Carnevale trentino, alla scoperta dello Smacafàm

di NEREO PEDERZOLLI*

Carnevale agli sgoccioli e - si spera - anche il tempo di pandemia consente di recuperare una baldoria collettiva da un paio d’anni bandita, messa forzatamente in archivio.

In riva all'Adige, nella conca di Trento e in qualche limitrofa vallata, torna in primo piano una consuetudine carnascialesca di stampo medioevale, sinceramente ghiottona quanto in piena sintonia con la cultura del maiale, una sorta di sfiziosa ‘maialata’.

E’ la preparazione - o meglio: l’ostentazione - dello Smacafàm, parola dialettale facilmente intuibile. Indica una gustosa pietanza, veramente ‘pop’, godibile in tutto e di facile preparazione: Carne del maiale e impasto grasso, da gustare sia come focaccia che in tranci, servito in scodelle con brodo caldo, in barba all’ imminente quaresima. E alla fame che un tempo si pativa anche lontano dai giorni di precetto.

Numerosi i modi per preparare lo smacafàm trentino: solo con farina di frumento, impasto con acqua, talvolta con il latte, con salsicce fresche in sostituzione della luganega, insaccato a base di maiale leggermente stagionato, pure affumicato, carni impreziosite con qualche mistura di spezie, il pepe, e - per i più tradizionalisti - l’impasto amalgamato con un goccio di vino. Rosso, potente, volutamente provocante…

Sempre presente lo strutto o il burro nella cottura - in teglia, meglio se di ferro, sistemata su fornelli alimentati rigorosamente a legna, il fuoco che arde e coinvolge nel mix di fumi e odori.

Perché se non è unto, tanto unto non è godurioso. Tripudio del lardo e del maiale.



Bugie_chiacchiere2jpg


La ricetta di questa pietanza (per palati e appetiti robusti) varia da vallata a vallata: c’è chi usa come materia prima la farina bianca, chi quella gialla di mais, chi quella di grano saraceno, altri ancora il pane raffermo. Ed ancora: c’è chi lo immerge preventivamente nel latte e altri nel brodo di carne. Su una cosa sono tutti d’accordo: non deve mai mancare la «lugànega». Essa va sbriciolata fresca nell’impasto, mentre quella più stagionata va stesa a fettine sulla superficie.

Piatto unico per antonomasia, oggi viene proposto anche come "appetizer". Se l’appetito non è stato (ancora) scacciato da questa robusta leccornia, il baccano ante quaresima può lasciare spazio a dolci, specialità sfiziose, con svariate definizioni: i ‘Grostoli o Grostoi’, anche se non mancano altre colorite definizioni: Bugie, Chiacchere, Cenci, Fritole, Sgonfioni, Frappe, Zazzarille. Dolce leggiadro, evoca la trasgressione carnascialesca, l’inconsistenza, l’apparenza e inganno. Nel senso che quando si comincia a gustarli, i Grostoi sono come le ciliegie: non si smetterebbe mai.

 

*NEREO PEDERZOLLI  (nato a Stravino, tra le Dolomiti di Brenta e il Garda trentino, per 36 anni giornalista/inviato speciale RAI in programmi e rubriche agroalimentari, film-maker, da oltre 30 anni degusta vini per la guida del ‘Gambero Rosso’ e ha pubblicato numerosi testi di cultura enogastronomica. E’ editorialista del quotidiano online ‘ilDolomiti.it’)


clicca qui per mettere un like sulla nostra pagina Facebook
clicca qui per seguirci su Twitter
clicca qui per consultarci su Linkedin
clicca qui per guardarci su Instagram