Giappone della meraviglia, terra di samurai e treni-proiettile

di GIUSEPPE DI CAPUA*

Era marzo del 2015, il pretesto il mio sessantesimo compleanno; l’occasione (quella ci vuole sempre) accompagnare una coppia di cari amici dalla figlia, laureanda, che da mesi era a fare uno stage presso lo studio di un famoso architetto di Tokio. E ecco noi quattro (ovviamente c’era anche mia moglie), stanchi e spauriti, nella immensa stazione centrale di Shibuya ad aspettare la ragazza. Che si rivelò, alla fine dei conti, una preziosissima guida.

L’albergo, nel quartiere dei giovani e dei divertimenti, dava sul più famoso incrocio pedonale del mondo. Fu la prima emozione inedita: dal 23° piano, dove si trovavano le nostre camere, guardavamo dall’alto allo scoccare del verde, bloccato tutto il traffico, migliaia e migliaia di persone riversarsi sulla strada e attraversare in qualunque direzione. Uno spettacolo.

DSCN0038JPG(Tokyo, l'incrocio di Shibuya       foto di Giuseppe Di Capua)

Qualche minuto dopo affrontavo un’altra novità: il wc. Però con la tavoletta piena di pulsanti. Ci è voluto non poco per capire le funzioni, ma una volta riuscitoci ancora mi interrogo sul perché non si usi anche da noi. Un tasto regola la temperatura, tre - in base al tipo di getto d’acqua che si preferisce - servono per il bidet, un altro emette fragranze, un altro ancora musica da relax… In poche ore eravamo già immersi in una realtà e in una cultura diversissime. Cominciava - bagno incluso - una avventura che non si dimentica.

Il giorno dopo, appena svegli, ormai consapevoli di essere in Giappone, decidiamo di dedicarlo al quartiere centrale di Chiyota con il palazzo imperiale (più bello fuori che dentro). Ci si va in metro, ed è lì, nella stazione principale, al ritorno, nell'ora di punta, che mi imbatto negli oshiya:  i “butta-dentro”. Le carrozze sono piene ed i cortesissimi nipponici non sarebbero mai entrati senza questi signori che in guanti bianchi ti “aiutano” a farlo.

Il terzo giorno optiamo per una classica escursione a Nikko, che dista poco più di 120 km. E’ il primo incontro con il celebre shinkansen, la linea veloce su cui corre il treno proiettile. In stazione prima di salire a bordo osservo come lo puliscono. Sembra di assistere a un hyperlapse, o, per quelli della mia età, a un film di Ridolini. Rapidità di esecuzione e efficienza strabilianti. Quando saliamo colpiscono gli spazi ampi, la comodità e la particolarità dei sedili orientabili verso la direzione di marcia. L’interno è un salotto, nemmeno ti accorgi che stai viaggiando a più di 300 all’ora. Il monitor ti aggiorna sulla velocità di marcia, su quanto tempo e quanti metri mancano alla prossima stazione. Noi abbiamo girato le poltrone e ci siamo messi in posizione divano, una coppia di fronte all’altra. Si apre la porta, compare il controllore. Dall’uscio saluta tutti con un inchino. In guanti bianchi, ti chiede il biglietto ma quasi non te ne accorgi. Finito il suo lavoro si inchina di nuovo e scompare nel nulla.

DSCN0568JPG(Tokyo, la fioritura dei ciliegi         foto di Giuseppe Di Capua)

All’arrivo ci affrettiamo verso il leggendario ponte Sinkio, meglio noto come ponte rosso, molto scenografico, quello la cui foto campeggia su milioni di cartoline e fa da copertina a libri e guide. Passiamo l’intera giornata negli incantevoli santuari che sono la cornice della città, molti già  patrimonio dell’umanità Unesco. Fra tanti ricordo il Tosho-gu, dove abbiamo assistito a una singolare lezione di acustica da parte dei monaci buddisti davanti al celebre “drago urlante”, e il Tempio Rinnouji con la sala dei tre Buddha, statue lignee dorate, le più alte del Giappone.

L’indomani nuova puntatina fuori città, si va alla scoperta di Kamakura, deliziosa città ad una settantina di chilometri dalla capitale, di fronte al monte Fuji ben visibile dal lungomare. L’abbiamo girata a piedi, godendoci i templi buddisti ed i santuari scintoisti di cui è ricca. Ma il ricordo indelebile è il grande Buddha. La statua, di bronzo, situata all’aperto su quel che resta del tempio di Kotokuin, è alta più di 11 metri, fa colpo. Il luogo emana una contagiosa spiritualità indefinibile. La sera è un rientro sereno.

Restiamo altri tre giorni a Tokyo, ci torneremo poi per riprendere l’aereo che ci porterà in Italia. Ne apprezziamo la modernità nei quartieri di Ginza , lussuoso e pieno di negozi di fama, di Akihabara dove l’elettronica la fa da padrona, di Roppongi ricco di locali vivaci, ma anche il segno della tradizione quando ci spostiamo ad Asakusa e a Ueno, nella città bassa. Lì vince l’aria del Giappone di altri tempi: edifici in legno, mercatini, artigianato, templi che ti riportano indietro nel passato. Per strada, ogni tanto, si incrocia qualcuno con la mascherina; la si indossa quando si ha il raffreddore per non contagiare gli altri, e se si incontrano amici o parenti ci si saluta senza mai toccarsi (una premonizione?). Un popolo rispettoso e molto ospitale. Le stazioni, i mezzi di trasporto, l’intero paese offrono una pulizia che non si dimentica. Mai vista una cicca di sigaretta, sarà perché è vietato fumare all’aperto.

DSCN0057JPG(Vetrina a Tokyo       foto di Giuseppe Di Capua)

E’ passata una settimana ormai e partiamo, ancora in treno, per Matsumoto. La città ci accoglie con un freddo pungente, la primavera pare essersi fermata lontano da qui. Il “castello del corvo” si affaccia imponente su uno stagno cupo. Dà i brividi. Un edificio nero semplice ma maestoso calamita i visitatori all'interno. In attesa del nostro turno mi fermo a parlare, nel mio pessimo inglese, con una delle tante guide volontarie (gratuite) e riapprezzo la gentilezza dei giapponesi. All’ingresso ci fanno togliere le scarpe per preservare gli interni in legno. Le portiamo con noi in un sacchetto perchè usciremo da un’altra parte. Il castello - sei piani - non è una riproduzione e ti trasporta letteralmente nell’era dei Samurai.

L’indomani ci aspetta Osaka. L’albergo è nella stazione di Shin dove appunto transita lo shinkansen. La posizione è eccezionale, ci permetterà di ottimizzare il poco tempo a disposizione. La camera è minuscola, poco più di 12 metri quadrati, ma c’è tutto, persino una poltrona massaggiante. Ci soggiornano dirigenti che arrivano qui per lavoro. Siamo nella hall, ma piove e fa freddo. Optiamo per una visita all’acquario, ci dicono uno dei più belli del mondo. Informazione esatta. Pinguini, squali balena e tutto ciò che vive nel Pacifico è lì davanti a noi, in macrovasche dove è stato magnificamente ricreato l’habitat originario. Il visitatore è vicinissimo e lungo il percorso sembra di essere immersi nell’oceano. Nella zona c’è anche la ruota panoramica più alta del mondo, e un giro sulla caravella battezzata Santa Maria consente di vedere l'intera baia. Un passaggio in metro, e dalla Cosmo tower ci godiamo dall'alto (250 metri) una visione d'insieme della città. Nei vari quartieri si conferma la sensazione avuta sin dall'arrivo: Osaka sta a Tokyo come Napoli sta a Milano. Vivacità, voglia di divertirsi, un po’ meno di rigidità nell’applicazione delle regole. La mattina dopo un giro rilassante nel grande parco attorno al castello chiude la visita. Di pomeriggio si parte per Kyoto, che è a solo una ventina di minuti, grazie sempre al treno proiettile.

DSCN0236JPG(L'acquario di Osaka        foto di Giuseppe Di Capua)

Ecco la capitale imperiale, la culla della cultura nipponica, la città dei mille templi: volendo continuare l’ardito paragone con l’Italia, eccoci nella Roma del Giappone. A cena pianifichiamo la visita. Kyoto è bellissima ma molto dispersiva. Niente va lasciato al caso. Saranno tre giorni pieni ed intensi: dal quartiere di Gion, il cuore della città, dove si trovano le machiya, tradizionali abitazioni in legno, e le ochaya, le famose case da tè (lì da secoli generazioni di maschi di tutti i ceti sociali vengono intrattenuti dalle geishe), al santuario shintoista Fushimi Inari con il tunnel lungo circa 4 chilometri fatto da centinaia di torii, i portali di accesso a un tempio, tutti di colore rosso. Come nel film di Rob Marshall "Memorie di una geisha". Un’emozione indicibile passeggiare lì dentro, tra giardini zen e padiglioni di oro e di argento.

Dal castello di Nijo con i cosiddetti pavimenti degli usignoli (tavole di collegamento che, quando calpestate, emettono un suono simile al canto degli uccelli) passiamo all’avveniristica stazione principale che sembra una piattaforma spaziale. E per ultimo a Arashiyama, con il suo bosco di bambù: ancora oggi risento l'emozione di quella passeggiata fra migliaia di fusti altissimi che danzavano al vento.

DSCN0367 - CopiaJPG(Kyoto, la foresta di bambù        foto di Giuseppe Di Capua)

Lasciamo la bella Kyoto e andiamo a Miyajima, dolce, melanconica isola a dieci minuti di traghetto da Hiroshima. Appena sbarcati la sensazione è di essere arrivati in un mondo di favola, fra i cervi sfacciati che annusano le nostre borse mentre il vicino torii galleggia nell’alta marea. In albergo camere di stile giapponese, con il pavimento tatami e letti futon, e ampia veranda sul mare. Da lì poi assisteremo ad un tramonto struggente. Di fronte, distanti, le luci di Hiroshima, dove la mia coscienza mi ha imposto di non andare.

Abbiamo passeggiato, finalmente senza fretta, godendo della natura, per i sentieri che portano su al monte Misen; ogni tanto qualche grazioso tempio di montagna e qualche impudente scimmietta che guardava incuriosita. In cima, un panorama stupendo. Tornati giù, ci siamo persi tra i negozi tipici del piccolissimo centro e il lungomare, osservando il gioco della marea. Di sera chiediamo alla reception di indicarci un posto genuino, possibilmente frequentato da locali e non da turisti, per la cena. Ci portano con un pulmino (in verità un po' sgangherato) in una sorta di trattoria. Ci accolgono due signore, il locale ha solo tre tavoli e sette sgabelli intorno ad un grosso bancone con una piastra, c'è una tv in alto.

 Una delle due ci prepara al momento degli okonomiyaki nello stile Hiroshima, un frittatone con tantissimi cavoli, pancetta ed altri ingredienti non definiti. Una leccornia. Finalmente dopo tanti giorni di “misere” porzioni posso dire di essere sazio. Al ritorno immancabile la sosta al torii illuminato. Di sera è veramente suggestivo. Il giorno dopo partiamo in aliscafo per Matsuyama. Visitiamo il castello, uno dei pochi dell’epoca dei samurai, rimasto immutato nei secoli. L’edificio è su una collina, si gode una vista incantevole che arriva fino al mare. All’interno scale di legno sempre più strette collegano i piani. Nelle stanze sono esposti armature, oggetti ed armi d’epoca, e sui soffitti la rappresentazione di una divinità a forma di carpa protettrice dagli incendi. Fuori si stende un parco con miriadi di alberi di prugno e ciliegi in fiore.

DSCN0428JPG(Miyajima, torii con marea    foto di Giuseppe Di Capua)

Il giorno dopo si torna a Tokyo, distante più di 800 chilometri, con un viaggio di 3 ore e mezzo nel magnifico treno proiettile. Arriviamo con una puntualità, per noi italiani, imbarazzante. Si pensi che le compagnie rilasciano un certificato di ritardo, anche per soli 5 minuti, come pezza d'appoggio per eventuali controversie. Nessuno sarebbe creduto sulla parola se addebitasse al mezzo pubblico il mancato rispetto dell’orario concordato.

Lascio per ultimo, e non per caso, lo spettacolo della fioritura dei ciliegi al quale abbiamo avuto la fortuna di assistere. Il periodo era quello giusto. Il risveglio della natura. La speranza che si ricominci. Proprio ciò di cui abbiamo bisogno ora.

P.S. Valeria Spinelli, questo il nome della giovane “guida” alla quale dobbiamo gratitudine, è ora una brava architetta e lavora in uno studio di Basilea. Credo abbia contribuito e non poco alla sua crescita professionale anche quell’anno in Giappone.


*GIUSEPPE DI CAPUA (Nato nel 1955, in pensione; consulente legale, rigorosamente a titolo gratuito, di familiari ed amici che si fidano. Appassionato di relazioni umane e di come funzioni il cervello altrui. Ricorda con piacere quanto fosse bravo a biliardino, tanto da meritarsi l’appellativo di “Peppe saracinesca”, il perché è facilmente intuibile)


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