Testo, un immenso scaffale di libri alla Leopolda

articolo e foto di FRANCO FELICE*

Alle 11 del 25 febbraio, ora d’apertura della prima giornata di "Testo", nonostante la pioggia c’è una fila di persone che non t’aspetti. Saranno tre giorni da vivere intensamente. I libri negli ultimi due anni non sono mancati, anzi, ne abbiamo letti di più, ma la maggioranza non è stata acquistata in libreria. I libri comprati direttamente in negozio hanno avuto sempre un sapore diverso e li custodiamo in un angolo speciale della nostra biblioteca. Finalmente ci si può rituffare nelle due enormi piscine di titoli, è così che appaiono le navate dell’ex stazione Leopolda a Firenze. Chiedo all’ufficio stampa le presenze, ma non riescono a darmi quelle ufficiali. “Le comunicheremo solo al termine della manifestazione, le iscrizioni sono ancora aperte”. “A ieri – riusciamo a strappare - si erano registrate più di cinquemila persone”. Già così non mi sembra poco. 


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Passiamo ai libri. Visto che c’ero, ne ho subito approfittato per arricchire la mia collezione di pubblicazioni specializzate sul ciclismo e su Coppi in particolare, con “Le bici di Coppi” di Paolo Amadori e Paolo Tullini e “Alfabeto Fausto Coppi”, pubblicate dalla “edicicloeditore”. Il primo, molto curato dal punto di vista grafico, grazie al sorprendente ritrovamento dei registri di produzione del Reparto Corse Bianchi appartenuti a Pinella De Grandi, mitico meccanico del Campionissimo, ha come protagoniste le biciclette, da strada e da pista, usate da Coppi nel corso della sua gloriosa carriera. 

Due libri che si aggiungono a pubblicazioni già in mio possesso, da Gianni Mura a Mario Fossati, Gianni Brera, Ugo Riccarelli, Orio e Guido Vergani, Giorgio Maioli; e, tra i libri su Coppi che preferisco e custodisco come una reliquia, un libricino del 1979 della casa editrice “piùlibri” (esisterà ancora?), su “Un uomo solo, vita e opere di Fausto Coppi”, a cura di Giorgio Casadio e Luigi Manconi. Mi soprese, a suo tempo, perchè conteneva un ricordo, meglio un “Rimpianto per un Campione” come Luigi Pintor scrisse per l’Unità. Non si sbaglia ad affermare che l’Unità tifava per Coppi. Scrive Pintor che in un campione “tutti riconoscono una parte di se stessi e delle proprie aspirazioni, perché gli tributano ammirazione e perché, quando esso cade, tutti se ne sentono in qualche modo colpiti”. E conteneva anche una poesia di Roberto Roversi, che, in un passaggio recita: “… L’Italia è contadina / nei campi i buoi bianchi dalle corna di luna. / Una guerra terribile è ancora vicina / con le ossa fra le macerie della strada. / Ma questa strada non ancora asfaltata porta a un’altra strada. / Gli operai in tutta azzurra lasciavano di / giocare a palla per guardare e / Coppi leggero leggero come un pensiero appoggiato sulle / ruote dell’ombra che aveva strani bagliori saliva / QUANDO BARTALI E COPPI. …”



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Mi chiederete: ma stai scrivendo un articolo su Coppi e non su “Testo”, la fiera dei libri di Pitti Immagine? No, no, su "Testo", ma tutto si tiene. Sempre di libri si tratta. Un quaderno bicolore, arancio e nero, lo trovi in ogni dove dentro i padiglioni della ex stazione Leopolda di Firenze (quella diventata famosa per un altro evento mediatico) ma lo distribuiscono appena ci si registra allo “sportello” Press, dove si chiede espressamente ad ogni visitatore di annotare impressioni su libri, stand ed eventi. Fanne l’uso che vuoi, c’è scritto, ma amando i libri. E personalmente ho deciso di puntare sui libri di ciclismo e su Fausto Coppi in particolare, che preferivo a Bartali, un altro campione che poi ho rivalutato non solo per le sue imprese sportive ma perché protagonista di altre imprese in bici, quando pedalava da campione partigiano, “postino degli ebrei” come scrive Oliviero Beha in “Un cuore in fuga” edito nel 2014, un altro titolo della mia collezione. Bartali usciva per sedute di allenamento che in effetti servivano per portare da Assisi a Firenze documenti contraffatti per permettere agli ebrei di sfuggire alla persecuzione nazista e fascista.

Sono ritornato sul ciclismo, ma è che nel mio quaderno nero-arancione di "Testo" stamattina metterei solo libri sul Campionissimo e sul suo più grande rivale.



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Sarà anche che la “edicicloeditore” è stata la prima tra le ottanta case editrici che espongono la loro preziosa merce alla Leopolda in cui mi sono imbattuto, sarà che ho avuto l’impressione che Coppi mi stesse aspettando, sarà un caso ma la prima tappa l’ho fatta lì. 

Ma cos’ha di particolare, di inedito questa tre giorni di libri? Mi sento di rispondere che, come l’hanno immaginata Maddalena Fossombrone e Piero Torrigiani della libreria indipendente Todo Modo, si tratta di una fiera del libro democratica. Una lunga doppia fila di tavoli tutti con le stesse dimensioni lungo le “navate” della Leopolda, fino a trasformarla in un immenso scaffale, di case editrici che espongono una raccolta ragionata di loro pubblicazioni, dove il nome dell’editore è in piccolo, che per leggerlo devi alzare lo sguardo. L’attenzione ricade esclusivamente sul libro, in quanto valore assoluto, nessuna pubblicità, nessun pannello promozionale, nessuno sfoggio di superiorità o grandezza, in una situazione di assoluta parità.

Essendo tavoli piccoli e delle stesse dimensioni agli editori è stato chiesto di mettere a disposizione solo i titoli a cui tengono di più. Marchi piccoli e grandi hanno scelto il meglio, il meglio di Adelphi, Giulio Einaudi, Mondadori, Bompiani passando per Sellerio, Treccani, Marsilio, Giunti, Giuntina, Neri Pozza, Quodlibet, Fazi, Minimum Fax, Hoepli, insieme a Gallucci, Orma, Nutrimenti, Valentina, Wom, Dami, Corraini, Fatatrac. Ne sono ottanta, ognuno con la sua selezione di titoli, a partire da sette “superlibri” al centro del tavolo, senza nessuna sovrabbondanza espositiva.



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Editori che si affidano, si mettono nelle mani delle librerie, in un sodalizio strettissimo. Alcuni editori hanno addirittura delegato la propria presenza a librerie indipendenti fiorentine. “Testo - dice Agostino Poletto, amministratore unico di Stazione Leopolda e direttore generale di Pitti Immagine - è un viaggio tra i libri e la bibliodiversità con un’attenzione speciale per la dimensione comunitaria dell’editoria, gli attori, le professioni, le conoscenze, le sensibilità che compongono l’ecologia editoriale. L’accurata selezione degli ospiti, la presenza paritaria di editori piccoli e grandi, la direzione artistica affidata a una squadra di curatori esperti, il coinvolgimento di un pubblico molto ampio, la rete locale e nazionale di soggetti che vogliamo valorizzare sono le caratteristiche che distinguono il nostro progetto”. 



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Tutto si è svolto sotto il segno del sette. Ogni lettore-visitatore segue un percorso di sette tappe, sono sette i tavoli dove fermarsi, sette i libri di cui parlare. Sette le stazioni dove si ricrea il ciclo di vita del libro. Ogni stazione, il Manoscritto, il Risvolto, la Traduzione, il Segno, il Racconto, la Libreria, il Lettore, presenta una fase della vita del libro dal lavoro dello scrittore a quello dell’editore, dei traduttori, grafici, promotori e librai, fino al lettore. Ognuno nel quaderno ha potuto annotare il suo percorso e i suoi libri, quelli virali (da consigliare), i libri abbandonati (senza senso di colpa), i libri interrotti (da riprendere), quelli sottolineati (da studiare), i libri di culto (da leggere e rileggere), i libri illustrati (da guardare), i libri ostili (da evitare), i libri prestati (da reclamare). A proposito dei libri prestati e mai tornati indietro ricordo, come si trattasse di un dolore fisso che mi accompagna da allora, un libro di Luigi Magnani, “La musica in Proust” della Einaudi che trovai in una bancarella di Bologna nei primi anni Ottanta. Poi ne ho ritrovato una copia, ma non era la stessa edizione. Per cui ancora oggi non mi sento di perdonare la persona, un amico, che se l’è tenuto. 


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A "Testo" è d’obbligo incontrare e confrontarsi con gli autori. Arena Olivetti, Sala Balzen, Sala Ginzurg, Sala Ortese, Sala Munari, dalle 11 è stato ogni giorno un continuo di iniziative, pieno di pubblico ovunque. Un’ora all’Arena Olivetti su “Scripta manent. Il ruolo del testo di moda nell’industria dell’immagine”, si bonifica e si ricomincia con “Scrivere le immagini”, con Oliviero Toscani. Scrittura e fotografia insieme, scritto e testimoniato da chi ha rivoluzionato la fotografia, scandalizzato e suscitato polemiche, riuscendo però a far diventare l'immagine commerciale strumento per far passare altri messaggi, a mettere la fotografia di moda al servizio della società. Eppure, “l’unico Paese che non mi ha mai chiamato per insegnare è l’Italia”.

 Per i suoi 80 anni che compie in questi giorni, il 28 febbraio, per La Nave di Teseo si è regalato un’autobiografia: “Ne ho fatte di tutti i colori. Vita e fortuna di un situazionista “. La sua filosofia: “Non parlo mai di foto, li chiamo scatti”. Il mestiere del fotografo, per Toscani, non esiste più. “Oggi tutti sono fotografi, schiacciabottoni, come li chiamava mio padre reporter. Un fotografo deve essere prima di tutto autore, poi sceneggiatore, poi scenografo, regista, direttore della fotografia, infine cameramen che scatta la foto”. E annuncia che a Berlino il primo aprile prossimo pubblicherà una ricerca fotografica, cento ritratti, sui tedeschi del XXI secolo.  Poi fotograferà le facce degli italiani che gli piacciono. “Continua la mia ricerca sulla razza umana”.IMG_0263jpeg



Esco dall’Arena Olivetti e mi imbatto in quello che chiamo “angolo Gregor Von Rezzori”, un tavolo, una Olivetti 44, una foto incorniciata dello scrittore, alcune sue pubblicazioni, “Un ermellino a Cernopol”, “Memorie di un antisemita”, “Uno straniero nella terra di Lolita”. Chissà perché questa visione mi spinge con la mente in Ucraina.  

Cerco subito e rileggo il commento di “Memorie di un antisemita” che Claudio Magris fece in un’intervista al Corriere della Sera quattro anni fa: “Un grande libro su e contro l’antisemitismo, proprio perché ne esplora la latenza, ancora inconscia e innocente, in molti magari ignari di esserlo e soprattutto in molti di coloro che provengono dalla Mitteleuropa. Come quella scena mirabile in cui il protagonista si accoda passivamente, senza entusiasmi e con molte incertezze ma pure si accoda al corteo dei viennesi che festeggiano nel 1938 l’arrivo di Hitler». 

 

 

 *FRANCO DE FELICE  (Del 1949, nativo sambenedettese e con la passione del mare. Studi classici, ingegnere meccanico mancato per colpa del giornalismo. Ho cominciato nel 1975 con l’Unità, da San Benedetto del Tronto ad Ancona, a Bologna a Roma. Ho lasciato l’Unità nel dicembre del 1988 per la Rai, ricominciando di fatto lo stesso percorso, da Ancona a Bologna, poi a Firenze, dove per dodici anni sono stato a capo della redazione toscana. La mia residenza è ancora in provincia di Firenze, ma il cuore è rimasto a San Benedetto del Tronto)
 


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