La chiesa minuscola e il futuro digitale

di FABRIZIO FUNTÒ*

Dirigevo a Torino la prima conferenza italiana di realtà virtuale ed effetti speciali digitali. Inizio del millennio. Si chiamava Virtuality e era un ponte fra l’Italia europea e gli europei emigrati che lavoravano negli Stati Uniti o in Australia sui “visual effects” (VFX, in sigla). Dopo che l’abbandonai, chiamarono la conferenza “View”. Contenti loro…

La prima idea in realtà era venuta a Gillo Pontecorvo, quando presiedeva Cinecittà. Mi pregò di creare un “ponte” con Hollywood digitale, perché sentiva che ai cineasti nostrani mancava un importante alfabeto di produzione, quello “virtuale”, capace di ricreare nelle memorie dei computer qualunque cosa fosse venuta in mente agli autori: da mondi impossibili da visitare fino ai reconditi scenari dell’antichità. In realtà era tutto iniziato dai mostri di Jurassic Park. La prima conferenza si tenne a Cinecittà, nella tensostruttura. Credo fosse il 1997.

Torniamo a Virtuality. Avevo alcuni ospiti a Torino, premi oscar per gli effetti speciali, fra cui amici coi quali siamo ancora in contatto continuo. Scott Ross, per esempio, l’ex braccio destro di George Lucas in Guerre Stellari, poi associatosi a James Cameron per realizzare il Titanic, con la sua società Digital Domain. Giusto qualche giorno fa mi chiedeva via Messenger come andasse a Roma con Mr. Coronavirus… Poi c’era Price Pethel, un indiano Navajo, anche lui oscar per Nuke, e un altro amico della Pixar. C’era pure il mitico Syd Mead, l’artista che aveva creato Blade Runner (il primo, ma credo che abbia messo lo zampino anche sul secondo). Purtroppo Syd ci ha lasciato recentemente.

Alla cena di saluti di fine conferenza, questi tipi mi si fanno inaspettatamente incontro, minacciosi, nel ristorante. E Scott, a nome di tutti, spara a bruciapelo: “Noi non ce ne andiamo. Rimaniamo qui con te! Troppo bella l’Italia.”

“Urka!”, penso. E ora come faccio? Con lo sguardo più innocente del mondo rispondo ai tre: “Ragazzi, io torno a Roma. Dovete capire, sono qui da un mese…”. Pensavo di essermela cavata, ma questi non hanno l’oscar per nulla, se lo sono proprio meritato. E Price mi fa: “Allora veniamo con te a Roma. Ci fai vedere la capitale.”

* * *

Così mi ritrovo a Roma con tre ospiti di quel genere. Amici, certo, ma dove li porti?   Sono esigentissimi e non hanno alcuna intenzione di vedere ciò che vedono tutti i turisti. Viaggio esclusivo. O Roma segreta o Morte (mia).con_Scott_Ross-Digital_DomainJPG

(Scott Ross della Digital Domain - a destra - con l'autore       foto di Fabrizio Funtò)

Nel viaggio di ritorno, sul volo AirOne, mi imbottiscono di richieste. Ma soprattutto Scott pretende di andare a vedere la tomba di S. Pietro, nelle catacombe vaticane. Nel 2001, proprio prima dell’11 settembre, ci avevo portato Ken Ralston con la moglie Robin, consigliato dal capo dei restauratori della Basilica di San Pietro, che mi aveva perfino procurato i biglietti. Una scoperta “mistica” direi: ci si avvicina piano piano al luogo più sacro della cristianità e poi, quando si arriva lì, la guida stessa ti chiede di rimanere in completo e assoluto silenzio di raccoglimento. A contatto con il sacro terriccio che ancora ricopre e accarezza le ossa dell’Apostolo, quasi che il silenzio sia condizione necessarie per aprire un canale di comunicazione con il sacro tempio. Ti trovi, in asse, 12 metri sotto l’altare maggiore ed il baldacchino di Bernini (e Borromini) quello con le colonne a tortiglione. E tocchi il divino.

Ken — che qui in Italia è sconosciuto, ma chi lavora nei VFX in Usa lo considera il grande padre capostipite, lunatico e bizzoso come pochi (lui da solo ne ha vinti 5 di oscar) — era rientrato nella non-città, Los Angeles, ed aveva estasiato tutti quelli che incontrava riportando loro questa visita mistica alla sepoltura di Pietro.

Scott non poteva essere da meno. Proprio no. Aveva ascoltato Ken con grande scorno. Doveva batterlo, a tutti i costi. Mi venne quindi intimato di trovare i biglietti e di accompagnarli lì, da Pietro, nonostante ci fosse normalmente una fila di prenotazioni lunga almeno sei mesi. Ma grazie alla stessa intercessione, riuscii nell’impresa. In due ore eravamo nel cortile della basilica, pronti a immergerci nelle Catacombe.  

E fu sempre la stessa dirompente emozione. Uscirono dalla Fabbrica di San Pietro sconvolti, ed in lacrime. Tremanti. Ken non aveva raccontato il falso.

Ma loro volevano di più, perché dovevano ritornare a Los Angeles, da Ken, e surclassarlo con un nuovo racconto ancor più importante e più mistico.

Così, mentre pranzavamo in un ristorante sardo dietro via delle Fornaci, calai il mio asso di cuori, e li catturai. Ai tre turisti esclusivi in fregola confidai che S. Pietro in realtà non era morto nel luogo che avevano appena visitato, ma in cima al Gianicolo, crocifisso a testa in giù. Quello era il vero punto dal quale la Chiesa mondiale si era irradiata, e lì, in quel punto, sorgeva la chiesa più piccola del mondo, in antitesi simmetrica con la chiesa più grande del mondo. E per di più, concepite entrambe nello stesso momento, e dalla stessa mano. Che — come in un pantografo ideale — mentre costruiva l’eclatante basilica pubblicitaria per le masse oceaniche dei fedeli, al contempo erigeva non solo la chiesa più piccola e segreta del mondo (non ci si sta in tre), ma ne faceva anche un capolavoro di stile, un gioiello, un prototipo ideale che diede vita al Rinascimento, a Roma.

Già. Bramante l’aveva concepita come un cilindro vitruviano che dal buco della croce sale su, in verticale, verso i cieli infiniti. Con sedici colonne a corona, e la stessa cupola semisferica che avrebbe proposto per San Pietro. Un mini-pantheon, con tutte le misure auree che poi Palladio studiò meticolosamente e riprodusse in tutta la sua vita artistica, e che Raffaello ricopiò in alcuni quadri immortali.Tempietto_Bramante_fotocamere_Sperimentali-2JPG

(Telecamere sperimentali al tempietto del Bramante)

E da quel cilindro dovevano dipartirsi sedici raggi che idealmente avrebbero raggiunto ogni angolo della terra, proprio dal punto in cui Pietro, su cui la Chiesa si fonda, aveva preteso di essere crocefisso capovolto.

Scott, a quella rivelazione, mi saltò quasi alla gola, come per strozzarmi. Come avevo mai potuto osare non avercelo condotto ancora? Quello sarebbe stato il grande smacco di Ken Ralston! La Stangata. La Rivincita. E la sua vendetta.

Quando azzardai: “Di qui ci si arriva perfino a piedi…” venni travolto da tre oscar in fuga, che afferrarono le loro cose e si precipitarono per strada, mentre ovviamente io mi attardavo a saldare il conto: all’oste sardo di premi oscar non importa nulla e non vuole nemmeno sentir parlare.

Meglio la più prosaica carta di credito. Sciaguratamente.

* * *

Qualche tempo dopo Michelle, la segretaria di Ken, mi telefona. Mi dice che c’era stata una cena luculliana fra i miei ospiti, Ken, e una valanga di “digital artist”, supervisori di effetti speciali. Tutti pluripremiati, tutti pluridecorati. Era uscito fuori il racconto del Tempietto del Bramante. E anche lei voleva visitarlo. Ora.

Vi lascio immaginare il resto.

E proprio da Los Angeles, dove mi ero spostato per lavorare in Activision a progetti supersegreti di innovazione tecnologica, dovendo scegliere un monumento piccolo a piacere per effettuare test di ricostruzione tridimensionale in tempo reale, l’attenzione ricadde sul Tempietto del Bramante. Sembrava l’ideale per un Nuovo Rinascimento Digitale.

Così fu. Nessuno lo sa, che quella Chiesetta ha dato l’avvio ad un nuovo percorso che, prima o poi, emergerà nelle vostre televisioni e nei vostri smartphone. Quando lo vedrete, capirete. E vi ricorderete di questo racconto.

Allora saprete.


FABRIZIO FUNTO` (*Lecce, 1957. Filosofo pentito, docente mancato, è stato mandato subito a fare il guru della Realtà Virtuale e dell’Innovazione Tecnologica oltreoceano. Ci ha preso gusto. Ogni tanto tossisce qualche storia inattuale)


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