Come eravamo, sotto i Portici di Bologna

di LUISA PECE*

I portici di Bologna, patrimonio dell’UNESCO, sono superfici di proprietà privata ma di uso pubblico. All’inizio, cioè nel Medioevo, furono costruiti ampliamenti abusivi degli edifici, che davano sulla pubblica via. La loro tenuta era precaria, quindi si aggiunsero colonne e pilastri per sostenerli, dando così vita ai portici, che fungevano anche da riparo per chi, lungo la Via Francigena o per altre vie, sostava in città durante il pellegrinaggio verso Roma.

Restano ancora alcuni meravigliosi portici lignei originali, per esempio quello di Palazzo Grassi in Via Marsala e quello di Via San Nicolò.


Portico di Via San Nicol  foto di Luisa Pecepng

(Portico di Via San Nicolò       foto di Luisa Pece)

 

A Bologna, come tutti sanno, c’è il portico più lungo del mondo, che da Porta Saragozza conduce al Santuario della Madonna di San Luca, icona della città insieme alle due torri.


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(Il Santuario della Madonna di San Luca         foto di Emanuele Pasquino)


Questo portico, che copre in salita 3796 metri, ha misteriosamente 666 archi, il numero del Maligno. Ho letto da qualche parte che rappresenta il demoniaco serpente che in cima al Colle della Guardia finisce appunto sotto i piedi della Madonna.

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(Foto di Emanuele Pasquino)


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(Foto di Emanuele Pasquino)


Noi ragazzi e ragazze degli anni Sessanta, gli anni Sessanta veri, quelli per antonomasia, quando facevamo “fughino” a scuola arrivavamo a metà della salita per rifugiarci in un bar con i separé, che a noi sembravano il massimo della trasgressione, dove, data la poca abbondanza di pecunia, consumavamo un chinotto in tre. C’era anche la gita scolastica ufficiale: sempre a metà salita, oltrepassato un varco nel muro di sostegno, si apriva una specie di prato incolto dove consumare con gagliardo appetito i panini portati da casa.

Va anche detto che per i bolognesi la Madonna di San Luca è un’istituzione e un prezioso punto di riferimento – quando la vediamo, dall’aereo o dal treno o dall’auto, sappiamo che siamo a casa. Per i bolognesi devoti, poi, il “fioretto/voto” più comune è quello di salire a piedi fino al Santuario, per grazia ricevuta. C’era anche chi faceva la salita in ginocchio, oppure recitando il rosario, scandito dalle varie cappelle aperte nel muro di sostegno che rappresentano i vari “misteri”. 

Sul muretto del portico di via Marsala, casa mia, ci si sedeva a gruppetti per interminabili chiacchierate tra adolescenti e il portico ci proteggeva, era una specie di rifugio aperto dove trascorrevamo ore e ore.


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(Portico di Palazzo Grassi - foto di Luisa Pece)



Altre interminabili ore le passavamo sotto il Portico della Morte, a curiosare tra le bancarelle in stile bouquiniste della gloriosa Libreria Nanni, tuttora in piena attività, dove si possono trovare autentiche chicche, libri rari e antichi. Avevo sempre pensato che il nome del portico fosse da attribuire al fatto che si trova in un punto in cui tira sempre una corrente pazzesca, fa sempre freddo e si rischia una broncopolmonite. Invece no, si chiama così perché faceva parte dell’ospedale dal beneaugurante nome di Santa Maria della Morte. Le bancarelle piene di libri servivano anche un ulteriore lodevole scopo: fornivano un ottimo riparo a brufolose coppiette che lì si scambiavano i primi, timorosissimi baci, soprattutto nei pomeriggi d’inverno, nebbiosi e intriganti.


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(foto da Bologna Online)



Le stradine vicino alla casa della mia infanzia, Via Piella, Via Bertiera e Via delle Oche, oggi costellate di ristorantini, con la famosa finestrella sul canale che scorre tra deliziose e costosissime abitazioni, con i loro doverosi archetti angusti e oscuri (purtroppo oggi devastati da orrendi graffiti), erano per noi ragazzine off-limits, in quanto sotto quei portichetti stazionavano ampie matrone dedite a una per noi misteriosissima professione.


Via Bertiera  Foto di Luisa Pecepng

(Via Bertiera – Foto di Luisa Pece)


Via delle Oche  Foto di Luisa Pecepng

(Via delle Oche – Foto di Luisa Pece)


All’angolo con Via Bertiera, c’è poi una stradina intitolata a una antica famiglia bolognese, che però pare messa lì apposta forse per clienti non soddisfatti….



Foto di Luisa Pecepng

(Foto di Luisa Pece)

 

Mi hanno anche raccontato che nei primi mesi seguiti alla fine della Seconda Guerra Mondiale, in una Bologna bombardata, ferita ma indomita, i portici che fiancheggiano lo stadio funsero da abitazioni per chi aveva perso tutto sotto le bombe. Ogni famiglia occupava lo spazio di uno o due archi del portico e dove oggi c’è uno degli ingressi allo stadio si trovavano rudimentali latrine comuni e lavatoi.

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(Portico dello Stadio – Foto di Emanuele Pasquino)

 

 

Torre di Maratona dello Stadio di Bologna  Foto di Emanuele Pasquinopng

(Torre di Maratona dello Stadio di Bologna       foto di Emanuele Pasquino)

 

Ma il portico sicuramente più famoso di Bologna era il Pavaglione, in pieno centro, che partiva dall’Angolo dei Cretini (o “cantån di inbezéll”), così detto perché luogo di sosta preferito dei flaneurs bolognesi d’antan, e finiva davanti alle vetrine del bar più chic della città.




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(Angolo dei cretini – foto di repertorio)



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(Il Pavaglione – Foto di repertorio)



Sotto il Pavaglione hanno casa due luoghi importantissimi: il bel Museo Civico Archeologico, che ospita tra l’altro una ricchissima collezione di reperti egizi e una raccolta di testimonianze di epoca etrusca, e l’Archiginnasio, sede della fornitissima Biblioteca Civica, con manoscritti rari e rarissimi e libri antichi e moderni, nonché del seicentesco Teatro Anatomico. Ma per gli adolescenti e giovani adulti degli anni Sessanta il Pavaglione era tappa obbligata, nel pomeriggio, per le “vasche”. Si creavano due flussi affollatissimi, pressoché impenetrabili, uno verso la via Farini e uno verso la via Rizzoli. Lì ci si incontrava, si lanciavano sguardi carichi di promesse verso potenziali morosi e/o morose, ci si salutava a voce altissima, si spettegolava, si criticavano abiti e pettinature, si piangeva tra amiche per l’ultima cotta finita male, insomma era il luogo deputato alla socializzazione.



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(Foto di Luisa Pece)


Di fronte a una estremità del Pavaglione, in una deliziosa piazzetta, sorge il monumento a Luigi Galvani, che ha dato vita a uno dei più noti detti bolognesi. Quando si prospetta qualcosa di molto difficile o improbabile, si dice “È più facile che Galvani volti pagina”(l’è pió fâzil che Galvani al vôlta pâgina). E guardando la foto capirete perché…



*LUISA PECE (nata a Bologna tanto tempo fa, malata di adolescenza senile, appassionata viaggiatrice, attrice per diletto, un passato lavorativo tra i libri - Il Mulino - , poliglotta, curiosa come un gatto rosso)


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