Dolceacqua, caruggi e rossese nell'incanto di Monet

testo e foto di ROBERTO ORLANDO*

Si chiama Dolceacqua, ma è la prima capitale del vino rosso ligure, che senza bisogno di tanti guizzi della fantasia si chiama semplicemente Rossese. Non c'è da stupirsi, dev'essere un topos caratteriale di noi liguri: per fare un altro esempio c'è un vino genovese che essendo bianco di nome fa Bianchetta.

Si chiama Dolceacqua ma non perché l'acqua del torrente Nervia, che divide in due il paese, sia particolarmente dolce. E' un'acqua normale e il toponimo deriva invece dal nome originario latino della località:  Villa Dulciaca, ossia la cascina del non meglio identificato signor Dulcius, il quale sì, almeno lui è proprio quel che sembra, cioè il signor Dolce. Poi però si sa come succede con le lingue: in dialetto Dulcìaca è diventata rapidamente e con un semplice cambio di accentazione Dulciàca, quindi Dusàiga, Dulcisaqua e infine ecco Dolceacqua.

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Qualcuno sostiene tuttavia che il signor Dolce non c'entri proprio nulla con questa storia e che sia invece celtica l'origine del nome: Dussaga, modificato poi in Dulsàga per approdare quindi alla stessa conclusione italica che attribuisce all'acqua locale una menzionabile dolcezza. L'aspetto che trovo ancor più divertente, a proposito dell'etimologia di Dolceacqua, è che se fai una ricerca sul web quasi tutti i siti nelle prime righe di descrizione del borgo sentono la necessità urgente di spiegare l'origine del nome.  Ma con questa stessa identica definizione: "Villa dulciaca, fondo rustico di età romana". Miracoli del copia e incolla.

Dolceacqua si trova in provincia di Imperia ma, ultima capriola del caso, è divenuta importante e potente per opera della più famosa famiglia genovese, quella dei Doria, che ne è stata proprietaria feudale per cinque secoli a partire dal XIII, nonostante la feroce opposizione dei Grimaldi di Monaco, nel periodo dei sanguinosi scontri tra i guelfi del Principato della Rocca e i ghibellini genovesi.

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A innamorarsi di Dolceacqua e ad acquistare nel 1270 quasi tutti i terreni intorno al villaggio fu Oberto Doria, il comandante della flotta genovese che sconfisse i Pisani nell'epica battaglia dell'isola della Meloria (davanti a Livorno). Questo Oberto, poi divenuto Capitano del Popolo, era un gran personaggio: da ammiraglio non si limitava a vincere battaglie, ma a lui è attribuita pure l'invenzione della mitica farinata genovese, quella specie di focaccia molto sottile a base di farina di ceci. Insomma Oberto vince, inventa e poi investe. Così compra le terre di Dolceacqua dai conti di Ventimiglia, famiglia da cui la sfrenata creatività di Emilio Salgari farà nascere in tempi a noi molto più prossimi un'altra leggenda dei mari, il fantastico Corsaro Nero.

Sono i Doria nel corso del tempo a innalzare l'omonimo castello come lo vediamo oggi. Le prime fortificazioni risalgono però all'Età del Ferro, altre furono costruite dai Liguri Intemeli a partire dal IV secolo a.C. per arginare l'avanzata inesorabile dei Romani. E la prima dimora feudale, nonché turrita, di cui si trova traccia scritta in un documento ufficiale del 1151 è invece opera dei conti di Ventimiglia.

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Tutta questa premessa storica per spiegare la sensazione che si può provare entrando nella parte antica del Borgo: caruggi e creuze (anche se non proprio de ma') per salire fino al castello e poi eventualmente, se si è in vena di escursioni, intercettare l'Allta Via dei Monti Liguri che comincia proprio qui in Val Nervia e prosegue sui crinali fino all'estremo levante della regione, in Val di Vara. Una specie di paradiso vista mare per appassionati di trekking, gite in mountain bike o a cavallo. Si passa dalle fasce degli uliveti a quelle dei vigneti del Rossese e anche senza andare tanto lontano c'è da farsi una scorpacciata di bel vedere. Prenotasi in loco cavalli e biciclette. A chi non piacesse la montagna... il mare è comunque a cinque chilometri da qui.

Ma se subentra un po' di pigrizia postprandiale, come nel nostro caso, non è obbligatorio salire in quota: la gita dà comunque soddisfazione fin dal principio, quando dal piazzale della chiesa di Sant'Antonio Abate (chiesa del Quattrocento all'interno della quale si può apprezzare un polittico cinquecentesco di Ludovico Brea) si parte per inerpicarsi su per i caruggi, nella parte più antica del paese che si chiama Téra, cioè Terra. Qui l'atmosfera è particolare, ancorché comune a gran parte dei paesi liguri medievali di Ponente arroccati sulle colline con il mare di fronte: si procede lungo le viuzze sempre più strette e ripide tra negozietti di artigianato, rivendite di prodotti locali - tra cui naturalmente il delicatissimo olio extravergine di oliva taggiasca - e cantine del Rossese di cui sopra.

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Nel caso non lo conoscessi, questo vino dal profumo di fragola di bosco è una Doc, dal 1972, che deve essere vinificata per protocollo con almeno il 95 per cento di Rossese. Ma in questo caso il restante 5 per cento è di solito uva di altri pregiati vitigni autoctoni che tradizionalmente, e non per chissà quale strana necessità di arrotondamento del sapore o della gradazione, vengono impiegati da sempre per produrre questo vino. E quando la gradazione del vino sale ad almeno 13 gradi, dai 12 abituali, diventa un Rossese Superiore, ma soltanto nel novembre successivo a quello della vendemmia. Di Rossese se ne produce poco - circa 300mila bottiglie l'anno - anche se il numero di cru della zona è impressionante: sono 33.

Chi è appassionato di vino e soprattutto di storie e cultura del vino qui può passare davvero una bella giornata. Per tutti gli altri si tratta di una full immersion nel medioevo ligure, tra vicoli stretti e tortuosi dove le costruzioni si tengono in piedi l'una appoggiata all'altra grazie a un susseguirsi per niente causale di archi e contrafforti. Un viaggio nel passato da cui a un certo punto siamo tornati indietro di colpo, nel vedere uno dei caruggi addobbato con una serie di lanterne rosse di origine cinese, probabilmente (mi auguro) installazioni temporanee ancorché fuori luogo.

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Ogni angolo è una soluzione architettonica a volte fantasiosa, ma sempre frutto di un adattamento all'ambiente. Tèra segue l'andamento del colle sulla quale è costruito, dalla cima del quale infine il castello Doria domina la val Nervia consentendo il controllo di tutte le vie d'accesso. Il castello ospita un museo interattivo che racconta la storia dei luoghi e l'antica rivalità dei Doria con i Grimaldi del vicino Principato di Monaco, con cui oggi i rapporti sono ovviamente di ottimo vicinato. Al punto che il Principe Alberto ha concesso in prestito al museo del castello un famoso dipinto: Claude Monet, capitato a Dolceacqua con l'amico Pierre-Auguste Renoir nel 1883, ne rimase così affascinato da voler tornare l'anno dopo da solo per raccontare il paese a modo suo: "Il luogo è superbo - scrisse dopo il primo approccio - vi è un ponte che è un gioiello di leggerezza". 

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E come dargli torto: il ponte, realizzato nel XV secolo per consentire ai soli feudatari di attraversare con agio il torrente (i sudditi continuarono a lungo a utilizzare il guado più a valle) dopo l'espansione dell'abitato, è composto da un unico arco di 33 metri di ampiezza e si trova in una posizione perfetta per dare armonia all'insieme torrente-chiesa-castello. Insomma, uno scorcio irresistibile per un pittore, finito per essere il soggetto di uno dei capolavori dell'impressionismo. E poi per restare in ambito artistico vale certamente la pena di ricordare l'opera di Barbadirame, ossia Mario Raimondo, pittore contadino di Dolceacqua, molto amico di Picasso. Lui ha raccontato volti e storie della gente di questo pezzo di Liguria guadagnandosi fama mondiale, oltre che una pregiata produzione di Rossese Superiore a lui intitolata. Una sua opera dedicata a Andrea Doria, figlio di Dolceacqua per parte di madre, la si può trovare a poca distanza dal ponte medievale.

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Per passare dalla pittura alla natura e infine alla fotografia, che pratico con passione riscoperta da qualche anno, devo purtroppo annotare un disdicevole aneddoto personale: un po' più a valle del ponte romanico ce n'è un altro, più recente e asfaltato. Manufatto un po' meno elegante del precedente che tuttavia non disturba la frenetica attività di una spettacolare coppia di martin pescatori. Non ne avevo mai visti prima, ma è stata una di quelle volte in cui non avevo con me la reflex. Pertanto mi toccherà tornare al più presto.


*ROBERTO ORLANDO (Nato a Genova in agosto, giornalista professionista dal 1983. Ultimo capocronista del Lavoro. Dopo uno scombinato tour postrisorgimentale che lo conduce in molte redazioni di Repubblica è rientrato tra i moli della Lanterna. Viaggia, fotografa e scrive. Meno di quanto vorrebbe)

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