Norcia-Montecassino, fra borghi e ricordi ripensando l'Italia

di NICOLA FANO*


"Al punto in cui siamo, al punto in cui è oggi il nostro paese, rimettersi in cammino è quasi un imperativo morale. È quello che ci ripromettiamo tutti, e che ci promettono i politici. Sì, ma come? Verso che cosa? Ci può essere un modo per ritrovare una direzione, e risvegliare quel furore di vivere che sembra averci abbandonato?". Solo un giornalista di razza – diciamo la verità – avrebbe potuto coniugare questo tema con un reportage dal Cammino di San Benedetto, da Norcia a Montecassino, ossia dal luogo di nascita al luogo di sepoltura del padre del “monachesimo occidentale”. Il giornalista in questione è Antonio Polito il quale, svestiti i panni del commentatore politico del Corriere della sera, si misura con questa sfida singolare nel libro Le regole del cammino, Marsilio, 176 pagine, 17 euro.


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(San Benedetto     foto da pixabay)


L’autore, accompagnato da "un prete, un professore e una giornalista" (questi gli appellativi usati da lui stesso) attraversa un’Italia “minore” alla ricerca di una ragione profonda per rimettersi in cammino. In questo percorso, San Benedetto svolge il ruolo di guida; un po’ più (o un po’ meno, a seconda dei punti di vista) che soltanto spirituale: Polito stesso ne apprezza più la concretezza vitale (i “consigli” di vita del santo che si fanno regole) che non il resto. Anzi, a leggere questo strano libro sembra quasi che l’autore abbia scelto il suo timoniere, il suo ideale Virgilio, proprio per la sua propensione alla vita, piuttosto che non alla “riflessione”. Perché è questo ciò che pare apparire dalle pagine del libro: la necessità spasmodica di regole. E come dare torto a Polito?

"Non si può più andare così, tanto per andare, senza sapere bene dove. Ne abbiamo la controprova appena ci perdiamo", dice l’autore. E racconta di quando il gruppo finisce in una discarica per via di chi ha manomesso i cartelli del Cammino. La descrizione dei mariuoli che hanno manipolato la segnaletica è una delle pagine migliori del libro. Per la sua severa sobrietà. Perché Polito chiama in causa l’invidia, la campanilistica propensione per altri “cammini”, l’ignoranza…

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(L'abbazia di Montecassino     foto da pixabay)

 Insomma, lo avrete capito: questo reportage ha una doppia dimensione: quella del camminare reale e quella del valore metaforico di tutto ciò che motiva il movimento e ne contorna le sviluppo reale. Nell’atto di mettersi in moto dell’autore (il quale all’inizio dichiara di essere un neofita del genere ma alla fine si pone in modo definitivo tra i camminanti professionali), c’è una volontà simbolica profonda: occorre cambiare. E, dice alla fine Polito, il fatto è che "siamo nati per camminare", ragione per cui solo rimettendoci in moto tra noi stessi, il paesaggio e l’ansia di conoscenza ci sarà uno spazio per il futuro. Per un futuro accettabile, almeno.

La soluzione, dunque, ha qualcosa a che vedere con il nostro presente turbato dal Covid: "Da decenni sapevamo solo rivendicare diritti, e all’improvviso abbiamo capito che, se si vuol tenere in piedi una comunità, bisogna rispettare anche i doveri. Capita, di fronte ai grandi traumi". Ed ecco tornare in gioco il sostantivo che governa il titolo del libro: le regole. Perché il pellegrinaggio di Polito questo è: un aggrapparsi ai doveri imposti dalla natura (o dal buon senso) per combattere il caos degli egoismi, dei menefreghismi, della rincorsa ai personali privilegi. Quel che da qualche decennio in Italia (e non solo da noi, purtroppo) si equivoca per “libertà”. In margine al libro di Polito mi è tornata in mente una battuta fulminante come tutte quelle di Corrado Guzzanti: ha vinto il “Popolo delle libertà”, quello dove ognuno fa come gli pare. Il cammino di Polito va in direzione opposta, rispetto a questa deriva.


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"Le regole del cammino"     autore Antonio Polito  editore Marsilio    pagg pagine    euro 17


Ed è un libro coraggioso e intimo. Molto più degli altri, più direttamente legati alla cronaca politica, dello stesso Antonio Polito. Sono struggenti, per esempio, le pagine in cui l’autore parla della madre e di come conservasse tutto: un tuffo nella memoria personale e collettiva, dall’eskimo ai dischi della Pfm. Ma non è una autofiction compiaciuta; non come i libri che vanno di moda di questi tempi. Perché in realtà Antonio Polito – di quando in quando – si lascia andare a qualche digressione (molto) personale solo per dimostrare come il suo camminare vada nella direzione del futuro. Un futuro che contiene il passato, è vero, ma che ogni giorno pone un po’ più avanti l’obiettivo reale del domani. Ecco perché le ultime parole sono rivolte ai figli, al testimone che l’autore lascerà loro. Il giorno in cui "comincerà una nuova vita, regalerò ai miei figli un Testimonium. Ci scriverò sopra questa frase: 'In ricordo del dovere che vi aspetta, quando toccherà a voi riprendere il cammino che vostro padre, prima o poi, lascerà interrotto' ”.


*NICOLA FANO (1959. Vive tra Roma e Torino dove insegna all’Accademia Albertina di Belle Arti l’astrusa materia di Letteratura e filosofia del teatro. Da quarantacinque anni va a teatro quasi tutte le sere e, giacché è recidivo, alla storia del teatro ha dedicato i numerosi libri che ha scritto. Detesta il calcio, ma gioca a pallacanestro: quando smetterà di farlo, con ogni probabilità, morirà)

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