Diciassettesima tappa, Canazei-Sega di Ala - Dal Puzzone di Moena alle bollicine di Trento

di NEREO PEDERZOLLI*

 E’ la diciassettesima tappa di questo Giro 2021, ma da quassù si può sfidare qualsiasi diceria. Anzi:  il numero in questione cambia pure nella fonetica della parlata. Perché siamo nel cuore suggestivo della Ladinia dolomitica, isola etnico linguistica orgogliosa delle sue salde radici nel passato – mille e più anni di storia, legami con migrazioni retoromanze, lingua mutata dal latino con influenze variegate, tra Celti, Reti, pure Slavi – e contemporaneamente protagonista dello sviluppo turistico con consolidata tutela ambientale. Tra leggende fantasiose, fate nella corte del mitologico Re Laurino e moderni stimoli al confronto. Pure in ambito sportivo. Sci, alpinismo, trekking e ciclismo.

E’ Canazei/Cianacèi (in ladino) che sancisce il ‘giro di boa’ sul tracciato Moena-Cavalese della Marcialonga di Fiemme e Fassa, la più fascinosa gran fondo di sci nordico nata nel febbraio 1971, esempio di competizione popolare che negli anni ha coinvolto schiere di ‘bisonti’, sci leggeri ai piedi, tutti in fila su quattro solchi, sottili, candidi, difficili quanto invitanti. Fondisti alla riscossa. Una colonna sempre più numerosa. Scalpitante, variegata, per nulla campanilista. Che si trasforma in un dinamico, unitario collegamento tra Fiemme e Fassa, puntando principalmente sulla parola ‘longa’. In tutto. Trasformando la Marcialonga in evento corale, ben più importante della competizione sportiva. 


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Sempre con le Dolomiti sullo sfondo, la Marmolada regina indiscussa, per consentire la scoperta di un patrimonio culturale decisamente variegato. A tutti i livelli. Gusto compreso.

La Val di Fassa ha un simbolo della caparbietà montanara capace di trasformare la tradizione in curiosa leccornia: quella del Puzzone o – per dirla in ladino – Spetz Tsaorì, formaggio ‘ a crosta lavata’ decisamente affascinante.  Ha la forza nella sua diversità aromatica, al punto di sfidare banali definizioni e rendere - con sagace ironia - la… puzza in una specialità. Tutta da scoprire, per essere travolti da una scarica di profumo. Inesorabilmente fascinoso, che rende il formaggio per certi versi incantevole, avvolgente e indimenticabile. Proprio come il suo nome e il luogo d’origine: Puzzone di Moena. Un formaggio che non teme rivali.


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Assaggiarlo vuol dire compiere una delle esperienze gustative più intriganti in un guizzo aromatico. Ha un bouquet complesso quanto penetrante, inizialmente - quanto si taglia una fetta dalla forma – decisamente pungente quanto fermentativo. Appunto una puzza. Quella che lo distingue e lo pone sul podio dei formaggi ‘ a crosta lavata’ forse più potenti d’Europa. Fragranze che immediatamente s’amalgamano tra loro, trasformando il bouquet in una esplosione di sentori di fieno appena falciato tra i pascoli dolomitici; al palato è altrettanto potente, intrigante, con sapori che rievocano il mallo della noce, nocciole tostate, pure il miele di rododendro. Con una persistenza gustativa incredibile.  Caratteri dovuti a precise pratiche casearie. Formaggio che rispetta un rigido disciplinare di produzione e una serie di dettami formulati da Slow Food, associazione che annovera il Puzzone di Moena tra le forme tutelate dai Presìdi del Gusto. 

A proposito di cibo.

Fassa e Fiemme vantano primati decisamente golosi. Per i ristoranti ‘stellati’, per le tipiche osterie d’alta quota e una serie di rifugi gourmet, pure per il fatto che custodiscono un dinamico quanto innovativo pastificio, quello dei Felicetti di Predazzo, pastai protagonisti della più innovativa cucina d’artista, forti di oltre un secolo d’esperienze, orgogliosi di operare proprio tra le Dolomiti trentine. Ecco allora i menù a base d’erbe spontanee del bosco rielaborate da Alessandro Gilmozzi, chef botanico, nella sua cucina a Cavalese, tra le suggestive macine di un mulino ultracentenario. O le specialità ladine della famiglia Donei a Malga Panna, a Moena, senza tralasciare L’Chimpl di Tamion, con Stefano Ghetta ai fornelli. E ancora più in alto (per quota) il Rifugio Fuciade, cucina montanara d’autore, una cantina incredibilmente fornita, per un ristoro raggiungibile solo a piedi lasciando l’automobile a Passo San Pellegrino.


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Torniamo allo sport. Lungo il percorso, pochi chilometri dopo la partenza della tappa, ecco stagliarsi a Predazzo i trampolini del salto con gli sci. Sono pronti per ospitare le prossime Olimpiadi bianche, con il Trentino mobilitato per garantire lo svolgimento delle prove olimpiche, sia a Predazzo come nello Stadio del Ghiaccio di Baselga di Pinè, situato proprio lungo il percorso odierno: anello ghiacciato tra i più scorrevoli e competitivi d’Europa, Baselga di Pinè patria – non a caso – di campioni del pattinaggio, i Sighel su tutti, ma che ha stimolato anche la pratica del Curling, sport di squadra nella maestria di far scivolare su ghiaccio pesantissime pietre di granito levigato appositamente dotate d’impugnatura. Una ‘variante ice’ del gioco delle bocce, che in Trentino s’è sviluppata in Valle di Cembra, e in mezzo a vitivinicoltura eroica in una vallata che conosce a fondo il concetto di fatica. Quella che consente ai contadini di curare le viti su irti pendii a prova di equilibrio. Varietà esclusive come il Mueller Thurgau, vitigno a bacca bianca tra i più fragranti, viti affiancate da tanti altri cloni, da Chardonnay al Riesling, pure Pinot nero, ma soprattutto dalla ‘vite stanziale’ la schietta Schivava, per un vino rosso altrettanto beverino. Vendemmiare uve per fare vino identitario. Pratica colturale che i cembrani chiamano ‘lambicar’, ma parola dialettale che sempre in questa zona assume l’altro aspetto, sempre legato all’uva: quello della distillazione delle vinacce, per ottenere squisite grappe.

A proposito di fatica e per rimanere a Cembra. La conoscono bene anche i ciclisti nati tra i vigneti cembrani strappati alle cave di porfido. E’ qui che i Moser hanno solide radici, con Francesco nel perfetto ruolo di campione quanto accorto vignaiolo. Moser dinastia di sagaci sportivi, esempio per altrettanti protagonisti del Giro d’Italia, Gilberto Simoni in primis. Ciclisti esemplari, che continuano a coinvolgere schiere di ‘pedalatori’, in kermesse sia agonistiche che di puro svago. Pedalando sulle strade collinari solcate tra Avisio e Adige, con Trento scelta prevalentemente come base di partenza.


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Trento città del Tridente, con i suoi tre colli a scandire il paesaggio, tra palazzi storici, il Concilio di metà Cinquecento, echi di vicende belliche ( Trento italiana solo dopo la Grande Guerra ) e altrettante moderne spinte d’altruismo, con personaggi che spaziano da Alcide De Gasperi, statista di stampo europeo, a Chiara Lubich, la sodale fondatrice dei Focolarini, poi una serie autorevole di studiosi fautori della Facoltà di Sociologia ( il premier Mario Draghi compreso ) in un crescendo d’impegni universitari che l’hanno portata ad attirare Premi Nobel e i massimi esperti mondiali al suo Festival dell’Economia, in calendario a fine di questo mese.

Trento e la speciale autonomia provinciale, Trento variegata, capoluogo che stimola innumerevoli discipline, compreso apposito Festival dello Sport. Impossibile elencare i primatisti nelle varie categorie agonistiche. Solo alcune citazioni. Queste.



Tra le prime città a scommettere sullo sci, grazie alle piste della Paganella e del Monte Bondone. Rinomata per le primissime edizioni del Trofeo Topolino, fucina di sciatori creata dall’indimenticabile Rolly Marchi. Città natia dell’altrettanto mitico Cesare Maestri, il ‘Ragno delle Dolomiti’, apripista dell’alpinismo più spettacolare. E’ pure briosa, vivace con il vino che porta il suo nome: Trento DOC. Lo deve allo spumante metodo classico elaborato già nel 1902 da Giulio Ferrari, padre nobile della spumantistica nazionale, che in una minuscola cantina vicino il Duomo riuscì a competere con il blasone delle ‘bollicine’ francesi. Una scommessa, un sogno il suo, lungimirante. Adesso lo spumante classico Trento è tutelato dall’Istituto Trentodoc, tutta una parola, a suggellare l’impegno convinto di una sessantina di aziende briose, tutte interpreti di un metodo altrettanto legato alle peculiarità del Trentino. 


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Rovereto, seconda città per importanza del Trentino, è stata definita l’Atene del nord, per i suoi personaggi dell’arte, da Fortunato Depero a quanti hanno poi suggerito di fondare uno dei musei d’arte più spettacolari d’Europa, il MART, firma dell’archistar Mario Botta, direzione di Vittorio Sgarbi, rassegne – attuali – che spaziano da opere del Caravaggio a Raffaello, in un mix di sperimentazione espositiva e salda educazione didattica.  Il bello e il buono di una valle che nella tappa numero 17 riserva altrettante asperità ciclistiche. 

Poi Monte Baldo, ora palestra selettiva sul versante del Passo San Valentino, vetta molto impegnativa da scalare prima dell’altrettanta ripidissima rampa finale, quella che porta alla Sega di Ala.  Monta Baldo non a caso chiamato orto, rinomato già nel Medioevo per la sua varietà incredibile di piante officinali. Montagna che separa l’alveo del fiume Adige dall’attiguo Lago di Garda, sito di colture sperimentali nel comune di Brentonico, malghe d’alpeggio, ortaggi e timidi quanto incoraggianti insediamenti vitati, agricoltura biologica pure a rigida gestione biodinamica. Le stagioni consentono raccolti variegati, dallo zafferano ai cavoli per fare i crauti grazie a sincere tecniche fermentative in voga da sempre nelle case dei contadini. L’ orografia del Baldo favorisce la maturazione di cereali antichi, grano saraceno e frumento per farine da panificazione. Mitigando le folate che spirano da nord, diffondendo il benefico vento gardesano, l’Ora, nel rispetto delle peculiarità del suo fondovalle verso sud, il Veneto a pochi passi.

Una zona tra Ala ed Avio, cerniera di confine. Castelli, fortificazioni austroungariche, il fiume sfruttato per secoli per il commercio fluviale, come fosse una sorta di primordiale autostrada che collegava la pianura con le vallate verso nord e il lontano Brennero. Comunità che s’amalgamo tra loro, senza tralasciare reciproche differenze. 

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Poderi, questi, vocati al vino. Citati prima del Mille dai padri Crociferi che nei Campi Sarni coltivavano viti per vini già rinomati. Una tradizione raccolta e rilanciata dai Marchesi Guerrieri Gonzaga, azienda situata proprio sotto il traguardo della tappa odierna, dove il vino di stampo bordolese, il San Leonardo, è uno dei rossi più importanti e famosi d’Italia.

Il traguardo di tappa è sul versante più ardito della montagna che da Ala porta verso i Lessini. Pendenze davvero da urlo, una decina di chilometri che dal fondovalle ( quota 146 metri ) portano ai 1.224 del traguardo, percorso già sperimentato durante il Giro del Trentino 2013, con Vincenzo Nibali per primo a domare il cronometro. Chissà se quest’anno lo ‘Squalo dello Stretto’ riuscirà a bissare il successo. 


*NEREO PEDERZOLLI  (nato a Stravino, tra le Dolomiti di Brenta e il Garda trentino, per 36 anni giornalista/inviato speciale RAI in programmi e rubriche agroalimentari, film-maker, da oltre 30 anni degusta vini per la guida del ‘Gambero Rosso’ e ha pubblicato numerosi testi di cultura enogastronomica. E’ editorialista del quotidiano online ‘ilDolomiti.it’)


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