Un giorno a Procida, fuga dalla pandemia

di TINA PANE*

Mi è capitata l’occasione, e l’ho colta al volo, prevedendo il doppio salto verso la zona rossa, di tornare a Procida per 24 ore rientrando a Napoli il giorno prima dell’inizio del nuovo lockdown. 

1 procidaJPG

La scusa me l’ha offerta un’amica che ha una bella casa sull’isola con annessa meravigliosa terrazza vista mare 

2 terrazzajpeg

e un giardino con qualche albero da frutto. Lei voleva cogliere gli agrumi già maturi, io volevo sbirciare l’atmosfera autunnale, a entrambe faceva piacere una fuga dalla città.

L’atmosfera ovattata del pomeriggio breve di novembre ci ha avvolto appena sbarcate. I negozi volenterosamente aperti e illuminati, molti ristoranti chiusi, ma in quest’epoca è normale, e poca gente per strada, anche alla Marina, che è sempre la zona più vivace.

3 marinaJPG

 I primi incontri, col pizzaiolo-disk jockey, col fornaio specializzato in gluten free, con la signora che accompagna mio padre alla dialisi, erano tutti stupiti: “E che ci fate qui?” – “La quarantena!”, ma nessuno ci ha creduto.

Poi la malinconia della grande casa chiusa dall’estate, il tappeto di foglie nel cortile, le biciclette coperte dalla plastica, la sospensione di vita che trasuda dalle pareti, dai mobili e dalle suppellettili, che pare aspettino un fiato umano per animarsi, per tornare utili. Il check è rapido e indolore, non ci sono sorprese, ma i sensi allenati della padrona di casa orecchiano i rumori dell’acqua dello scarico, il diverso cigolio di una porta, e si fissano su quell’infisso di legno che si è ingrossato, e oppone resistenza all’apertura.

Anche la spiaggia, che controlliamo da sopra la terrazza, mostra il suo volto di fuori stagione: un tappeto di alghe chiare fronteggia un’acqua che a riva è sporca di recente mareggiata e il piccolo lido tutto rinserrato sembra un giocattolo abbandonato da un bambino.

4 spiaggiaJPG

Ma abbiamo una missione, dotarci di qualche attrezzo da giardinaggio per domani, e ci buttiamo per strada prima della chiusura dei negozi. L’aria è tiepida, quasi dolce, e un aperitivo ci starebbe tutto, ma i bar naturalmente sono chiusi, per cui ci dotiamo di cappuccino a uno di quegli orridi buchi (si chiamano negozi automatici, però) che sputano bevande e merendine, e con quelli andiamo a Pizzaco, a sbirciare nel buio il profilo di Terra Murata dalla panchina sul belvedere intitolato alla Morante.

La serata è breve e casalinga, la pizza con l’impasto del supermercato edibile, la birra l’unica ebbrezza consentita, insieme a Un posto al sole. Poi andiamo a letto e piove.

E piove ancora, ma poco, l’indomani, e dopo un pessimo caffè da moka fuori uso ci concediamo la colazione al bar del Cavaliere che si disputa la palmares della migliore lingua (pasta sfoglia ripiena di crema) col dirimpettaio bar Roma. Gli zuccheri ci rianimano ed esce pure il sole, possiamo andare a lavorare.

5 soleJPG

Ah, la sana fatica della terra! Ah, le risate sulla scala con la pinza telescopica per raggiungere i frutti più alti e più maturi! 

6fruttijpeg

Ah, la soddisfazione di usare le cesoie per liberare due alberelli giovani soffocati da piante belle ma infestanti. Ah, scoprire che il fiore del limone è rosa e che le ortensie vanno decapitate senza pietà adesso che hanno un principio di secchezza e colori di appassita eleganza, se si vuole che la pianta fiorisca rigogliosa al prossimo ciclo. Ah, che stanchezza, e che fame!

7 ortensiejpeg

Ma c’è ancora da fare. Per il melograno siamo arrivate tardi, e i frutti sventrati dagli uccelli sono tutti a terra, a macchiare la pavimentazione e ostruire gli scoli dell’acqua, vanno raccolti e da soli riempiono un bustone, e poi c’è da piantare un microscopico abete (20 cm di altezza) che - la mia amica è sicura - è giovane ma crescerà.

8 abetejpeg

Mentre lei s’impegna a trovare il posto giusto, io ripulisco il vialetto ostruito dalle piante, ogni tanto maledicendo le limitate possibilità della cesoia economica da 12 euro.

Ci dobbiamo dare un time out a un certo punto, farci una doccia, mangiare un boccone, chiudere casa e utenze, caricare in auto le buste del bottino (mandarini, clementine, limoni e poche arance, ma anche la spazzatura, a Procida il sabato non si conferisce niente) e dirigerci al porto. Fare i biglietti senza fila, guardarci intorno per raccogliere le ultime scene, le ultime impressioni, incontrare un amico, prenderci un caffè, salire a bordo insieme alla malinconia.

9 a bordojpeg

E mentre su Procida calano le prime ombre della sera

10 ombreJPG

 scattare le ultime foto dal traghetto pensando Passerà, passerà, adda passà ‘a nuttata.

 

* TINA PANE (Napoli, 1962. Una laurea, un tesserino da pubblicista e un esodo incentivato da un lavoro per caso durato 30 anni. Ora libera: di camminare, fotografare, programmare viaggi anche brevissimi e vicini, scrivere di cose belle e di memorie)

clicca qui per mettere un like sulla nostra pagina Facebook
clicca qui per rilanciare i nostri racconti su Twitter
clicca qui per consultarci su Linkedin
clicca qui per guardarci su Instagram