Guida turistica al Purgatorio / terza parte 9) La cittadella (il momento in cui perdemmo)

di PAOLO BIROLINI*

 

Dopo il ponte c’è un amore irrisolto ed una cellula. La Cittadella è un posto che si nasconde dietro un groviglio di strade senza destinazione. È un luogo che crea problemi, una succursale involontaria. Le anime eccedenti al Purgatorio si sono divise tra i falansteri del dopo terremoto di là dalla ferrovia e questo Vomero privato, con piccoli ragionieri, piccoli dottori, piccoli maestri, piccole donne.

Nel pensiero comincia con una chiesa minore, un ristorante di famiglie domenicali, un presuntuoso campo di calcio. Una metastasi del Quartiere che confonde la memoria.

Ora trovate un mercato all’aperto di enormi statue di santi. Sotto ai cavalcavia un vivaista ed un negozio improvviso di balocchi. Ma io non rammento quei ponti, rammento un confine spostato in avanti, lo slancio verso i paesi, i cafoni, le giacche a quadri, le pronunce improbabili, le donne vestite di nero della prima Irpinia. Ricordo i primi travestiti e il transito disgustato della madre. Un posto di latitanti smemorati di sè, vecchi militanti in fuga. Ma anche tutti quelli entrati in luoghi sicuri, quelli con un tinello di rappresentanza e una moglie triste e desiderante, tutti quelli che ho tradito quando sono diventato cattivo.

Da qualche parte deve esserci una saracinesca, un piccolo locale, una cellula di quella grande maledizione novecentesca. Non saprei dove indicare il luogo da memorizzare, non c’è nulla da memorizzare dei mostri del ‘900. C’è questo errore che mi ha consentito di commetterne altri senza particolari sensi di colpa. Una volta partecipata un’aberrazione, ogni altro peccato è emendato, assolto.

Organizzammo una festa. Un’apertura. Il Verbo doveva discendere in quei cuori banali. Guardate la saracinesca chiusa e provate a pensare tre ore di vita prima del vuoto. Tre ore che non si sarebbero ripetute. Perché è lì che incontrai la fanciulla e pensai fosse la mia salvezza, pensai di poter fuggire con lei in un eterno presente di conti pagati, asili privati, appartamenti riscaldati, luoghi di lavoro senza definizione.

Tutta quella vita che passava in pochi minuti, mentre la nera con gli occhi di giaietto e il seno sconsiderato continuava a guardarmi ed a sorridermi e a dirmi: anche tu, anche tu puoi venire a stare in questo lembo di dignità, in queste case col bagno e l’ascensore e i vicini silenziosi.

Fu un attimo rubare una bottiglia di spumante, controllare le sigarette nel taschino della camicia, il livello di eccitazione per quel futuro rocambolesco e inusuale, per quegli occhi inesorabili. Fu un attimo mostrarle la bottiglia e la porta, la fuga dal Quartiere, la salvezza, il tremore.

La pelle e la rosa e i pori e l’odore. Nascosti sotto un tavolo in giardino, la bottiglia, la pelle, il nero impossibile, la rosa, la parola spezzata, i pori, le labbra crudelissime, gli odori, gli afrori. Una specie di racconto neomelodico, in questa stella di memoria. Una specie di opera buffa, nel gemello che ci raggiunge goliardico e vuole condividere la bottiglia con noi, e interrompe la mia adesione a quel piccolissimo sogno borghese.

Ecco. Questo ricordo della Cittadella. Non un nome, non una strada, solo la predestinazione al delitto.

Fu così che andai al fiume in pellegrinaggio, a votarmi alla causa dei morti, a invocare il progenitore che guariva dai mali d’amore e aggiustava le ossa e le questioni, toglieva i mal di testa, recuperava famiglie e poteri, scacciava fantasmi e liberava case. Così mi apparve e mi iniziò a quei misteri. Divenni mago e assassino e pescatore dentro quel fiume inverso.


* PAOLO BIROLINI (Napoli, 1959; in lui convivono un fratello furbo e un fratello scemo. Quello scemo fa il Dirigente d'azienda e mantiene quello furbo, che prova a fare il poeta) 

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