Diario da li Galli, quando regnavano Massine e Nureyev

di ANNAMARIA PASSARO*

Ho molti ricordi della mia adolescenza sulla Costiera Amalfitana. Tra questi, i più favolosi riguardano le isole di fronte a Positano: Li Galli.

Per molti anni, d’estate, la mamma scendeva alla spiaggia di Marina del Cantone. Alle otto in punto saltava sulla barchetta a motore pilotata da Giovanni, il guardiano delle isole. Il proprietario de Li Galli, il ballerino russo Léonide Massine, coreografo di Djagilev e amico di Picasso, voleva un’insegnante di italiano per i suoi due figli più piccoli, Pietro e Teodoro, che ai tempi avevano circa 10 e 12 anni. Sapevano solo il tedesco e mia madre, insegnante di italiano, lo parlava.

Il castelluccio uno dei Gallijpg(Il Castelluccio, uno dei Galli      foto di Annamaria Passaro)

Qualche volta la accompagnavo, all’inizio recalcitrante, adolescente irrequieta quale ero, con la voglia di restare sulla spiaggia con gli amici. Poi, sempre più incuriosita, prendevo pinne e maschera e andavo con lei. Mi piaceva l'idea di un giro in barca.

Non mi rendevo conto della fortuna, del privilegio di poterla seguire. Viaggio dopo viaggio mi tornavano alla mente i racconti e le leggende  che circondano quelle isole. Nella mezz’ora di tragitto che ci separava dall’arrivo, la mamma mi ricordava la storia di Ulisse, del canto delle Sirene, dell’Odissea. Lo sbarco sull’isola si arricchiva di misteri e di aspettative su quello che avrei visto. All’imbarcadero non trovavo le Sirene ad accoglierci, ma una imponente signora tedesca, Hannelore, la moglie di Massine, sempre in compagnia del marito, un omino dai grandissimi occhi azzurri che parlava uno strano italiano, misto a parole che non capivo. Ormeggiata nella baia c’era una minuscola barca con il pomposo nome “O’ Bidè”, sicuramente un omaggio alle sue dimensioni.

targa Massine a Positanojpg(La lapide dedicata a Massine, a Positano    foto di Annamaria Passaro)

Sul muro di un casotto, che probabilmente serviva da deposito per motori e attrezzi, c’era una grande maiolica che rappresentava un guerriero saraceno.

La mia sirena era un bastardino bianco che si chiamava “Palommella”, il cane del guardiano. Mentre la mamma faceva lezione, io passeggiavo per l’isola con Palommella, esplorando anche posti dove non sarei dovuta andare. Giravo intorno alla Torre Saracena, mi buttavo in acqua e nuotavo fino all’isoletta di fronte, il Castelluccio, dove ancora si vedevano delle rovine. Era molto pericoloso; l’unica volta che mi ci arrampicai, Massine mi richiamò con il megafono, pregandomi di scendere e tornare indietro.

Nell’edificio principale dell’isola principale, che ha la forma di un delfino, c’era una terrazza con una fontana e una vista meravigliosa. Tutto in decadenza, ma a me piaceva moltissimo. A volte, quando non la seguivo, la mamma si fermava per pranzo, e nei giorni di particolare brutto tempo la moglie di Massine le offriva persino di rimanere a dormire. In quelle occasioni il padrone di casa, amante delle feste e molto conviviale, raccontava episodi della sua vita e dei fatti avvenuti sull’isola.

Massine e la mamma di Annamariajpg

(Massine e la madre dell'autrice)

Uno era molto divertente e riguardava il faro e lo “zimmaro”, cioè un caprone. Una notte di bufera, quando ancora c’era il precedente guardiano, bisognava accendere la luce di segnalazione. Il vento era talmente forte che si poteva avanzare solo a quattro zampe. Improvvisamente il guardiano, che aveva una lunga barba svolazzante, sentì una cornata sul sedere e volò per aria: era il caprone dell’isola che lo aveva scambiato per un rivale.

Sull’isola arrivavano giovani da tutte le parti del mondo: ragazzi e ragazze che volevano seguire il corso di ballo che Massine teneva nella torre saracena. L’aveva adattata a sala di danza. C’era un’atmosfera di libertà e cultura. Ricordo quando ci fu l’inaugurazione della scuola: tre parroci vennero apposta da Positano, Termini e Nerano a celebrare la messa. Noi (in costume da bagno mal nascosto dagli asciugamani), ascoltavamo. Mia sorella lesse alcuni passi del Vangelo. 

Dopo qualche anno, Massine morì. Era il 1979. A Positano una lapide lo ricorda.

maiolica alleapprodo dei Gallijpg(Il Saraceno di maiolica all'ingresso della villa         foto di Annamaria Passaro)

La mamma non andò più a fare lezione. Le nostre gite si limitavano a un giro e un tuffo nelle acque blu delle sirene. In quel periodo sbarcavamo su Li Galli solo le rare volte in cui i figli e Hannelore tornavano per metterli in vendita. Mantenerli era molto costoso. Più tardi, leggendo la biografia straordinaria di Massine, scoprii che si era innamorato delle isole già dai sui primi viaggi sulla Costiera, vedendole da una finestra dell’albergo dove alloggiava a Positano. Le aveva comperate nel 1924, e per 50 anni erano state il suo rifugio, un luogo dove aveva accolto personaggi straordinari. La casa sull’isola era stata abbellita da Le Corbusier. Ho pochi ricordi degli edifici, anche se il padrone di casa mi aveva fatto visitare la parte riservata agli ospiti. Mi sembra fossero stanze semplici, muri bianchi e quasi nessuna decorazione alle pareti.

Torre de Li gallijpg(La Torre de Li Galli       foto di Annamaria Passaro)

Dopo dieci anni, sbarcò su quegli scogli un altro mito della danza, una leggenda vivente, perfetta per la millenaria storia del luogo. Li aveva acquistati Rudolf Nureyev. A differenza di Massine, che per andare a Li Galli partiva da Positano, lui si imbarcava da Marina del Cantone, dove mi era capitato di vederlo passare di corsa un paio di volte.  Era molto amato dai paesani, cordiale e disponibile, nel racconto dei traghettatori.

Io lo amavo per il carisma, la danza e la bellezza. A Milano, in virtù di qualche miracolosa e ben introdotta conoscente, una volta ero riuscita a vederlo ballare alla Scala. Lo trovavo straordinario. Un tale “mostro” mitologico frequentava i miei due posti del cuore, quello dove ero nata e quello dove trascorrevo l’estate: mi sembrava una fortuna incredibile. A Marina del Cantone non avevo mai osato fermarlo. Decisi allora di avvicinarlo una sera a Milano.

Nureyev mentreAnnamaria chiede lautografojpg(Nureyev a Milano concede l'autografo alle due "fan"                  foto di Annamaria Passaro)

Insieme alla mia amica Serena, anche lei affascinata dal personaggio, lo aspettai dopo uno spettacolo della Scala. Quella volta non eravamo riuscite a trovare i biglietti, per cui ci appostammo davanti all’ingresso degli artisti. La mia amica aveva portato la macchina fotografica per immortalarlo. Io avevo un taccuino: mi sarei fatta largo nella folla per un autografo. Anzi, due.

Come artista lo descrivevano ombroso e imprevedibile. Avevo un certo timore, per non dire paura, di una reazione sgarbata. Nureyev uscì molto tardi, per ultimo. Spintonata dalla folla, me lo trovai di fronte. Era molto stanco, lo sguardo fisso nel vuoto. Nessuno ancora sapeva della sua malattia. Notai subito un suo tratto caratteristico: una piccola cicatrice sul labbro superiore.

lautografo di Nureyevjpg

(L'autografo di Nureyev       foto di Annamaria Passaro)

Balbettai in inglese:”So che ha comperato Li Galli, ci vado anch’io d’estate. Mi fa un autografo?” Alzò la testa e mi guardò in faccia, accennando un mezzo sorriso.Senza dire una parola firmò il taccuino che gli porgevo. “Per favore, può firmare ancora? E’ per una mia amica…” Sempre in silenzio, riprese la penna e firmò di nuovo. Poi, facendosi largo tra la folla adorante, salì in macchina. L’amica era riuscita a scattare una foto, ma non a inquadrare anche me. Che rabbia! Però era riuscita a catturare la sua espressione mentre gli parlavo. 

Non l’ho mai più rivisto.

La malattia a poco a poco lo stava divorando, e per salire sulle isole aveva bisogno di aiuto.

Non so perché avesse comperato Li Galli.  Mi piace pensare che avesse voluto continuare il sogno di Massine. Che fosse stato stregato anche lui dalla bellezza e dalla pace che trasmettono. Un luogo perfetto per concentrarsi e creare. 

Lapide a Nerano in ricordo di Nureyevjpg(La lapide che ricorda Nureyev a Nerano                foto di Annamaria Passaro)

Da qualche anno a Marina del Cantone è comparsa una lapide che lo ricorda: rammenta che gli abitanti lo sentivano come “uno di loro”.


*ANNAMARIA PASSARO (nata a Milano nel 1955 da famiglia napoletana. Laureata in Filosofia, illustratrice. "Onirico ironica" è la definizione che amo e che mi diede l' amatissimo agente Marcelo Ravoni (Quipos) )



clicca qui per mettere un like sulla nostra pagina Facebook
clicca qui per rilanciare i nostri racconti su Twitter
clicca qui per consultarci su Linkedin
clicca qui per guardarci su Instagram