Vita e avventure di Mehri, la signora dei cavalli Asil fra i nomadi dell'Iran

testo e foto di LUCA FORTIS* 

Mehri Leila Gharagozlou, soprannominata Mary o la signora degli Asil, cavalli arabo persiani, è stata la più grande esperta di questa specie in Iran e la persona grazie alla quale la razza è stata formalmente riconosciuta dalla World Arab Horse Organisation, Waho. Per ottenere il riconoscimento trascorse anni presso le diverse tribù nomadi, a catalogare il patrimonio genetico degli Asil e poi a scrivere il primo Stud Book, il registro genealogico dei purosangue. Fu una donna leggendaria, su cui ancora si raccontano aneddoti e storie.

Proveniva da una stirpe di proprietari terrieri e statisti persiani. Suo padre, Naghi Khan, era figlio di Amir Tuman, diplomatico persiano a Washington e fratello di Nasser ol-Molk, il politico iraniano che nel 1910 fu nominato reggente quando l’ultimo Shah qagiaro era ancora bambino. La tribù dei Gharagozlou era arrivata dall'Asia Centrale alla Persia Nord Occidentale al seguito di Tamerlano alla fine del XIV secolo,  e la famiglia possedeva centinaia di villaggi intorno ad Hamadan. La madre di Mary, Katherine Ladd, aveva una libreria a Washington vicino al Congresso, ma era originaria di una famiglia “wasp” di Boston, emigrata dall’Inghilterra negli Stati Uniti insieme ai padri fondatori nel diciassettesimo secolo. Il nonno di Katherine, Halbert Eleazer Paine, era un generale nordista durante la guerra di Secessione americana. Fu a seguito della sua elezione al Congresso americano che la famiglia si spostò da Boston a Washington.

Dopo il matrimonio, negli anni Venti, Naghi e Katherine andarono a vivere in Iran. Naghi morì tre anni dopo la nascita della sorella di Mary, mia nonna Turan. Katherine decise di rimanere in Iran e far crescere le figlie nel paese del padre, dove un giorno avrebbero avuto la responsabilità di gestire terre e villaggi. Un vasto mondo feudale, che organizzarono secondo principi progressisti tipici di una certa cultura dell’epoca.

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Le due sorelle e la madre vivevano d’inverno in una casa a Teheran, in un vasto giardino dove  erano altre abitazioni di cugini, vicino a Ferdousi Avenue; d’estate si trasferivano a Varkaneh, uno dei villaggi di famiglia a 2000 metri di altezza sui monti Zagros, vicino a Hamadan. Mary e Turan fin da piccole andavano a cavallo. Katherine e Turan raccontavano che all’età di dieci anni, durante una tempesta di neve a Teheran, Mary tolse il cavallo dalla scuderia perché temeva che avesse freddo e lo portò in casa.  Le sorelle, seppur in apparenza molto diverse, crebbero con un carattere pratico e considerato all’epoca da “maschiaccio”.  Erano solite, compiuti quindici anni, caricare i contadini delle loro terre sulla jeep e portarli ad Hamadan per curarli o sbrigare altre faccende. All’epoca vedere due giovani ragazze ancora adolescenti, figlie di un nobile, portare i contadini in auto e guidare su piste sterrate di montagna era uno spettacolo davvero inusuale.

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Mary dopo un primo matrimonio con Jacques de Bavier, figlio di un diplomatico svizzero, da cui ebbe l'unica figlia, Narghes, si sposò in seconde nozze con Majid Bakhtiar, un capo della tribù Bakhtiari che tra le altre cose, allevava cavalli arabi Asil del Khuzestan. Fu un amore che durò tutta la vita quello tra Mary, la tribù dei Bakthiari e i loro cavalli, anche quando divorziò da Majid, con cui rimase comunque profondamente amica. Majid era un uomo affascinante, che si trovava a sua agio presso la corte dello Shah come sotto le tende della tribù.

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Nel 1974 Majid Khan scommise di poter far atterrare il suo aereo di notte sulla spiaggia vicino al palazzo dello Shah, sulla costa del Caspio. L’aereo si schiantò e lui morì nel tentativo.

Quando Majid era ancora vivo Mary fu incaricata dallo Shah, Mohammad Reza Pahlevi, degli affari tribali. Il governo desiderava sedentarizzare le tribù nomadi, che erano viste come troppo indipendenti e destabilizzanti per l'autorità centrale. Fece del suo meglio per resistere a questa politica che considerava profondamente sbagliata, sia per motivi culturali sia per ragioni economiche:  i nomadi con le loro greggi fornivano al paese il fabbisogno di carne e se fossero stati costretti a stabilizzarsi le pecore, abituate a migrare per evitare la neve d’inverno e il caldo estremo d’estate, sarebbero morte.

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Durante una carestia che colpì duramente le tribù Mary aveva ordinato un'enorme quantità di farina e mangime per animali senza attendere l'autorizzazione del governo. Il ministero rifiutò di pagare. Dovette vendere la casa che aveva con la sorella e la madre a Teheran per pagare il conto. Fu rimossa dal suo incarico e le fu proibito di entrare nei territori tribali. Allora si ritirò a casa di Majid Khan vicino al Golfo Persico e si concentrò sullo studio dei cavalli arabi del Khuzestan.  Si racconta che qualche tempo dopo mandò uno di questi cavalli a partecipare a una gara a Teheran, dove sconsideratamente batté il cavallo dello Shah. Fortunatamente per lei, lo Shah la prese bene e le diede l’incarico di occuparsi della salvaguardia appunto dei cavalli persiani.  Mary acconsentì, a condizione di poter portare i cavalli al fresco del suo villaggio di famiglia Varkaneh, d'estate.

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Dopo un lungo lavoro, riuscì a far riconoscere i cavalli Asil arabo-persiani del Khuzestan dallla World Arab Horse Organization (Waho). Passò gran parte della sua vita a scrivere lo Stud Book, il registro genealogico dei purosangue, le cui linee di sangue erano stampate nella mente dei loro proprietari per generazioni ma non erano mai state messe per iscritto. Per scriverlo, viaggiò per anni in jeep, a cavallo e persino a dorso di cammello in lungo e in largo per l'Iran, con qualsiasi tempo e spesso su terreni difficili. Intervistava i proprietari e gli allevatori registrando i pedigree, prendendo i dati, prelevando il gruppo sanguigno per congelarlo e cogliendo ogni opportunità per imparare la storia dei cavalli che erano diventati il ​​lavoro della sua vita. 

Mary era anche la principale esperta iraniana di agricoltura in terre aride e lavorò a beneficio delle tribù nomadi del paese, specialmente in tempi di carestia e terremoti, guadagnandosi il rispetto di coloro che la conoscevano e lavoravano con lei.

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Sebbene il primo Stud Book degli Asil arabo persiani sia stato accettato dalla Waho nel 1976, dopo due visite di indagine e ispezione, seguirono molte difficoltà e interruzioni. Ci sono voluti molti anni, fino al 1999, perché Mary completasse il lavoro di “prova del controllo dell'allevamento” come richiesto dall'associazione. In questo fu assistita da amici e colleghi della Federazione Equestre della Repubblica dell'Iran e dall'Associazione Asil.

In quegli anni Mary andava spesso in Italia a trovare sua sorella Turan, che nel frattempo si era sposata con un diplomatico italiano, Enrico Guastone Belcredi. Anche la figlia di Mary, Narghes, per motivi famigliari viveva a Roma con i nonni paterni. Ogni viaggio in Italia durava almeno un mese e mezzo, periodo in cui Mary era inseparabile dalla figlia.

Negli anni Settanta l’Iran si stava modernizzando profondamente e la vita di molti persiani stava cambiando, così anche per i nomadi. La tribù dei Bakthiari iniziò a sostituire i cavalli con dei moderni pick-up per le migrazioni in cui si cercavano pascoli migliori per le pecore. Questo creò seri problemi alla salute dei cavalli Asil, che non erano abituati alle torride estati del Khuzestan. Mary incominciò quindi a organizzare la migrazione dei cavalli, al solo scopo di preservarne la salute e conservarne la specie. Il suo lavoro fu raccontato in uno splendido documentario anni settanta dal titolo “Migrate to Survive”.

Mary con un gruppo di nomadi, dopo che la gran parte di essi era già partita con le pecore e i pick-up verso pascoli più freschi, migrava conducendo personalmente una sessantina di cavalli arabo persiani in un viaggio di 500 chilometri che durava 14 giorni. La migrazione partiva da Aghili, in Khuzestan, dove il suo ex marito Majid aveva dei possedimenti, per arrivare a Varkaneh, sulle montagne degli Zagros, l' antico feudo della famiglia Gharagozlou di cui Mary e sua sorella Turan, erano eredi. Mary aveva costruito a Varkaneh delle scuderie in pietra per settanta cavalli.

Dal Khuzestan a Varkaneh i cavalli tornarono così a migrare, seguendo i cambiamenti delle stagioni. Il Khuzestan è fresco e mite d’inverno, quando gli Zagros sono freddi e pieni di neve, mentre d’estate diventa torrido e umido e gli Zagros sono freschi e pieni di pascoli verdi. La partenza era sempre un momento particolare, molte delle donne sapevano che non avrebbero visto i loro mariti e figli per mesi, così come gli uomini che provenivano da Varkaneh non vedevano le famiglie da tempo. Il primo ostacolo era oltrepassare il fiume Karun. Facevano salire i cavalli su delle imbarcazioni piatte, facendo molta attenzione che non si innervosissero.


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Durante le prime fasi della migrazione si passava sotto uno splendido castello, una fortezza costruita in cruda terra da un Khan dei Bakthiari, castello ormai malridotto ma di cui si intuiva ancora la maestosità. I nomadi, da molti secoli, erano soliti accamparsi sotto le sue altissime mura. Passata la fortezza ci si addentrava in zone desertiche.

I Bahktiari avevano compreso nei secoli che i cavalli che migravano erano più sani, forti e avevano un maggior senso dell’orientamento. Questa migrazione secolare, insieme ad altri fattori, ha probabilmente avuto un ruolo nella selezione degli Asil del Khuzestan.

Passato il deserto, i cavalli dovevano affrontare un ostacolo di tipo diverso, la città di Dezfull, che negli anni Settanta era in pieno boom. Per evitare il traffico e il caos cittadino,  la si attraversava a notte fonda. Successivamente, per passare un tratto desertico montagnoso con cime molto ripide, per risparmiare un po' di tempo gli animali venivano caricati su un treno. Per fare quest’operazione era fondamentale fare entrare per primi cavalli molto calmi ed equilibrati. Se infatti il primo cavallo si fosse innervosito gli altri sarebbero diventati sospettosi e non sarebbero più entrati. 

In qualunque situazione complessa, è importante capire la personalità di un cavallo e scegliere quelli più calmi. Negli anni Settanta, poi,  erano molto aumentati i rischi per gli animali cavalli durante il percorso della migrazione, soprattutto per la costruzione di nuove strade e per l’aumento del traffico di auto e camion. Per far passare sessanta cavalli, bisognava far fermare il traffico.

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Il viaggio prevedeva uno stop di due giorni per far riposare i cavalli e permettere agli uomini di andare al bazar per comprare nuove provviste, e regali per le famiglie.  La tribù dei Bakhtiari, con il gregge a seguito, faceva lo stesso percorso qualche giorno prima, fermandosi a far pascolare gli animali nei siti migliori durante il tragitto. Quando finalmente i sessanta Asil arabo iraniani arrivavano a Varkaneh,  venivano accolti dalle donne che bruciavano incenso. Le scuderie in pietra del villaggio vennero poi donate da lei e sua sorella, insieme alla casa e al villaggio, allo Stato per farne uno dei centri della Royal Horse Society.  Mary scrisse anche un lungo romanzo  su una donna Bakthiary, conservato in famiglia e rimasto ancora inedito.

A seguito della rivoluzione khomeinista, ci fu un iniziale momento di grande difficoltà, che venne superato grazie all’intervento delle tribù nomadi; memori dell’aiuto che Mary aveva dato quando lo Shah aveva tentato di sedentarizzarli a forza, chiesero al nuovo governo di farle continuare il suo lavoro. Fu grazie al loro intervento che Mary superò momenti bui e riprese l'attività con la Federazione Nazionale Iraniana dei Cavalli. Visse gli ultimi anni della sua vita occupandosi solamente della salvaguardia degli Asil. Ebbe il sostegno di sua sorella e di amici di famiglia molto cari, come Azita Arfa, il marito Saeid Keyvani e le figlie Lea, Hilly, anche essa allevatrice e addestratrice di cavalli e Batia Benjamin e altri benefattori.  Tra loro anche Ido Picchioni, capo dell’Ansaldo a Teheran che teneva la sua cavalla da Mary e che casualmente era anche vicino di casa dei miei nonni, Enrico e Turan, nelle campagne dell’Oltrepò. Ido per anni ha portato avanti e indietro i pacchetti che mia nonna e mia zia si spedivano in epoche in cui spedire in Iran un pacco non era affatto facile.

Mary morì nel 2000. Volle lasciare la sua casa di Khordan, parte delle scuderie e metà della proprietà del famoso stallone Mubarak, da poco deceduto, all’esperta di cavalli Katharina Gottstein Ghalavand, che oggi gestisce le proprietà con la figlia Katayoun.  Ha lasciato dietro di sé un mondo in cui la maggior parte degli eredi, sono donne. Si circondò di tante donne alle quali negli anni ha tramandato le sue conoscenze tra cui le sorelle Benjamin e  Shirin Salartash. L’equitazione in Iran è oggi un mondo estremamente competitivo e dal volto profondamente femminile. Un mondo che ho potuto scoprire personalmente, anche grazie al prezioso aiuto di Lea, Hilly e Batia Benjamin e agli amici bakhtiari, tra cui Amir Hussein Shahabi, la moglie Fariba e i figli Mohammad Nassir e Amir Arsalan, che vivono e allevano ancora tra i migliori puro sangue Asil arabo persiani, nello splendido villaggio di Aghili in Khuzestan.

 


approfondimenti: 

http://www.waho.org/introducing-the-asil-horse-of-khuzestan-iran/

http://www.waho.org/mrs-mary-leila-gharagozlou-iran/

http://www.iranasilassociation.com/eng_pages/en_ghare_gozloo.aspx

https://www.independent.co.uk/news/obituaries/mary-gharagozlou-9206857.html

http://www.wandernimiran.com/asil/6.pdf

 

 

*LUCA FORTIS (Mi considero un nomade, sono attratto dai percorsi irregolari, da chi sa infrangere le barriere e dalla scoperta dei tanti “altri”. Ho un pizzico di sangue iraniano. Sono giornalista freelance specializzato in reportage dal Medio Oriente e dalle realtà periferiche o poco conosciute dell’Italia. Lavoro anche nel sociale a Napoli)

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