Quinta Tappa, Modena - Cattolica - Nelle terre di Pantani fra birra e sardoncini

di ANDREA ALOI*

A Modena è il ciclo, con classica efficacia. A Bologna la due ruote che ci fa pedalare e ancora sognare, in puro slang è la “biga”, in dialetto biziclàtta (allargate di gusto la prima “a”) e spesso risuona per l’appunto sotto i portici l’imprecazione: “bòia d'un dìs, i m an freghè la biziclàtta”, si sono ciulati la mia bici. Una frequentissima, pessima forma di bike sharing che fa della Turrita il paradiso e insieme l’inferno dei velocipedi e di chi li monta, data pure la frequenza degli arrotamenti in città.

Forza, andiamo avanti sulla SS9, la via Emilia che rendeva celeri le marce verso nord dei legionari romani qualche secolo fa e fino alla metà degli anni Sessanta trasformava in un lento supplizio la calata verso la riviera dei primi contingenti massivi dell’esercito vacanziero italiano. L’A14 sarebbe presto arrivata, prima era solo strada, anzi, una strada madre come l’americana Route 66 ed egualmente mitologizzabile, da Guccini a Dalla. Quasi una condizione esistenziale, con paesi trafitti per il dritto e linee di fuga verso cosa non si sa, che poi, con viti di Sangiovese da una parte e interminabili ranghi di pesche e albicocche dall’altra, dove volevi scappare?


LA CLASSIFICA DOPO LA QUINTA TAPPA

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Al massimo, come i girini, superata Imola, finivi in Romagna e lì cominciava - e comincia ancora per fortuna - un piccolo mondo altro, dove trovansi antiche rocche e nel monte Titano s’incastona San Marino, uno Stato da operetta ma paradisino fiscale vero, una Montecarlo domestica. A suivre, declivi pettinati da antico sudore, poi sabbia, mare, una enciclopedica macchina turistica e, sottolineati due volte con matita rossa, i romagnoli, gente fatta a modo davvero suo e che la vulgata ama definire affettuosamente “i terroni del nord”, con tutta probabilità per il brulichìo di amatori a sangue caldo operativi in loco nei mesi estivi. Son detti birri, da "bér" che significa ariete, il maschio della pecora: serve aggiungere altro? Forse che il più famoso di loro, il riminese Maurizio Zanfanti, in arte e copula Zanza, è trapassato per un malore pochi anni fa, superata la sessantina, dopo un rendez vous semiacrobatico in auto con una ragazza dell’Est.


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(Modena    foto da pixabay)

Il birro è stanziale, il suo aerale va dalla battigia alla discoteca alla mamma che gli prepara lo zabaione e stop, resta attivo nei casi più fortunati fin dopo l’ottantina, sostituendo alla disco la balera e dev’essere distinto dal vitellone. Il birro ha una peculiare monomania inserita nel dna, che gli basta e avanza per vivere entro i confini del luogo natio; il vitellone spazia, può sconfinare da Cervia fino a Gatteo Mare per gettare la rete, è sovente preda di un languore nostalgico, a trent’anni si sente vecchio e, addirittura, talvolta sale su un treno o un aereo e parte per la vita adulta, come il Moraldo del capolavoro felliniano.

Più in generale, in Romagna una certa forma mentis maschilista da decenni è stata scalpellata via a opera di un’emancipazione piena e orgogliosa, com’era nelle premesse battagliere di un forte bracciantato agricolo femminile e di un ruolo indiscusso da reggitrici (rezdore) domestiche, fino alla discesa in campo per la libertà di tante e tante staffette partigiane. In bici. Già, come si dice bicicletta in romagnolo?

Ascoltiamo la voce di Mino Giovagnoli, poeta di San Mauro Pascoli, salito tra i più nel ’93: “Mò cmè che pò esést la morta/ sa sint ancòura adèss/ la bèrba de mi ba/ c'la m'fòura la faza,/ sà sint chi raghéz chi zcòr/ dal chéursi in biciclèta/ ad che gran zir d’Italia/ s'a sint ancòura l'udòur /ad che bel dopmezdè?”. “Ma come può esistere la morte/ se sento ancora adesso/ la barba del mio babbo/ che mi fora la faccia,/ se sento quei giovanotti che parlano/ delle corse in bicicletta/ del grande giro d’Italia,/ se sento ancora il profumo/ di quel pomeriggio?”.


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(Bologna    foto da pixabay)

In Romagna il dolore non si grida fuori, si grida dentro. Marco Pantani non aveva gli occhi allegri da italiano in gita, ci dava furente in salita per smettere di soffrire prima. Pantastique o Pantadattilo lo cantava Gianni Mura, a denotare un esemplare di corridore fossile, di antico valore e dedizione. Pantani era nato a Cesena, dolce città-cuore di questa terra, dove è figura di culto, tra club dedicati, un monumento a Cesenatico, cippi in cima al monte Carpegna e sulla storica salita di Montevecchio, a Civitella di Romagna, tour appositi sui luoghi del Pirata. Se percorrete l’A14, dalle parti di Imola, procedendo verso sud, non potete non vederlo: l’enfant du pays se ne sta in sella, in maglia rosa, dentro una biglia gigantesca di quattro metri di diametro, memento di piste su sabbia, di giochi, di fantasia in volo e Mont Ventoux a bordo mare.

Quale squadra può vantare come effigie ufficiale un cavalluccio marino? Il Cesena Calcio ora galleggia in Serie C, resta il rimpianto delle pubbliche allocuzioni di Edmeo Lugaresi, presidente dall’80 al 2002, in occasione di una promozione o di una salvezza, con la piazza del Popolo gremita. Quando, a Rocca malatestiana incombente, nel tepore di sere quasi estive arringava l’afición bianconera sfoderando anacoluti, inceppi grammaticali e autentici prodigi come il congiunzionale, sintesi di condizionale e congiuntivo. Edmeo col folclore espressivo ci marciava, gli piaceva fare un pelo la figura del pataca, dello scioccone vanaglorioso, lui che era un imprenditore coi fiocchi nell’ortofrutticolo. I romagnoli amano darsi da fare e se da fare non c’è se lo inventano. Ai tempi infausti della mucillagine, col mare invaso da alghe, tutti gli alberghi si dotarono di piscina, che problema c’era? Conveniente il prezzo, familiare la conduzione, garantito il fritto misto (coi sardoncini, le alici) e la lasagna alla domenica, tutto regolare. Vongole? Non le veraci, bensì quelle di laguna o addirittura "estratte" sul posto a fior di sabbia. Saporose, squisite, buone così, spadellate con olio e aglio e giù di vino Trebbiano.

Altro piacere forte in zona? Il litigare, far le bizze. Prendiamo la piadina. Sarà da preferire la cesenate un po’ più spessa e rigida o la riccionese sottile e arrotolabile? E si può fare a meno dello strutto a favore di un più sano olio extravergine? Quest’ultima pare un’inutile ipocrisia, maritandosi sempre e comunque la piada con prosciutto crudo in purezza o accompagnato da squacquerone, uno stracchino lattescente, spalmabile, soave: robina non dietetica. E quanto al prosciutto mai tralasciare l’ipotesi di un paio di fettazze di mora romagnola. Pôrch, baghin, ninin, il maiale in Emilia Romagna si nomina con tenerezza. Sarà il senso di colpa?

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(San Marino     foto da pixabay)

Un altro bivio, stavolta solo onomastico, riguarda la piadina che diventa contenitore a forma di raviolone di un misto d’erbe cotte. Crescione a Cesena, cassone a Rimini, ampia libertà sul contenuto, tra bietole, spinaci, ortiche e rosole (le piante del papavero). Meno frequentata la rucola, raro l’uso degli strigoli o stridoli, un’erba carnosetta e piccantina splendida per condire, in sugo di pomodoro, le tagliatelle o gli strozzapreti (ac qua e farina, sorta di trofie liguri, solo un po’ più grandi). La paziente raccolta tra campi e fossi usa sempre meno e la manciata di chilometri tra Cesena e Cesenatico, un tempo gita delle gite per tutta la famiglia, si percorre raramente in bici, fatti salvi i combattivi amatori del ciclo, numerosissimi, colorati e spesso, in sede di resoconto delle prestazioni sportive e non solo, sboroni, ossia boriosi, gradassi. Vantoni, come il “Miles gloriosus" di Plauto, nato - tanto per la cronaca - da queste parti, a Sarsina, primo Appennino e storico, verdissimo introibo all’Alta Valle del Savio.


*ANDREA ALOI (Torinese impenitente, ha lavorato a Milano, Roma e Bologna, dove vive. Giornalista all’Unità dal ‘76, ha fondato nell’ '89 con Michele Serra e Piergiorgio Paterlini la rivista satirica “Cuore”. È stato direttore del Guerin Sportivo e ha scritto qualche libro) 

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