Ma che vigilia è, senza cappon magro?

di ANDREA ALOI*

L’ Artusi nel suo capitale “La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene”, pubblicato nel 1891, non lo degna di una riga. Il duo Carnacina-Veronelli nel celebrato “La cucina rustica regionale” ne parla in modo spiccio, quasi un obbligo da assolvere. Eppure il Cappon magro, elaborata, succulenta, colorata fantasmagoria di pesci, verdure e salsa verde è piatto amato e da lungo tempo presentissimo sulle tavole di Genova e limitrofe, protagonista principe e principesco della cena di Vigilia natalizia. Una scenografica preparazione che apre degnamente il sipario sulle feste di fine anno solleticando la papilla e l’occhio, e per di più abbastanza impegnativa finanziariamente. Ma per il Cappon magro, una tantum, spendono volentieri pure i cittadini della Superba, abitualmente refrattari - secondo il luogo comune - a scrivere alcunché sotto la voce “uscite”.

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Molti ne vedono l’origine in quella cucina degli avanzi o dei resti che nei secoli ha fatto di necessità virtù e vanto della cucina italiana, come accade, tanto per restare in Liguria, con la corroborante mesciua, zuppa di legumi vari (ceci, fagioli) con aggiunta di granaglie (farro, orzo), una “mescolanza” nata razzolando in stive e banchine di porto alla ricerca di buoni rimasugli da cuocere con un pizzico di sale e coronare con un filo d’olio e pepe.  Un pedigree plausibile per le remote origini di ciò che oggi chiamiamo Cappon magro e che però era al massimo un anonimo assemblaggio di fortuna per pezzetti di tonno secco, stoccafisso ammollato e “frutti” dell’orto, prima di transitare rivisitato, come delizia di complesso e ostentativo apparato, sulle mense nobiliari nei tripudi barocchi tra Sei e Settecento e successivamente conquistare i borghesi. Guadagnandosi un nome glorioso che si spiega da sé: un piatto, per quanto sontuoso, di magro - senza manzi, cacciagioni o volaille - a far da preludio serale al cappone grasso del pranzo di Natale.

C’è chi si esercita in genealogie un po’ tirate per i capelli, evocando, per assonanza, la ligure capponadda, lontanissima parente della caponata siciliana (in spagnolo caponada), che si compone di melanzane fritte con salsa di pomodoro agrodolce, olive e capperi, mentre la preparazione popolare nel Genovesato richiede pomodori freschi in quantità, tonno in scatola, filetti di acciughe sott’olio o sotto sale ben lavate, olive taggiasche, cipolle rosse, origano, olio, aceto bianco e gallette del marinaio. Un ingrediente quest’ultimo di non poca importanza pure per il nostro Cappon magro e in qualche modo attinente al suo nome, indicando il francese chapon non solo il cappone propriamente detto ma anche la fetta di pane grigliata e e strofinata con aglio. Poi, a volersi divertire un po’, si possono tirare in ballo il latino caupona, ossia taverna, e il capón de galea, vale a dire un “cappone da nave” per marinai sostitutivo del prelibato volatile e qui la suggestione potrebbe valere sia per il Cappon magro che per la Capponadda. Senza contare la gallinella, detta pesce cappone e il capone, nome siciliano per la lampuga. Un delirio.

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Ma edificare il nostro piatto della Vigilia - perché di questo si tratta, di “costruirlo” - è facile o difficile? Pur non richiedendo particolare maestria, ha tempi lungotti (ben spesi), nulla di più, perché si tratta in sostanza di lessare verdure e pescato vario. Il Cappon magro è però una pietanza-antipasto singolarissima che obbliga al rispetto di alcune regole e nello stesso tempo reclama fantasia nella disposizione degli ingredienti. Una piccola sfida.

Tenendo conto che il pesce va lessato (meglio ancora, cotto a vapore, per serbarne al massimo il sapore), gallinella e scorfano sono i più consoni, promossi anche il delicato nasello, la ricciola e l’insospettabile palamita: assomiglia a un tonnetto, è un pesce azzurro con carne consistente e può essere bollito, l’ideale se i commensali sono numerosi in quanto poco costoso e di gran resa. Dai pesci con spina passiamo ai calamari, al polpo, ai gamberi, alle cozze e - volendo/potendo - alle ostriche, ma queste, inutile dirlo, non vanno cotte e servono ad arricchire e decorare, come pure le mazzancolle e, via salendo, gli scampi, l’astice, la cicala di mare (una rarità) o l’aragosta. Il polpo può essere sostituito dalla piovra decongelata, di facile reperibilità e da cuocere a pressione, come pure il polpo, che va però prima congelato per almeno 48 ore altrimenti ciao, è una suola da scarpe (esistono molti efficienti metodi di cottura, comunque). Tra le verdure, sempre da cuocere a vapore o lessare separatamente, spiccano cavolfiore, carciofi, patate, barbabietola rossa (per lei nessuna fatica, si trova già cotta), carote e scorzonera - è una radice a fittone - nella varietà dolce, i liguri trovano facilmente sul mercato quella della valle Arroscia, nel Savonese. Se ne può fare a meno? Sì, a malincuore.

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E dunque avete predisposto pesci e verdure. Ora vanno condite a modino con una citronette (olio, limone e un pizzichino di sale) o di preferenza con una vinaigrette (qui c’è l’aceto bianco). E si può passare alla galletta del marinaio, una focaccia lievitata e quindi essiccata del diametro di 12-13 centimetri, dura come un sasso, nata a sostentamento dei naviganti e quindi da consumare in tempi lunghi. Ovunque vi troviate, Stoccolma o Agrigento, salite in macchina, sul treno o l’aereo e recatevi a San Rocco di Camogli. Arrivati sulla piazzetta della chiesa, non perdete tempo ammirando il panorama del Golfo Paradiso e seguite l’indicazione per il panificio Maccarini, pochi gradini in discesa e ci siete: lì trovate gli eredi del miglior gallettiere al mondo, fate provvista, la loro delizia secca è buona per ogni uso, anche come pane d’emergenza. Spetta a lei il compito cruciale di fare da fondamenta all’edificio del Cappon magro, una volta bagnata con acqua e aceto e spezzettata, a seguire un filo d’olio. Alcune anime perdute suggeriscono di sostituirla con pane azzimo: senza voler arrivare a pene corporali, è bene che vengano almeno redarguite a dovere. Più giustificabile qualche fetta di pane del giorno prima.

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Alzate l’architrave, carpentieri. E considerate che la seguente è una delle molte varianti possibili allo spartito, fatta eccezione per l’obbligatoria base di gallette. Che accoglierà, poniamo, uno strato di pesce da spina, giusto in tempo per far debuttare la salsa verde, celeste acuto del gusto da preparare al coltello o frullata. Gli ingredienti: olio buono, pane secco bagnato in acqua e aceto bianco, aglio privato del germe centrale, prezzemolo, capperi, pinoli, filetti di acciughe sott’olio o sotto sale, tuorlo d’uovo sodo, (uno o più, a seconda del numero dei fortunati). Olive e cetriolini facoltativi, per le proporzioni e le quantità, della salsa e di tutto il resto, affidatevi a un serio tutorial. Resistendo al tentativo di godervi una dose significativa della verde crema sublime su una fetta di pane, accompagnata da un calice di Ribolla, spalmatene uno straticello sul pesce.

Seguiranno un “piano” di patate, uno di gamberi e/o calamari, uno di barbabietola e a chiudere il polpo coi tentacoli a scendere sul tutto: a ogni step, una spalmata di salsa. E siamo in dirittura. Il Cappon magro ormai svetta, attende solo, alla base del piatto di portata, le ostriche o le cozze nel guscio, magari alternate a funghetti sott’olio, mentre spicchi di carciofo e carote decoreranno, insieme ai crostacei, le “pareti” del goloso trionfo. C’è chi infila olive e gamberoni su stecchi per pavesarlo ulteriormente e chi lo spennella tutto intorno di salsa verde, quasi fosse una Sachertorte, per far meglio risaltare i rosseggianti crostacei ornamentali. E c’è chi “monta” pesci e verdure in apposite cassette oblunghe, aggiungendo gelatina, il tutto da refrigerare. Ovviamente, dovendo capovolgere la cassetta per servirlo, bisogna partire con gli ingredienti dalla cima. De gustibus, certo è che fa molto “Premiata gastronomia del corso”.

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Il cimento dell’armonia e dell’invenzione si è concluso e il Cappon magro entra in scena, con gaudio collettivo. Il Natale sta cominciando, gli occhi luccicano un po’ di più. Vigilia viene da veglia, vigilante attesa. Oggi nelle ore che preannunziano il Natale e altre festività religiose o di venerdì non usa più astenersi dalle carni rosse o dal pollame. Col Cappon magro, poi, di penitenziale è rimasto solo il nome e stravince un saporoso gioco dell’abbondanza.


*ANDREA ALOI (Torinese impenitente, ha lavorato a Milano, Roma e Bologna, dove vive. Giornalista all’Unità dal ‘76, ha fondato nell’ '89 con Michele Serra e Piergiorgio Paterlini la rivista satirica “Cuore”. È stato direttore del Guerin Sportivo e ha scritto qualche libro) 

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