Putin, quel linguaggio da maschio tossico

di ANNA DI LELLIO*
(immagini da pixabay)

È noto che Putin usa un linguaggio volgare e violento che è cosparso di simboli da mascolinità tossica. Meno noto è che lo faccia intenzionalmente e strategicamente  e non solo perché in fondo è un shpana iz piterskoy podvorotni (liberamente tradotto in “punk delle borgate di San Pietroburgo”), come spiega in un’analisi pubblicata su The Atlantic Leon Aron, esperto di Russia per l’American Enterprise Institute e autore di un libro su Putin di prossima pubblicazione.

Nravitsya, ne nravitsya—terpi moya krasavitsa,” ha detto Putin alla conferenza stampa con il Presidente Macron alla vigilia della guerra. Cioè, “Ti può piacere o no, sopporta, bellezza.”  Si riferiva al fatto che al presidente ucraino Volodymyr Zelensky non piace affatto l’accordo Minsk-2, che crea un protettorato russo in Ucraina. 

Pare che quella espressione venga da una canzone della banda punk Krasnaya Plesen, una banda fortemente misogina, sadistica e, nella sua ossessione con il sesso, anche necrofila: “Una bella dorme nella bara, mi ci sono infilato e adesso me la fotto/ti puo’ piacere o no, dormi, bellezza.” La banda sostiene che viene dal folklore, cioè da una canzoncina di quattro versi  del tipo chiamato in russo chastushka, una sorta di stornello. In entrambi i casi è un refrain violento e volgare. Putin ha solo sostituito spi (dormi) con terpi  (sopporta).



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Anche il filosofo sloveno Slavoj Žižek si è allertato per questa volgarità di Putin, che per la sua retorica può essere paragonato solo a Trump, e - potremmo aggiungere - anche a quei politici italiani fluenti nel “celodurismo.”  Con quelle parole Putin ha comunicato al mondo che la Russia era pronta a stuprare l’Ucraina se l’Ucraina non avesse acconsentito all’unione. Žižek  ci ricorda che non è vero che personaggi come Putin & Co. siano meglio degli politici ipocriti che non dicono quello che pensano, perché la forma (in questo caso l’ipocrisia), non è mai solo forma, è parte del contenuto. Se si abbandona la forma, il contenuto diventa brutale.

Ma torniamo a Putin. Non è la prima volta che si esprime così. Nel 2002, ad una conferenza stampa dopo un summit on l’Unione Europea, Putin disse: “Se vuoi veramente diventare un radicale islamico e sei pronto ad essere circonciso, ti invito a Mosca. Abbiamo degli specialisti in questo campo. Mi occuperò personalmente che l’operazione sia fatta in modo tale da non fare ricrescere niente dopo.”  Putin, il “Grande Eviratore.”

Nel 2008, in risposta al Presidente francese Sarkozy che gli chiedeva di non invadere la Georgia, Putin disse: “Quel Saakashvili lo appenderò per le palle,” riferendosi al presidente georgiano. Tre mesi dopo, durante una conferenza stampa alla TV russa, quando un giornalista gli ricordò “ha promesso di appendere Saakashvili da una certa parte,” Putin chiese: “Perché solo una parte?”. Tutti risero pensando alle due palle del povero Saakashvili.

Nel 2011, a chi gli chiese se un nuovo Putin sarebbe emerso dalle elezioni, rispose: “Come tutti, Vladimir Vladimirovich non si spezza in due.” Ma invece del termine corretto razdvaivaetsya, disse razdvayaytsa, che può anche essere letto, raz-dva-yayatsa, or “one-two-balls.” Per capire l’umorismo di questa freddura si dovrebbe conoscere una vecchia storia russa degli anni '60,  in cui un eroe della guerra civile, Chapaev, è alle prese con il suo aiutante analfabeta  Pet’ka. Di fronte ad un segnale stradale preparato da Pet’ka con due testicoli disegnati sopra, Chapaev chiede spiegazioni. E Pet’ka: “Non è ovvio? La strada razdvayaytsa.”

 Tutto l’entourage di Putin è violentemente volgare, ma Putin li batte. Batte anche Stalin e Khrushchev, notoriamente non mammolette, che mai parlarono dell’occidente nei termini che usa Putin:  zabaltyvat (“seppellire nelle stronzate”); vrut (“dicono stronzate”); protivno  (“disgustosi”); idite vy (na khuy, “andatevene a farvi fottere yourselves”).

Aron sostiene che non si tratta solo di khamstvo, parola difficile da tradurre che implica non soltanto volgarità, ma una volgarità che degrada e umilia quelli a cui è rivolta. Il linguaggio di Putin è un linguaggio di guerra che ha di mira la soggezione del nemico attraverso la sua femminizzazione e la chiamata a raccolta attorno a sè dei “veri uomini” pronti allo stupro di chi, dentro e fuori il campo russo, non è d’accordo con lui.

In un articolo pubblicato nel 2017 su East/West: Journal of Ukrainian Studies, Maryna Romanets ha analizzato come  le tattiche discorsive del neo-imperialismo russo à la Putin, che omologano la dominanza sessuale con quella politica, e sono accompagnate dalla retorica del ritorno della Russia alla grande potenza, dall’ Ortodossia Cristiana come parte integrante dell’unicità della civiltà russa, dall’omofobia sanzionata dallo stato, e dal tradizionale machismo russo, abbiano contribuito molto efficacemente a creare il consenso pubblico all’aggressione contro l’Ucraina nel 2014. 


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Attraverso la consultazione di una “biblioteca-Web” che si chiama VHStabe.rf (Nel quartiere generale, la Federazione Russa) la Romanets ha trovato migliaia di immagini, meme, commenti ecc. denigratori nei confronti degli ucraini e a favore di Putin, uomo alpha del momento. Il sito è nato due settimane dopo l’annessione della Crimea ed è opera dei troll di Putin. Non solo l’occidente nell’immaginario costruito dai troll è debole, femminile, inferiore: anche e soprattutto lo sono gli ucraini, individui senza identità e storia che occupano una terra che la Russia tratta come un’amante riluttante, da riprendersi con la forza. 

Anche qui niente di nuovo. Questo è il linguaggio coloniale e imperialista del diciannovesimo secolo. In Russia si accompagna ad immagini di rapporti violenti tra individui dello stesso sesso, concentrate sulla rappresentazione del dominio: l’oriente russo virile che controlla e soggioga l’occidente omosessuale e degenerato. La maggioranza dell’opinione pubblica russa non si sconvolge a queste immagini. È d’accordo. Un sondaggio di 39 paesi della Pew Research Center nel 2013 ha rilevato che solo il 16% dei russi si dice disposto ad accettare l’omosessualità. I sondaggi russi sono ancora peggiori.

Non c’è niente di nuovo nella propaganda di guerra che deride e umilia gli uomini del nemico come uomini non veri e le donne come prede sessuali, rendendo entrambi vulnerabili alla violenza. È accaduto in Bosnia, in Kosovo, in Rwanda, in Myanmar, solo per menzionare alcuni conflitti. Il linguaggio non è solo parole, e i meme non sono solo meme. In guerra, vengono scritti sui corpi della gente. In Ucraina, forse questo non lo faranno i soldati di leva, ma le forze speciali, come quelle di Ramzan Kadyrov, il ceceno già noto per il suo comportamento criminale, pronte ad entrare a Kiev e dimostrare la loro virilità tossica.

 

*ANNA DI LELLIO  (Sono Aquilana di nascita, ma mi sento più a casa a New York, Roma, e Pristina. Un po' accademica, un po' burocrate internazionale, e un po' giornalista. Ovviamente ho lavorato per l’Unità. Tra le mie grandi passioni giovanili c’erano lo sci, la lettura, i viaggi, il cinema e la politica. A parte lo sci, sostituito dallo yoga, le mie passioni attuali sono rimaste le stesse)

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