Recuperare la linea gotica, solitudine e memoria

di STEFANO ARDITO* 

 Tra i boschi di Gaggio Montano, sull’Appennino bolognese, si alza un monumento sorprendente. Due luminosi archi bianchi, disegnati dalla scultrice Mary Vieira, ricordano l’impegno dei 25.000 uomini della FEB, la Fôrça Expedicionária Brasileira.  

Sbarcati a Napoli nell’estate del 1944, i soldati brasiliani sono stati protagonisti di durissimi scontri, nell’inverno successivo, sull’Appennino tra la Toscana e l’Emilia. Sulla dorsale del Monte Belvedere, accanto agli uomini arrivati da San Paolo e da Rio, hanno combattuto le truppe da montagna della US Army e le formazioni partigiane locali.  


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Cento chilometri più a est, ai piedi delle rocce e delle torri medievali di San Marino, un monumento più semplice ricorda un militare arrivato dal cuore dell’Asia. Si chiamava Sher Bahadur Thapa, era un fuciliere dei Gurkha, i nepalesi inquadrati nell’esercito di Sua Maestà britannica.


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(Il monte Folgorito, sulle Apuane      foto di Stefano Ardito)


Dopo aver conquistato una postazione di mitraglieri tedeschi, prima di essere ucciso, la difese per ore, da solo, dai contrattacchi della Wehrmacht. Nella lunga storia dei Gurkha, che hanno combattuto a Gallipoli e alle Falkland, Sher è stato il primo caduto a ricevere la Victoria Cross, la più alta onorificenza militare inglese.

Tra l’autunno del 1944 e la primavera del 1945 la guerra lungo la Linea Gotica, il sistema di fortificazioni tedesco che si allungava attraverso l’Appennino dalla Versilia fino all’Adriatico, ha visto scendere in campo e morire soldati di una ventina di Paesi.

Insieme ai britannici, oltre ai Gurkha, hanno combattuto indiani, sudafricani, canadesi, la Brigata ebraica ricordata da un memoriale in Romagna, i greci che hanno liberato Rimini e i polacchi che avevano già versato il loro sangue a Montecassino. 


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(Marzabotto, la campana della chiesa di Casaglia)



Ai piedi delle Alpi Apuane, nella US Army, hanno combattuto i neri della divisione Buffalo (è la storia raccontata da Spike Lee in Miracolo a Sant’Anna) e i Nisei, gli americani di origine giapponese del 442° Combat Group.

Per gli storici della Seconda Guerra Mondiale, dopo lo sbarco in Normandia del 6 giugno 1944, quello dell’Appennino è un fronte secondario. Gli Alleati spostano le loro truppe migliori in Francia, e lo stesso fanno i generali di Hitler, che devono affrontare anche l’avanzata dell’Armata Rossa verso la frontiera orientale del Reich.

Nelle fortificazioni tedesche della Linea Gotica, che pure contano 3600 chilometri di trincee e quasi 480 postazioni per mitragliatrici e cannoni, il cemento viene usato raramente. Ma questa guerra “povera”, feroce, spesso all’arma bianca, costa la vita a 75.000 militari tedeschi, a 65.000 alleati e a circa 60.000 civili italiani. 


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(San Quirico di Vernio, memoriale       foto di Stefano Ardito)


Sulla Gotica, dove si combatte nell’ultimo inverno di guerra, i tedeschi conducono una guerra di sterminio, come dimostrano le stragi di Marzabotto, con 770 vittime civili, e di Sant’Anna di Stazzema, dove i trucidati sono 560. Accanto alle SS, partecipano ai massacri reparti della Wehrmacht e della Repubblica di Salò.

Sull’Appennino bolognese e romagnolo, tra le fila degli Alleati, combattono i militari dell’Italia libera. Innumerevoli scontri vedono come protagonisti uomini e donne della Resistenza italiana, affiancati da ex-prigionieri britannici, jugoslavi e russi, e persino da disertori antinazisti della Wehrmacht. Nel recente Il buon tedesco dello storico Carlo Greppi (Laterza, 2021) si scopre la storia di uno di loro, il capitano Rudolf Jacobs, nato a Brema e caduto in battaglia a Sarzana.

Tanto sangue e tanto dolore, com’è comprensibile, hanno tenuto lontano i viaggiatori italiani e stranieri dalla maggior parte dei luoghi della Linea Gotica. Lo stesso, più a sud, è accaduto per i campi di battaglia della Gustav, la linea difensiva che comprendeva Montecassino, e dove si è combattuto tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1944.

A riscoprire campi di battaglia e trincee della Gotica, come sulle Dolomiti e sulle Alpi Giulie, sono stati gli escursionisti. Fin dagli anni Sessanta, dei sentieri segnati dal CAI hanno raggiunto le rocce del Monte Folgorito sulle Apuane e quelle del Monte Adone in vista di Bologna.



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(Sant'Anna di Stazzema, l'Ossario               foto di Stefano Ardito)


Vette come il Libro Aperto e il Monte Sagro, da sempre, sono frequentate da camminatori in estate e da alpinisti con piccozza e ramponi d’inverno. Nei luoghi delle stragi più efferate, dei sentieri commoventi e suggestivi sono stati tracciati dal Parco Storico di Monte Sole, presso Marzabotto, e dal Parco della Pace di Sant’Anna di Stazzema.  

Ciclisti e birdwatcher, nelle loro uscite, scoprono i bunker della Mesola, nel Delta del Po, e il Lago di Porta, sul litorale di Massa. Nel settore marchigiano del fronte, un memoriale ai combattenti canadesi sorge quasi all’ingresso di Tavullia, patria di Valentino Rossi. Nella guida I sentieri della Linea Gotica, pubblicata da Touring Editore nel 2015, ho descritto 20 camminate da fare in giornata.


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(Truppe Usa sul fronte del Serchio)


Negli ultimi anni, il recupero è diventato più sistematico. Il Parco regionale delle Alpi Apuane ha sistemato le postazioni tedesche e di Salò nel massiccio, e segnato i sentieri che le raggiungono. Nel 2019 Andrea Meschini e Donato Pela, dell’associazione Fuori dalle Vie Maestre di Jesi, hanno ideato e descritto il Cammino della Linea Gotica, che unisce in 26 tappe la spiaggia del Cinquale a Montecchio.

L’ultima iniziativa importante è stata realizzata un anno fa da Vito Paticchia e dalla sezione di Bologna del CAI. Questo trekking, un secondo Cammino della Linea Gotica, si allunga per 175 chilometri dal Lago Scaffaiolo fino alla Vena del Gesso romagnola. Forse, per evitare confusioni, sarebbe stato meglio dargli un nome diverso dal primo.

Che si cammini per poche ore o per settimane, o che si vada in auto o in bici alla ricerca di trincee, di memoriali e di bunker, la Linea Gotica è un luogo di natura solitaria, e di emozioni forti. I fitti boschi di querce, percorsi da caprioli e cinghiali, si aprono all’improvviso su panorami e calanchi. Spesso i vecchi casali di pietra conservano i segni delle pallottole e delle bombe di settantotto anni fa.


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(Vernio, trincee tedesche restaurate      foto di Stefano Ardito)


Sono luoghi affascinanti da vedere, e che aiutano a ricordare, a capire le tragedie del passato, a desiderare un mondo di pace. A Monte Sole, una lapide riporta dei versi di Salvatore Quasimodo. “La loro morte copre uno spazio immenso, / in esso uomini di ogni terra / non dimenticano Marzabotto, / il suo feroce evo / di barbarie contemporanea”.                  

 

 

*STEFANO ARDITO (E' noto ai camminatori per le sue guide dedicate ai sentieri dell’Appennino e delle Alpi. Giornalista, scrittore, documentarista, scrive per Il Messaggero, Meridiani Montagne, Plein Air e il sito Montagna.tv e Plein Air. Ha lavorato per Airone, Repubblica, il Venerdì, Specchio de La Stampa e Alp. E’ autore di circa 60 documentari, in buona parte trasmessi da Geo&Geo di Rai Tre. Tra i suoi ultimi libri sono Alpi di guerra, Alpi di pace, Premio Cortina Montagna 2015, e Alpini, finalista al Premio Bancarella 2020, entrambi editi da Corbaccio. Ha raccontato di Darjeeling e della cima più alta della Terra in Il gigante sconosciuto - Corbaccio, 2016 - dedicato al Kangchenjunga, e in Everest - Laterza, 2020 -, che celebra i cent’anni della prima spedizione britannica).


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