Due o tre cose che so di Los Angeles, la città-non-città / 1

di FABRIZIO FUNTÒ


Ho passato qualche tempo a Los Angeles — “L.A.” per tutti gli americani — rintanato fra Marina del Rey dove abitavo e l’aeroporto di Santa Monica, dove andavo a lavorare in Activision | Blizzard.

Per chi c’è stato, Los Angeles è il limite estremo di una città sconclusionata. Ha un centro, ma non è un centro come lo intendiamo noi. Isolati e rioni di palazzi e baracche di nessun interesse si alternano casualmente con isolati importanti, dove trovi il municipio o l’auditorium. O le redazioni dei giornali famosi in tutto il mondo.

Come una grande mano, il centro di Los Angeles allunga le sue dita verso la marina, a ovest: la costa baciata da acqua freddissima e ghiacciata, a causa della corrente che scende giù dall’Alaska. Pensi di andare a fare il bagno e te ne torni al prendisole con le pive nel sacco e la pelle d’oca.

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(Il municipio di Los Angeles        foto Fabrizio Funtò)  


Nello spazio fra un dito e l’altro si annidano altre municipalità, ma non te ne accorgi nemmeno. Se la stai navigando da nord a sud — e la sua estensione supera i cento chilometri — attraversi senza soluzione di continuità i vari municipi “invisibili”. Ma devi fare attenzione.

Scendi giù per la Lincoln o per la 405, sempre intasata, e attraversi Venice, Marina del Rey, Culver City all’altezza della Washington, e poi giù giù fino a Long Beach e oltre.

Per noi “digitali”, ognuno di questi municipi era sinonimo di uno “studio” di effetti visivi. Tanto per dire: Venice era territorio di Digital Domain, “D2”; CulverCity era di Sony Imageworks, e così via per Rhythm&Hues, “Raven” per noi, e altri studi. Tutti enormi. Tutti mitici.

Un problema lì diventa il week end, se non ti va di immergerti nella folla e di chiacchierare con qualcuno fino alle prime luci dell’alba. Non sempre sobri, quasi mai vestiti. Un problema diventa quando c’è l’amico o l’amica di passaggio, che ignari del luogo dove ti hanno raggiunto ti chiedono l’immancabile: “Portami a vedere la città”.

Già, ma quale città? Quale delle miriadi di comunità, pensate solo per un complesso gioco di tasse e scuole cui poter mandare i propri pargoli?

E allora, cosa facciamo in questa enorme valle disseminata di importantissimi luoghi di lavoro e di una sterminata miriade di casette, baracche e baracchette? Che fare?

Vi confesso che non lo so.

Però due cose sono imperdibili, a L.A. Ce ne sarebbe una terza, ma ve la dico dopo.

Il primo è l’Auditorio Disney, quello di Frank Gehry, proprio di fronte al municipio. Pazzesco. Ma per un sublimato come me, sicuramente il Getty Center è il luogo migliore dove spendere una giornata a Los Angeles.

Non ve ne parlerò per l’interno, per i capolavori che ospita, quello lo scoprirete da soli quando, sulle mie tracce, andrete a verificare se vi ho mentito o meno. Appena riapre, però;  perché il virus è arrivato ovunque.

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(Getty museum                       foto di Fabrizio Funtò)


Vi parlo invece del contorno, e di cosa colpisce noi europei quando lo conosciamo e lo affrontiamo.

Già all’arrivo, ti sorprende. Devi prendere la onnipresente ed intasata 405 verso nord, verso Glendale (Studi della Disney Animation, per rimanere in tema). Ci devi arrivare per forza in macchina, perché una “non-città” è territorio da giungla, e le distanze — apparentemente semplici da superare — si rivelano infinite e talvolta rischiose. Meglio le quattro ruote e l’indipendenza. La macchina si lascia subito, alla base della collina sulla quale sorge il Getty. E lì trovi una navetta automatica su rotaia, quelle senza conducente, che ti porta direttamente su, sul piazzale di arrivo.

Con l’amico Fernando (architetto, quindi: occhio lungo per volumi, colori, spazi e riferimenti), una volta disquisimmo per ore sull’uso della pietra, dei pieni e dei vuoti, della conformità/difformità con il paesaggio dei vari rami e sezioni dell’edificio. Pareri, ma il luogo è incantato, quieto, coinvolgente, e la luce esterna è importante quasi quanto lo studio meticoloso della luce interna che si riversa sapientemente sulle pareti, dove trovi tutto il possibile e l’immaginabile di capolavori.       

1 - (continua)

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