I murales di Shamsia, una voce femminile nell'Afghanistan delle guerre

di VICHI DE MARCHI* 

Shamsia Hassani ammette di non sentirsi sicura quando dipinge nelle strade di Kabul. Per questo tratteggia rapida, lascia il segno e se ne va, al massimo sosta una ventina di minuti. Nella fretta, molti dei suoi “dipinti” restano degli “incompiuti”, che è un po’ il destino dell’arte di strada, soggetta per sua natura ai mutamenti, alle manipolazioni, alle sovrapposizioni, al deperimento.  

Hassani è una giovane “artista di strada”, la prima graffitara afghana, un rarissimo esempio di artista di un certo successo in un paese dove le donne fanno fatica persino a uscire di casa senza essere scortate da mariti, padri fratelli. È anche una delle presenze femminili importanti del nuovo Afghanistan scosso da venti vorticosi e insidiato da troppe incognite, prima tra tutte quella dell’identità del paese dopo la partenza delle truppe americane. Nascerà un nuovo Afghanistan sulle carcasse dei mezzi militari lasciati da così tante truppe straniere – dai russi, agli americani ai contingenti Nato -  o il suo territorio tornerà ad essere terra di conquista dei talebani che già avanzano, distretto dopo distretto?  Un paese in decomposizione, è la previsione degli analisti.


mura 7jpg


La domanda sul futuro del paese se la pongono anche le donne afghane, quelle che Shamsia Hassani ritrae in modo quasi ossessivo nella sua arte di strada.

I suoi graffiti e murales raccontano un mondo femminile popolato di volti quasi sempre dal capo coperto eppure volitivi e forti, anche gioiosi, comunque tendenti alla libertà.  E’ la nuova donna afghana che Hassani spera di veder nascere, custode anche di molte tradizioni. I suoi murales sono fitti di messaggi scritti nella lingua locale. E ovunque c’è la musica degli strumenti, metafora della voce potente che serve alle donne per farsi sentire.

Del resto, l’anelito alla libertà è l’essenza dell’arte di Hassani, nata nel 1988 in Iran da una famiglia afghana in fuga dalla guerra, tornata nel suo paese all’età di 16 anni. Poi la scelta degli studi artistici, la vocazione ad essere un’”artista di strada” e, nel 2009, l’impegno a organizzare il primo festival di graffiti dell’Afghanistan.


mura 8jpg


Per realizzare la sua arte è stata spesso costretta a cercare edifici abbandonati o strade isolate e desolate. Non è ciò che vorrebbe ma è ciò che serve a lei, per dipingere con le sue bombolette spray senza essere insultata dai passanti (uomini) o avere lo sguardo di condanna su di sé. Del resto, se già murales e graffiti sono visti da molti (e non solo in Afghanistan) come una degenerazione dell’arte, il fatto che sia una donna a farli risulta ancora meno digeribile.

Il suo intento artistico non è solo di denuncia della condizione femminile. Vi è anche il sogno della bellezza che si forma trasformando, con il colore, i muri violati dalla guerra in fondali gioiosi e di speranza.

“È molto meglio introdurre la gente all’arte facendola incontrare per strada. Non abbiamo buone gallerie e la gente non va alle mostre. Nello stesso tempo, posso cambiare l’immagine della città con il colore e magari ricoprire i cattivi ricordi della guerra” ha affermato Shamsia Hassani in un’intervista a Los Angeles Times.

mura4jpg


Nonostante le tante difficoltà che derivavano dal suo essere donna, Shamsia Hassani ha tenuto duro, è riuscita a conquistarsi una cattedra all’Università di Kabul dove insegna arte. Il suo nome ha cominciato a circolare oltre confine, sino a giungere negli Stati Uniti, approdando al Museo Hammer di Los Angeles, un centro culturale e artistico affiliato all’università, dove l’artista afghana ha prodotto indisturbata per lunghi mesi. Ne è nato il ciclo “Birds of No Nation”: quel titolo - ha ripetutamente spiegato Hassani -  racconta di chi non ha una propria voce e, dunque, fa fatica a cantare, cioè a farsi sentire. E’ la realtà di giovanissime e meno giovani donne che, nonostante alcune leggi di tutela dei loro diritti, hanno difficoltà a lavorare e ancor più a studiare.

 Meno di un quarto della popolazione femminile afghana, infatti, è occupata o è in cErca di un’occupazione e appena il 13 % ha accesso all’istruzione secondaria. In questo paese dalla bellezza struggente e dalla povertà dilagante, quasi in fondo alla classifica ONU quanto a “diseguaglianze di genere”, anche un murales può aiutare a ritrovare voce e spazio. È quello che pensa Hassani quando lascia la sua firma sui muri di Kabul.


VICHI DE MARCHI (E' giornalista e scrittrice per ragazzi. Per molti anni è stata portavoce per l’Italia del World Food Programme delle Nazioni Unite e oggi cura l’Atlante dell’infanzia a rischio di Save the Children Italia)


clicca qui per mettere un like sulla nostra pagina Facebook
clicca qui per rilanciare i nostri racconti su Twitter
clicca qui per consultarci su Linkedin
clicca qui per guardarci su Instagram