UNA FINESTRA SULLA NATURA - 13) Un orsetto sul lago, e la vita in stand by

di LUIGI EPOMICENO*  

Tra le mie pessime abitudini c’è quella di non ricordarmi i nomi. E’ una forma di pigrizia (ne ho anche altre) che mi costringe ad escogitare tecniche mnemoniche un po' come quelle usate da Pico della Mirandola. Alcune sono sofisticate, altre un po' banali: basta scorrere la rubrica telefonica del mio cellulare per scoprire di quale raffinatezza parlo.

Avendo vissuto in tante città diverse, ho notato che i nomi delle persone tendono a seguire un filo conduttore, una logica comune a seconda della storia del luogo. Così tra gli amici di Roma vi sono molti nomi di chiara origine imperiale ed antica: tanti si chiamano Massimo, Fabio, Claudio, Augusto, Cesare, Achille, Giulia, Flaminia. Gli amici pugliesi seguono invece una traccia più religiosa: Nicola, Santo, Cristiano, Salvatore, Angelo, Maria, Immacolata.

Salvare nella mia rubrica anche i loro cognomi sarebbe una soluzione facile ma non mi aiuterebbe un granché, non riuscendo comunque a ricordarmi chi siano. Devo quindi ricorrere a dei suggerimenti: un po' come gli antichi usavano aggiungere ai nomi propri le provenienze, titoli, soprannomi o i mestieri delle persone: nascono così Leonardo da Vinci, Erasmo da Rotterdam, i vari Barbieri, gli Schumaker, i Medici, i Pazzi.




Pasquale è un mio amico di Scanno. Lo conobbi nel 2002. Diventammo colleghi in una delle mie innumerevoli missioni di ristrutturazione aziendale di cui mi occupavo all’epoca.

A pensarci bene non è corretto dire che Pasquale è di Scanno. Per il suo attaccamento alle sue origini, per la sua conoscenza del posto e delle persone, per la dedizione che mostra per la valorizzazione delle sue tradizioni, cultura e socialità, è più opportuno dire che Pasquale personifica Scanno. In altri tempi si sarebbe chiamato Pasquale da Scanno.

Dalla topografia del luogo si nota subito il perché Scanno rientri di diritto nella secolare tradizione della Transumanza, quella lunga passeggiata in discesa verso le valli meridionali che i pastori erano costretti ad effettuare ogni anno per nutrire le proprie greggi. Sarei curioso di sapere se il nome di Scanno derivi da un sostantivo o da un verbo.

Tornando a noi, nella mia rubrica Pasquale figura come “Pasquale Amico di Scanno.

Dopo 17 anni da quando ci conoscemmo, con mia moglie, decisi finalmente di trascorrere una breve vacanza tra i monti della Marsica, nei pressi del PNALM. La calura di Roma in quell’estate esigeva un luogo fresco, e aiutato da Pasquale riuscimmo a trovare una camera vista lago.

Già la strada tortuosa scavata tra i monti merita un viaggio a sé, ma nemmeno arrivi nel centro abitato che la vastità del lago ti avverte che stai per entrare in un luogo incantevole. Non vi nascondo che ho messo Scanno molto in alto nella classifica dei luoghi della nostra “Bella Italia” che preferisco.

Tra Biologia e Sociologia ho una preferenza per quest’ultima: perché è l’unica che capisco. Certamente non resto indifferente di fronte alle meraviglie inspiegabili della Natura (l’avrete capito) ma sono più intrigato dalle relazioni che il genere umano è capace di creare con l’habitat che lo circonda. Nel bene e nel male.

E in questo Scanno merita un capitolo a sé.

Gli abruzzesi in genere sono molto attaccati alla propria terra, una caratteristica comune anche ad altre regioni. Un attaccamento che però riguarda soprattutto le tradizioni e la Natura, e l’immensa macchina di protezione di essa rappresentata dal Parco Nazionale ne è prova.

Un indice di quest’orgoglio è la serenità e rispetto con cui gli scannesi (spero si chiamino così) convivono con tutta la biologia che li circonda (umani compresi).

Se ad esempio pensi di rapinare il noto lago a forma di cuore dei suoi pesci, è meglio che ci ripensi. Così anche se credi di poter sparare indiscriminatamente ad ogni forma di vita.

Questa immedesimazione con la Natura la vedi con la (quasi) totale indifferenza con cui si lascia una volpe girare per i vigneti e con cui gli orsi marsicani (Ursus arctos marsicanus) possono gironzolare indisturbati per le campagne circostanti e persino tuffarsi nel lago.

Non fraintendetemi! Non che i bambini giochino a palla nella piazzola di Santa Maria della Valle con i carnivori selvatici, ma sapere che di notte puoi incrociare mamma orsa e i suoi piccoli senza che si scateni una fobia assassina che raduna una schiera di cittadini per la caccia al Demone, è rassicurante. Anzi, se fai notare a Pasquale o a un suo concittadino che la notte prima in paese è stato avvistato un orso, la risposta non è “maledetto, lo faremo fuori” bensì “capita spesso!”

Segno evidente di una pacifica convivenza.


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(Orso marsicano con un cucciolo         foto di Paolo Iannicca)


La Natura però è sempre la Natura. Tendenzialmente un animale selvatico fugge alla presenza di esseri estranei o a cui non è abituato. Provate ad avvicinarvi ad una lucertola o a un pesce. Difficilmente ci riuscirete. Eppure l’avvicinamento verso luoghi abitati, che siano città o residenze isolate, è segno di una esigenza che spinge l’animale a superare una riluttanza ad avvicinarsi verso un potenziale rischio: quasi sempre è l’esigenza di nutrirsi.

L’orso è uno degli animali che riesce a regolare i propri ritmi biologici in grande sintonia con l’habitat in cui vive. In realtà non ci è dato di sapere se è una specie che riesce ancora a farlo o se invece appartiene alle poche specie capaci di farlo.

Il rallentamento del suo metabolismo durante il sonno profondo invernale (con l’0rso bruno si tratta di uno pseudoletargo) ne è un esempio, ma il suo meccanismo riproduttivo ne è testimonianza esemplare.

Il fenomeno si chiama diapausa embrionale ed è una meraviglia biologica che a raccontarla non ci si può credere.

Prima di darvi qualche dettaglio in più vi racconto come il fenomeno della diapausa si inserisce nel percorso evolutivo della specie interessata (sono circa 130 i mammiferi interessati).

Un paio di settimane fa, in occasione della Festa della Repubblica, alcuni amici erano in gita al Lago di Scanno, che vi rammento essere a forma di cuore (vi consiglio di recarvi presso le alture circostanti per godervi lo spettacolo dall’alto!) Durante una pausa, in piena mattinata, nei pressi della chiesa di Santa Maria dell’Annunziata, si sono affacciati alla ringhiera di protezione lungo la strada per perdersi nel silenzio del lago. I cerchi concentrici che si propagavano da dietro la fitta vegetazione che affacciava sul lago lasciavano intendere la presenza di un corpo in movimento: forse un Cigno o Germano reale del posto.

Il rumore di un respiro affannoso tradiva quest’aspettativa, e all’improvviso spuntava prima il naso, poi il muso ed infine il resto del corpo di un cucciolo di orso bruno. Dalle dimensioni, ma poi anche per il fenomeno della diapausa, avrà avuto un’età di circa 14-18 mesi. Già munito di collare, era sicuramente conosciuto e targato. Un orso residente e confidente.

Quel tratto del lungo lago è piuttosto trafficato e frequentato dagli abitanti e turisti. Il lato diametralmente opposto invece è abbastanza isolato con alle spalle aree collinari e boschive dove la presenza di animali è facilitata. E’ probabile che l’orsetto, scendendo dalle alture, sia partito da questo lato e abbia attraversato tutto il lago a nuoto: una distanza di almeno 300 metri.

Salito su un blocco di cemento, forse una volta un punto di attracco di un natante, il cucciolo (a vederlo mi riferiscono di circa 50 chili di peso) seduto sulle zampe posteriori allungava il collo e il naso per catturare chissà quali odori la brezza mattutina gli portava a tiro.

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(L’orsetto protagonista)


Un timido accenno di ruglio sembrava una richiesta di aiuto e resosi conto che attorno c’era ben poco da spiluccare, alzatosi sulle zampe posteriori, l’orsetto poggiava quelle anteriori sul muretto di contenimento del lago, raggiungendo la classica posa eretta di un orso spavaldo. Sembrava alto già un metro e mezzo se non qualcosina in più.

Gli amici, per evitare che tentasse di salire e scavalcare la ringhiera e trovarsi nel mezzo della strada regionale hanno cercato di dissuadere ogni tentativo di salita con schiamazzi vari, riuscendo, in quattro, a creare rumori tali da attirare anche l’attenzione del vicinato, il quale, incuriosito ma non meravigliato, ha assistito allo spettacolo.

Preso il largo, il piccolo continuò la sua nuotata verso la sponda opposta. Avendo i residenti chiamato i Carabinieri Forestali, la vicenda si sarà conclusa con l’accompagnamento dell’orso verso la zona boschiva circostante.

Quindi?

Ecco che arriva il bello.

E’ noto come vi sia una diretta correlazione tra sviluppo economico e nascite, acquisti di prime case, prodotti alimentari e arredi per bimbi o abbigliamento per puerpere. In pratica la consapevolezza dei futuri genitori di poter accudire al nascituro incoraggia e stimola il processo umano della riproduzione. La sicurezza che si possa affrontare la fase post natale con tranquillità praticamente dà avvio al ciclo accoppiamento-fecondazione-gestazione-parto ed infine accudimento e crescita della prole.

La diapausa si inserisce in questo ciclo e (letteralmente!) sospende la fase fecondazione-gestazione. E’ una specie di congelamento del processo embrionale di divisione cellulare grazie al quale l’ovulo fecondato diventa alla fine un organismo vivente multi-cellulare. (Per i tecnici una sospensione dello sviluppo embrionale allo stadio di blastocisti).

Come tante scoperte scientifiche, anche questa è nata da un’osservazione della Natura. Già a metà del 1800 alcuni cacciatori notarono un notevole ritardo tra il periodo di accoppiamento e quello del parto del Capriolo (Capreolus capreolus). Pare che questo fenomeno venne osservato già attorno al 1650 nel Cervo Nobile (Cervus elaphus). Si notò che il ritardo non era di pochi giorni, bensì di alcuni mesi. Infatti la stagione del periodo di calore per il capriolo è tipicamente agosto, ma anche in seguito agli accoppiamenti estivi, nei campioni che gli scienziati di allora osservarono non si trovava presenza di un embrione nell’utero fino al gennaio successivo. Cinque mesi dopo!

Eppure questo ritardo non era assimilabile a ritardi della fecondazione dell’ovocita bensì a un vero e proprio ritardo nell’impianto dell’embrione nella cavità uterina. (E’ questa la condizione necessaria per dare avvio al processo di sviluppo del feto.)

Nonostante ciò, al momento opportuno, il ciclo riprendeva normalmente il suo corso e la gravidanza proseguiva senza problemi fino alla nascita nel periodo primaverile. Una vera e propria messa in stand-by!

Questo ritardo nell’impianto è la diapausa embrionale, indotta in modo del tutto naturale da quattro fattori: 1) la disponibilità stagionale di cibo; 2) dalle temperature dell’habitat; 3) il fotoperiodismo, cioè la relazione degli organismi con i periodi di luce ed infine 4) il periodo di allattamento.

Da allora i progressi della tecnologia hanno fornito gli strumenti per comprendere il meccanismo nei minimi dettagli, sebbene sia ancora necessario proseguire nella ricerca per capire non tanto il perché quanto il come avvenga il rallentamento a livello molecolare. Inoltre queste ricerche stanno aprendo molte frontiere anche nella ricerca sui tumori. Capire come avvenga il ritardo nello sviluppo delle cellule fornirebbe strumenti utilissimi per scoprire come frenare lo sviluppo sregolato delle cellule tumorali. (Del resto lo sviluppo della medicina e farmacologia funziona così!)

Tornando al nostro orsetto, la diapausa embrionale negli orsi bruni rivela una strategia della Natura ancora più intrigante rispetto a quella adottata dal capriolo. Come animale solitario, la Natura ha concesso alle femmine di orso ripetuti periodi di calore. Ciò consente di conseguenza ripetute ovulazioni ed accoppiamenti con esemplari maschi diversi. Abbinando ciò al ritardo della diapausa, nel momento della riattivazione del ciclo di sviluppo embrionale si dà luogo alla nascita probabile di più esemplari di varia paternità, con conseguente rafforzamento genetico della specie. (Per vostra curiosità la diapausa embrionale è stata confermata anche nel Panda gigante, Ailuropoda melanoleuca).


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(foto da pixabay)


Il cucciolo solitario nel Lago di Scanno non era affatto abbandonato, anzi stava percorrendo solo un breve tratto a nuoto della sua lunga strada di sviluppo in adulto. Sicuramente avrà avuto anche dei fratelli i quali in modo del tutto autonomo si trovano lungo altri percorsi di crescita tra gli amichevoli monti della regione.

L’essere da solo, in primavera, non era un caso ma l’obiettivo stesso della diapausa. La ripresa vegetativa, le temperature più miti, il crescendo delle ore di luce ed infine la ripresa delle funzioni riproduttive della madre sono i fattori che combinati hanno dato l’avvio al processo di indipendenza della prole, della loro sopravvivenza e di quella della loro specie.

Il tempismo è tale che lo sviluppo del feto avviene durante il riposo dello pseudoletargo e non in piena attività dell’adulta, evitando così il rischio di perdere il feto nei movimenti o per infortunio, con ovvie conseguenze in termini di mantenimento della specie. Non a caso il parto avviene tipicamente nei mesi invernali quando, nascosta nella tana, le riserve di grasso della madre sono al massimo favorendo l’allattamento della prole. L’affaccio all’aperto nel periodo più caldo quando i piccoli sono in grado di camminare offre più libertà di movimento e quindi agevola il nutrimento della madre indebolita dal parto e allattamento La ripresa delle forze poi la prepara per la nuova stagione riproduttiva.

Con questa vera e propria programmazione naturale il nostro orsetto sarà stato concepito nella seconda metà del 2019, nato nei primi mesi del 2020, avrà fatto i primi passi nella primavera, iniziato a giocare nell’estate scorsa, scoperta la fatica di procurarsi il cibo nei mesi successivi, arrivando alla primavera del 2021 in cui ha iniziato il suo percorso indipendente di vita.

Quanti millenni ci sono voluti per perfezionare questo ciclo?

Quando ho menzionato l’accaduto all’amico Pasquale, ebbi un secco “Si lo sappiamo! Lo stavamo seguendo da qualche giorno.”

Conoscendo Pasquale, non poteva essere che così.

 

**********

 

Con una popolazione mondiale proiettata a raggiungere il numero di 10.000.000.000 (dieci miliardi) di esseri umani per il 2050, potete capire che una delle (tante) maggiori sfide che si dovrà affrontare è quella della co-esistenza di tanti esseri su questo (unico) Pianeta

Lo scatenarsi della recente pandemia ha alzato l’attenzione su molte questioni ecologiche riportando in prima pagina dei giornali articoli che riguardano la sostenibilità o la biodiversità una volta limitati a poche righe in terz’ultima.

Tuttavia la vicenda del nostro orsetto o una simile storiella che magari interessa un lupacchiotto tra le Alpi o sulla Sila in realtà riguarda una problematica tanto complicata che noi profani non possiamo immaginare.

Avrete notato che stiamo passando gradualmente da un approccio di “salviamo la specie” ad uno che aggiunge una dimensione sociale al problema di natura biologica. Stiamo parlando sempre più di convivenza con le specie, con il mondo naturale. L’attualità di San Francesco (e di Papa Francesco) sta proprio in questo e la sfida si materializza anche sul fattore tempo.


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(Il lago di Scanno)

Attenzione però alla semplificazione, perché non si tratta di schierarsi con chi grida “salviamo il lupo” (o l’orso) oppure chi vuole vendetta con “a morte…”



La vittoria dell’uno o dell’altro schieramento non porterà né alla salvezza della specie né alla sua estinzione. Ne dà solo una mano.

La questione è più ampia e riguarda l’habitat, aspetti sociali quali la paura e i pregiudizi, conflitti di natura economica sia locali che transnazionali, problemi di natura genetica o demografica, la frammentazione dei territori, abitudini sportive o anche conflitti con altri progetti di conservazione.

Persino prendere una posizione politica sulle migrazioni clandestine umane ha un effetto sulla presenza di un orso nel proprio giardino. Gli animali camminano e migrano, per cui trovarsi una barriera di filo spinato o reti altissime li costringe a deviare da un percorso naturale, dirottandoli verso sentieri che potrebbero alla fine confluire in zone abitate da umani.

Che il problema assuma una dimensione transfrontaliera è dimostrato da lupi piemontesi che sono stati rintracciati a Bonn, in Germania, e anche a Barcellona!

Un effetto analogo deriva anche dall’abbandono delle campagne e dell’agricoltura rurale, per cui una folta ricrescita di vegetazione varia o di aree boschive incoraggia, sostiene ed accresce la presenza di vari animali a loro volta prede naturali di orsi e lupi, creando così le condizioni favorevoli per quest’ultimi, con tutte le conseguenze biologiche derivanti, tra cui soprattutto il ripopolamento.

L’estensione del fenomeno della convivenza poi entra in conflitto anche con il mondo amministrativo/territoriale. Pensate ad esempio ai confini tra due stati dove in uno è vietato cacciare una specie e a pochi metri oltre la frontiera è consentito invece l’abbattimento. Senza nemmeno andare troppo lontani, vi sono diverse normative anche tra le nostre regioni.

Entrano in gioco anche fattori economici. Il pastore che subisce ripetute perdite di animali a causa degli attacchi di predatori e che ottiene indennizzi economici insufficienti o non ne ottiene affatto, finisce col cambiare mestiere o cambiare voto, scagliandosi con chi gli eliminerà il problema o del predatore o dell’indennizzo. Pensate alla immediata conseguenza sul piano della conservazione della specie.

D’altro canto sono già esistenti numerosi tentativi da parte delle amministrazioni per gestire la problematica della predazione degli allevamenti che affrontano non solo l’indennizzo ma anche la prevenzione. I fondi stanziati per la costruzione di recinti oppure altri strumenti di dissuasione ne sono un esempio, ma come potete immaginare si entra anche in una sfera di opportunità politica.

Proprio quest’ultimo aspetto diventa poi un elemento importante nella risoluzione del problema. Quando una pagina di giornale sposta più voti di un piano strategico a lungo termine, una sola pecora uccisa, o l’uccisione del suo aggressore, può costare il posto a un sindaco o a un intero progetto di conservazione.

Come vedete è molto facile che un animale selvatico possa essere nel contempo un angelo o un demone, e molto dipende anche da quanto si è vicini al problema. Pensate che spesso prendiamo una posizione senza neanche mai aver visto l’animale in questione! L’adozione a distanza è un esempio.

 

La complessità di amministrare il Pianeta quindi altro non è che la gestione di amministrare conflitti di vario genere. Per capire cosa e come fare bisogna prima capire cosa vogliamo. Purtroppo è già questo il primo dei problemi e la sola “buona volontà” ha dato ampia dimostrazione di non essere sufficiente per affrontarli.


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(foto da pixabay)

L’immagine lieta e pacifica del Poverello di Assisi e l’amichevole approccio con la Natura della popolazione di Scanno devono essere degli obiettivi da raggiungere per la collettività più ampia. La scienza ha già compiuto gli avanzamenti necessari nel fornire gli strumenti utili per gestire l’interazione tra l’essere umano e gli ecosistemi, ma non può fornire i confini del compromesso derivante dalla co-esistenza; un concetto esclusivamente politico.

La pandemia Covid-19 ha mobilitato gran parte del pianeta ad affrontare gli effetti mortali di un micro-organismo. Presto si quantificherà il suo costo sociale, che si aggiungerà al già altissimo costo di vite umane. Gli effetti della diffusione del contagio sono stati rapidamente stimati e hanno portato al convincimento diffuso del “what ever it takes” del nostro attuale Primo Ministro.

Questa rapida decisione però sembra impossibile quando si tratta della problematica multi-dimensionale ed interconnessa della salvezza non solo del Pianeta ma del genere umano.

Non solo dobbiamo stabilire quanto si vuole spendere per salvare dall’estinzione l’orso (marsicano o polare che sia) ma anche quanto ci costerebbe non farlo. E così via per gli oceani, i rinoceronti o le tigri.

L’orsetto di Scanno da un lato porta con sé una meraviglia biologica inimmaginabile e dall’altro rappresenta un conflitto esistenziale di proporzioni altrettanto inimmaginabili.

L’importante è non distogliere l’attenzione dal fattore tempo, che agisce come un cappio attorno al collo.

*LUIGI EPOMICENO (Nato nel 1957. Sono mezzo americano e mezzo italiano, pugliese di origine, forse greco di stirpe, romano di adozione, con soste prolungate a Firenze, Milano, Genova, Chicago e Londra e continue a Parigi, Marsiglia, Madrid, New York, Amsterdam, Eindhoven, Dusseldorf, Monaco di Baviera, Praga, Amburgo, Bruxelles e Lisbona. Ho girato tutta la Grecia, l’Albania, la Francia, la Spagna, la Turchia e gli USA e ho messo piede in tanti altri posti che neanche ricordo, da Seul a Iguazù, dal Canada al Marocco passando per le isole Lofoten. Ora sono in un altro mondo. Un mondo nel Mondo. Da quasi un anno e mezzo sono il Direttore Generale del Bioparco di Roma. Prima ho fatto tante altre cose. Alcune divertenti, altre meno)


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