RECENSIONE - Donne e Confini, ovvero Marta e le Altre

di ANNA DI LELLIO* 

Marta Verginella l’ho conosciuta qualche anno fa a New York, dove passava un semestre come visiting professor all’Istituto Remarque di New York University, in una delle sue tante peregrinazioni accademiche. Per usare una citazione non dotta ma efficace, direi con Zerocalcare che “ce semo ‘ncastrate” subito per molti motivi, ma soprattutto il forte interesse a capire le dinamiche della guerra e del dopoguerra attraverso la lente del genere. Naturalmente sono stata felice quando Marta mi ha invitato a presentare le mie ricerche in un paio di seminari del Progetto EIRENE sulle donne e i dopoguerra nella regione Adriatica nord orientale, Progetto di cui lei è investigatrice principale. 

Il libro più recente di Marta, Donne e Confini. #passato#confini#europa#lavoro#pandemia, appena uscito per Il Manifestolibri, nella collana “Parola di donna” a cura di Teresa Bertilotti e Simona Bonsignori, l’ho letto tutto d’un fiato. E non solo perchè è agile, intelligente e ricco di storie che provengono da anni di ricerca in biblioteche ed archivi in lingue diverse, ma anche perchè sono raccontate in modo leggero e vivace. Il libro è tutto questo, e di più. È l’avvincente riflessione di una storica che da anni si occupa di guerre passate, di guerre degli altri, e che l’esperienza della pandemia ha dotato dell’immaginazione necessaria, come argomentava Adam Smith nel suo Teoria dei Sentimenti Morali, a capire davvero e quindi simpatizzare per chi, soprattutto donne, quelle guerre le ha sopravvissute.


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(Trieste.  Foto in alto: Lubiana)


La narrazione si apre con il viaggio dell’autrice a Londra, dove ha programmato un soggiorno di studio proprio alla vigilia dell’esplosione del coronavirus in Italia prima, in tutta Europa poi. Da quel momento in poi, ciò che comincia come un diario della pandemia diventa un’interrogazione che si allarga a tempi e spazi diversi sulle donne che attraversano i confini, vivendo contraddittorie esperienze di spaesamento, avventura, sfruttamento, benessere, rischio e libertà. Grandi crisi, come le guerre e la pandemia, complicano queste esperienze perché rendono i confini, luoghi solitamente periferici, il centro di manovre politiche e sociali sulle vite di milioni di persone. 

Marta è abituata a muoversi con naturalezza tra la casa di Trieste e l’ufficio all’università di Ljubljana, dove è ordinaria di storia moderna, ma anche tra questi due luoghi della routine e le capitali del mondo dove è invitata o dove si reca lei stessa per lavoro o piacere. Nel febbraio del 2020 si trova all’improvviso bloccata a Londra molto prima che il suo soggiorno arrivi a compimento. Le frontiere si stanno chiudendo, ma non per tutti. La cittadinanza Italiana, che normalmente le apre più porte della slovena, ha perso valore. Meno male,  ha due passaporti. Chi passa i confini lascia la famiglia, e Marta ha lasciato a Trieste la madre, che nel frattempo è caduta e si è fatta un taglio alla testa. Il ritorno è obbligato. Intanto i voli per Venezia sono cancellati ma per fortuna Marta trova le tratte da Londra a Francoforte e da Francoforte a Graz, poi in taxi al confine tra l’Austria e la Slovenia e da lì un passaggio per l’Italia con un collega e amico sloveno. Tra la Slovenia e l’Italia deve fare un tratto a piedi trascinando i bagagli e la spesa fatta, non si sa mai cosa troverà in un’Italia apocalittica, a Sesana (Sežana). Anche se il tassista che la porterà a Trieste l’aiuta con la valigia, le è impossibile non pensare di star inaspettatamente attraversando un confine “difficile.”

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(Marta Verginella)


In tempo di pandemia, i privilegi ai quali si è abituato chi ne gode non sono scomparsi, ma si sono decisamente ridotti. Le distopie che ci spaventano e affascinano tanto al cinema diventano reali, l’inimmaginabile è possibile. Chi come Marta ha l’abilità di poter muoversi nello spazio pubblico senza paure all’improvviso ha paura, non del predatore o del nemico, ma del vicino, del cassiere del supermercato, o anche solo di un passante, che potrebbe essere infettato e infettare. E che dire della necessità di dover fare provviste durevoli, costretta ad un accaparramento da carestia minacciata? Chi di noi privilegiati ha mai pensato di poter perdere la sicurezza del tetto di casa, che ti possa cadere in testa per una bomba o un incendio? Quando il soffitto di Marta crolla per motivi molto più banali, l’appartamento si trasforma in una zona di guerra.

Il virus chiude i confini e divide le famiglie, quelle vere e quelle allargate. Marta non riesce a vedere sua madre ricoverata, che poi sarà, anziana e fragile com’è, separata anche dalla badante, impossibilitata a venire in Italia dalla Slovenia. Voci lontane si affollano nella mente di Marta, voci di donne che hanno vissuto separazioni e spaesamento in condizioni molto più traumatiche delle sue. Per esempio, quelle che dal 1945 al 1954 hanno avuto la vita sconvolta dai successivi cambiamenti dei confini tra l’italia e la Yugoslavia.  Nessuna delle varianti negoziate dai due paesi corrispose davvero alle aspettative e agli interessi della popolazione di entrambe le nazionalità. E non era la prima volta. In quelle zone di confine c’erano già stati migliaia di spostamenti, tra deportati, evacuati, internati ed emigrati volontari, durante e dopo la prima guerra mondiale. Tra questi, tantissime donne che attraversavano non solo confini geografici, ma anche quelli mentali e più insidiosi di una società patriarcale e di una nazione identitaria. 

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Sono donne che resterebbero senza storia, se Marta non andasse a cercarle in lettere, memorie e testimonianze diverse, incluse quelle della sua famiglia, alla quale appartiene una zia “Alessandrina,” una di quelle donne slovene che dalla fine dell’ottocento e fino al periodo tra le due guerre partirono per l’Egitto a fare le balie o le governanti presso famiglie benestanti di Alessandria. Ce ne furono tantissime: una certa Milena Faganelli di Merna (Miren) fu l’educatrice per quattro anni di Boutros Boutros Ghali, ex- segretario generale dell’ONU negli anni novanta. Come le contadine che nello stesso periodo attraversavano il confine italiano per comprare il grano a Trieste e poi fare il pane nei mulini lungo la Rosandra (Glinščica) da rivendere a Trieste, le cosiddette “pancogole,” le Alessandrine tradivano nazione e virtù femminili uscendo dal controllo della famiglia e della patria. O almeno così la vedevano la chiesa e i benpensanti nazionalisti. Se e quando tornavano a casa, erano considerate “straniere.” Le ha riabilitate un pensiero contemporaneo femminista che le vede più come emancipate che perdute, ma forse non è riuscito a riportarle a casa. 


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("Donne e confini" di Marta Verginella     Manifestolibri    pagg. 128    euro 15,20)


Questo libro avrebbe dovuto intitolarsi Marta e le altre. Ce ne sono tantissime di donne di cui la storia ufficiale si è poco occupata ma attraverso le quali si potrebbero capire meglio le campagne assimilazioniste dei regimi autoritari, gli schemi mentali dei nazionalisti primitivi che vivono in ogni paese, e il ruolo economico delle donne nelle economie sommerse, inclusa quella della profuganza. Sono memorie di donne che raccontano come la pressione dell’OVRA fascista spinse un ceto intellettuale urbano sloveno ad emigrare nella Stiria meridionale, costringendolo a ruralizzarsi e a diventare, per i locali, “negri” o “abissini.” Anni prima, la profuganza slovena era stata accolta in Austria con gli epiteti “Italiani zingari,” o “cani Italiani,” finchè qualcuno non fece notare che erano sloveni e allora furono chiamati “cani sloveni.” 

I confini tra Italia e Slovenia sono sempre stati porosi ma durante la breve guerra del 1991 furono serrati completamente, poi completamente aperti nel 2007, e chiusi di nuovo durante la pandemia dal presidente sloveno di destra Janez Jašna per bloccare il flusso migratorio che dalla Grecia attraversa i Balcani. C’è poca consapevolezza di quanto queste vicende alterne dei confini influiscano sulle donne che viaggiano per lavorare o commerciare come hanno fatto da sempre per sostenere intere comunità da entrambi i lati del confine. Leggere Donne e Confini è un buon inizio per capire zone ed economie liminali, e soprattutto quanto siano collegate le vite del centro e della periferia, nonostante l’asimmetria di potere e ricchezza.


*ANNA DI LELLIO (Sono Aquilana di nascita, ma mi sento più a casa a New York, Roma, e Pristina. Un po' accademica, un po' burocrate internazionale, e un po' giornalista. Ovviamente ho lavorato per l’Unità. Tra le mie grandi passioni giovanili c’erano lo sci, la lettura, i viaggi, il cinema e la politica. A parte lo sci, sostituito dallo yoga, le mie passioni attuali sono rimaste le stesse)

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