionata viaggiatrice, attrice per diletto, un passato lavorativo tra i libri - Il Mulino - , poliglotta, curiosa come un gatto rosso)

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