Guida turistica al Purgatorio / terza parte 7) Il deposito e i numeri

di PAOLO BIROLINI* 

L’origine del viaggio, la fine del viaggio. Nella mia fine è il mio principio. Un fatto puramente numerico, una Kabbalah che estraeva i suoi numeri, i suoi significati: 124, 107 rosso, 107 nero, 171.

Lì dal tabaccaio si accettavano scommesse, si accendevano sigarette propiziatorie, aveva inizio la città, la sua perlustrazione. Impreparati alla giungla uscivamo di casa col machete e con la tesserina con la foto, con l’espressione da bravo ragazzo in bianco e nero e i bollini mensili. Ma questo fu dopo. Prima era l’autostazione, il deposito, il punto di partenza, l’Oriente annunciato che non potevo frequentare.

Potevo camminare, guardare la riva destra, entrare nella cucina del sapere, guardare la coscia matematica, le cosce rosse le calze nere da memorizzare.

Da quella diga, da quella prigione partivano i pensieri irrisolti. Mio padre aveva provato ad entrarci, aveva provato a guidare il tram, il bus, la sua stessa esistenza. Ma gli mancavano due dita e la fortuna, quella partenza gli era preclusa. Fosse dal deposito o dalla dogana, il 124 o l’uno, lui non doveva partire, era già arrivato. Il suo destino erano il legno e il cotone. Quel posto era aperto e chiuso. Per noi era chiuso.

Era aperto per Maria, che provò l’ebrezza del tram e della maternità. Amava solo le donne e crebbe una figlia femmina in assenza di padre. Se ne parlava con benevolenza, in casa e fuori, ma non durò molto l’amore per il tram. Montò due barche dondolanti e fece girare la testa al quartiere. Teneva a bada gli ubriachi e i preti, nascondeva la figlia ad ogni curiosità. Dimenticò il deposito.

Restò aperto per tanti e ancora lo vedete, quel creatore di attese e di privilegi, di sindacalisti e tessere di partito. Sfornava macchine mediorientali che dopo tre fermate offrivano solo posti in piedi. Numeri rassicuranti e numeri pericolosi. Il 124 era rassicurante: deposito / ferrovia, ferrovia / deposito. Non potevi sbagliare, dopo i ponti la via era obbligata. Ma i 107 erano pericolosi, come le circolari della città. Rosso o nero? Cosa accadeva dopo Piazza Nazionale? Passavano poco, dietro non c’era un pensiero razionale, un ritmo, una cadenza. Passavano a caso tra la sorpresa di chi attendeva e non ricordava: rosso o nero? Come le circolari: destra o sinistra? Un’eterna guerra civile, un paese dilaniato da sempre.

Quando cominciai a lasciare il Quartiere, vivevo nell’indifferenza alla kabbalah. Scendevo alla dogana, al capolinea dell’uno, facevo via Stadera come un movimento per scaldare i muscoli, neanche la folla mi spaventava: sarei stato l’unico seduto sul tram in partenza e l’unico seduto in arrivo, mi godevo quella lunga crociera nella città bombardata. Durò un paio d’anni, poi divenni più audace, arrivavo in stazione per discendere agli inferi della metro, ma a quel punto ero diventato cattivo e miope, la città disturbante non mi disturbava più, potevo stare al Centro con tutto il rancore del Quartiere.

Non mi perdevo più, non mi dilaniavo sui colori del 107, non mi facevo turbare dall’andamento turbinoso dei malati appoggiati alle spalle delle adolescenti in trasferta. Dimenticai il Deposito e il Deposito si dimenticò di me.

* PAOLO BIROLINI (Napoli, 1959; in lui convivono un fratello furbo e un fratello scemo. Quello scemo fa il Dirigente d'azienda e mantiene quello furbo, che prova a fare il poeta) 

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