Gli ambientalisti: no al Ponte sullo Stretto nel recovery plan

di REDAZIONE

Dieci associazioni ambientaliste hanno scritto al Governo perchè resista "alle pressioni politiche e delle imprese" che rilanciano l'idea del ponte sullo Stretto di Messina e di un suo inserimento nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Il progetto, come si ricorderà, fu lasciato cadere per l'ennesima volta nel 2013. Ma in questi giorni uno studio realizzato dal Consorzio a suo tempo interessato ne avrebbe dimostrato la fattibilità, mentre si moltiplicano le voci favorevoli. 

Le associazioni - Fondo Ambiente Italiano, Federazione Pro Natura, Greenpeace Italia, Italia Nostra, Kyoto Club, Legambiente, Lipu-BirdLife Italia, TCI-Touring Club Italiano, T&E-Transport & Environment, WWF Italia - hanno inviato le loro osservazioni al Presidente del Consiglio Mario Draghi e al Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, oltre che al Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile Enrico Giovannini, del quale sostengono la posizione assunta di recente: valutare le alternative sull’attraversamento dello Stretto sino all’opzione zero.

Quali sono gli argomenti utilizzati? Il primo è che il Ponte vada escluso comunque dal Recovery plan, perchè serve tempo per studiare le alternative e perchè la Ue, impegnata nel Green Deal,  lo boccerebbe. D'altra parte - è una seconda obiezione  - già nel 2010 il progetto di cui si riparla,  un ponte sospeso ad unica campata della lunghezza di 3.300 metri sostenuto da torri alte 400 metri, fu abbandonato perchè il contractor interessato, Eurolink,  non presentò entro i termini gli approfondimenti economico-finanziari e tecnici richiesti. Le associazioni osservano che già "quel" progetto di ponte aveva un costo stimato al ribasso di 7.5 – 9 miliardi di euro anche "non considerando le 35 prescrizioni di carattere tecnico e ambientale allora richieste nel parere di Valutazione di Impatto ambientale e dal CIPE".

Oltre a essere posta in un'area di grande rischio sismico e idrogeologico, gli  ambientalisti ricordano che l'opera immaginata nel 2010 sarebbe stata comunque in perdita "perché il traffico ferroviario era assolutamente insufficiente e quello stradale stimato era solo l’11% rispetto alla capacità complessiva dell’infrastruttura, con il rischio che i pendolari la stragrande maggioranza degli utenti fossero applicati pedaggi altissimi".  L'alternativa? Migliorare "la logistica e le reti ferroviarie e stradali siciliane e calabresi", riqualificare  e rafforzare i servizi  di traghetti e ferrovie e favorire l’intermodalità.