Iran delle nevi, metti una pista rossa sopra Teheran

di LUCA FORTIS*

La vetta di ghiaccio e roccia si staglia sul cielo come fosse una lama appuntita che fende l’aria. Da lontano ricorda il monte Fuji in Giappone, solo che attorno al Damavand, vulcano quiescente alto 5600 metri, si stagliano centinaia se non migliaia di vette innevate.

È la catena dei monti Alborz, cime imbiancate per mesi, dall’aria inusuale per un europeo. Le montagne iraniane infatti hanno un aspetto desertico, non vi sono alberi se non nei rigogliosi fondovalle: la neve sciogliendosi porta l’acqua, che fa esplodere una rigogliosa vegetazione. Un’esplosione di vita che i contadini hanno recintato creando splendidi orti, d’estate pieni di frutta e verdure. Forse non a caso la parola paradiso viene dal persiano “pairidaeza”, da cui anche l'ebraico “pardeš” attraverso il greco “παράδεισος”, con il significato primitivo di "giardino recintato". Per chi viveva in zone desertiche, trovare, nascosti da mura di fango, incredibili giardini pieni di vita e uccelli, doveva essere un vero paradiso.

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(foto di Emanuele Luca)

Nei millenni i persiani hanno imparato a utilizzare le vaste risorse idriche provenienti dallo scioglimento della neve incanalandole nei “qanat”, canali lunghi anche moltissimi chilometri, che permettevano di rifornire i villaggi d’acqua. In Iran esistono ancora i guardiani dei qanat, sono loro i custodi dell’acqua, la smistano nei villaggi desertici aprendo e chiudendo i canali. L’acqua storicamente veniva usata per creare lussureggianti spazi verdi, pieni di piante e fontane, nei palazzi dei signori e poi veniva dirottata nelle terre coltivate dai contadini dei feudatari.

Il rapporto degli iraniani con la neve è quindi fondamentale, senza di essa vaste aree del paese non avrebbero prosperato nei millenni. La neve è stata da sempre anche utilizzata dai persiani per conservare i cibi deperibili in estate. Utilizzavano delle strutture chiamate yakhchal, parola da cui probabilmente deriva la parola ghiacciaia. Hanno una struttura conica che raggiunge facilmente i 18 metri di altezza e una capienza di 5.000 metri cubi.

Gli yakhchal venivano riempiti di neve e vi erano due entrate. Una settentrionale serviva per rifornire di neve la struttura durante l’inverno, mentre quella meridionale era utilizzata nel pieno dell’estate per prelevare il ghiaccio immagazzinato.

Le montagne innevate hanno anche un ruolo fondamentale nella mitologia classica iraniana. Esse infatti hanno per millenni protetto il paese dai nemici. Sono il simbolo della resistenza iraniana contro il dispotismo e il dominio straniero nella poesia e nella letteratura persiana. Nella mitologia zoroastriana, il drago a tre teste Azi Dahaka era incatenato all'interno del monte Damavand e era destinato a rimanervi fino alla fine del mondo. In una versione successiva della stessa leggenda, raccontata dal poeta persiano Ferdowsi nel suo capolavoro, lo Shahnameh, il tiranno Zahhak fu anche lui incatenato in una grotta da qualche parte nel Monte Damavand dopo essere stato sconfitto da Kaveh e Fereydun.

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(foto di Emanuele Luca)

Il paese ha varie catene montuose che d’inverno sono ricoperte di neve. Gli Alborz separano la zona del Mar Caspio dall’altopiano iranico. Le vette scendono a picco sulla capitale del paese, tanto che i quartieri della ricca borghesia iraniana si arrampicano sulle sue pendici. Le zone più alla moda della città sono a 1800 metri di altezza. Da lì, in poco tempo si possono raggiungere le piste da sci.

Fin dagli anni trenta si è sviluppata la cultura dello sci alpinistico.

All’inizio furono i tedeschi arrivati in Iran per costruire le ferrovie nazionali, che vedendo come la catena montuosa degli Alborz rimanesse innevata per molti mesi all’anno portarono i propri sci. Poi furono gli studenti iraniani a imparare a sciare mentre studiavano all'estero, di solito in Francia o in Svizzera. Il più famoso fu il Dottore Abdollah Basir, che nel 1929, in Francia, non solo imparò a sciare ma anche a costruire sci.

Da allora si sono sviluppate molte stazioni sciistiche in Persia. Fu durante il regno dello Shah Mohammad Reza Pahlavi che si ebbe un vero boom. Ancora oggi, si può trovare su Youtube un divertente video con una campionessa americana che scia a Dizin con l’Imperatrice persiana Farah Diba. Qui:

Nei primi anni dopo la rivoluzione del 1979 lo sviluppo dello sci alpinistico nel paese ebbe una battuta d’arresto. Soprattutto per le regole che gli islamisti imposero, separando le piste da sci per uomini da quelle per donne. Norme che per fortuna sono state eliminate da tempo. Oggi l’unica regola è che le donne coprano i capelli con un berretto, regola peraltro molto poco rispettata. Anzi: le quattro stazioni sciistiche sopra Teheran, Tochal, Darbandsar, Shemshak e Dizin, sono famose per essere il luogo dove gli iraniani più ricchi vanno a infrangere ogni regola. L’alcol e le droghe, anche psichedeliche, come spesso avviene nel paese, al di là del censo sono molto presenti. E queste stazioni sciistiche sono famose per le feste nelle ville private.

Per chi ama le piste nere, sicuramente i luoghi ideali sono Darbandsar, che vanta moderni impianti e belle discese, e Shemshak, famosa per la pista nera tutta gobbe, che però è attualmente chiusa in attesa che gli impianti di risalita vengano rifatti. Le piste arrivano fino a 3600 metri d’altezza.

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(foto di Luca Fortis)

A Darbandsar, che è di proprietà privata, sono stati sostituite tutte le strutture e da qualche anno è stata montata una cabinovia acquistata dal comprensorio altoatesino di Plan de Corones, la vecchia Gipfel.

La vista dalle piste di sci di Darbandsar è meravigliosa, dovunque si stagliano bianche montagne desertiche. La natura è completamente selvaggia, e andando fuori pista si possono incrociare le orme di tanti animali, tra cui l’orso grigio siriano che ancora vive sugli Alborz.

Dizin è la stazione sciistica più grande e la più lontana da Teheran tra quelle vicine alla capitale. Ha un gran numero di piste e impianti, anche qui si scia fino ai 3600 metri. Per raggiungerla ci sono due strade: quando il passo montano è aperto, si arriva in poco tempo passando da Shemshak; quando la strada non è pulita per la troppa neve si deve passare per l’autostrada di Karaj e ci si mettono, invece che un’ora e mezza, tre ore. Shemshak e Darbandsar distano invece meno di sessanta minuti da Teheran. Tochal, la più piccolina, è invece proprio sulle vette sopra Teheran ed è raggiungibile dalla città direttamente con una cabinovia.

Sciare in Iran è anche un’esperienza splendida per chi ama il fuori pista, anche se bisogna fare attenzione, visto che si tratta di montagne ancora largamente selvagge. Il contrasto tra le cime incontaminate ma con stazioni sciistiche così alla moda e Teheran, megalopoli sorprendente, dalle atmosfere quasi gotiche, dalle mille vite e culture underground che tentano di sfuggire ai tentacoli del regime, non potrebbe essere più impressionante.

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(foto di Luca Fortis)

Scendendo dalle montagne ci si immerge in questo mondo metropolitano dove quasi tutto è vietato, e pure dove tutto avviene, forse in modo ancora più estremo che da noi in occidente. Perché tanto non si ha più nulla da perdere. Sotto le leggi repressive della Repubblica Islamica si nasconde una Berlino dalle infinite sottoculture. Dai quartieri più poveri del sud al centro città, dove si trovano le università e i ministeri, al ricco nord, la città ribolle di underground di ogni genere, dai sufi agli hippie, dalle gang di Teheran Sud e i suoi wrestler agli studenti universitari che si prendono un “trip”, alle donne che difendono strenuamente le loro libertà con piccoli gesti quotidiani, fino ai molti religiosi islamici che in nome dell’Islam si rifiutano di accettare la centralizzazione statale dell’interpretazione coranica imposta dalla Repubblica Islamica.

 

Lo desidero perché mi stringa a sé / mi stringa a sé che sono folle d’amore/

e avvolga alla mia esistenza, forte / quelle braccia possenti e calde /

vorrei, nei suoi baci ardenti / cercare rovente passione del piacere.

 Forugh Farrokhzad,  poetessa iraniana


*LUCA FORTIS (Mi considero un nomade, sono attratto dai percorsi irregolari, da chi sa infrangere le barriere e dalla scoperta dei tanti “altri”. Ho un pizzico di sangue iraniano. Sono giornalista freelance specializzato in reportage dal Medio Oriente e dalle realtà periferiche o poco conosciute dell’Italia. Lavoro anche nel sociale a Napoli)

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