Buggerru, fra l'inferno e il paradiso / 2

di ROBERTO ORLANDO* 

Ta-clang, ta-clang, ta-clang...  E' clangore il suono del trenino che sferraglia dentro la Galleria Henry per raggiungere l'uscita. Noi però andiamo a piedi, perché il passaggio dall'inferno che fu al nuovo paradiso che è deve essere graduale. Così possiano imboccare alcuni piccoli cunicoli che conducono allo strapiombo, dove non c'erano protezioni per i minatori. Ora invece ci sono dei balconcini che si affacciano sulla scogliera e sul mare azzurrissimo e trasparente come ai Caraibi. O come in Sardegna appunto. Le barche che oggi galleggiano placide qui sotto al riparo di baie minuscole proiettano le loro ombre sul fondale chiaro che è il frutto ingannevole degli scarti della miniera. Quando nel cuore della scogliera c'era ancora l'inferno l'acqua là sotto era di tutti i colori meno probabili per un mare: rosso, giallo, marrone...

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(Il Pan di zucchero      foto di Roberto Orlando)

Oggi invece è del colore che ti aspetti in un paradiso, specialmente terrestre: prevalentemente azzurro, in tutte le sue sfumature, che vanno così di moda. Per scoprire tutti i colori del paradiso però è meglio prendere la barca. Dài, non per riattraversare lo Stige, lo sai che lì indietro non si torna. Qui la barca è nel porto turistico di Buggerru e si va per grotte, faraglioni, falesie, pan di zucchero e uova di dinosauro. Non ci credi? Dici che all'inferno ho perso il senno? No, quello mi è successo sulla Luna, pensaci...

La barca è in realtà un gommone grande, bianco, con il comfort di una limousine, veloce, governato da un giovane nocchiero con gli occhiali a specchio blu. Si chiama Sandro Chessa ed è il patron del Mormora Tours che ha una sua filosofia a proposito di pesci: è un teorico, passami la definizione, del "fish watching": ovvero non ti accompagno a pescare, ma a vedere i pesci nei loro fondali. Anche oggi è previsto un po' di snorkeling, ma niente di più impegnativo. Dunque rotta verso sud. Zero vento, condizione molto rara da queste parti, mare ovviamente liscio. Si passa sotto la scogliera della miniera e si vedono ancora le tracce dei detriti rocciosi gettati inesorabilmente in mare, ma poi basta brutti pensieri. 

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(foto di Roberto Orlando)

C'è la grotta intorno alla quale vive una colonia di spugne rosse; c'è la grotta dove scintillano i contorni di una figura di donna dipinta dal mare: non è molto grande, ma è davvero deliziosa; c'è la grotta dove la graffite colora d'oro quasi tutta la volta ed è un effetto davvero fantastico; c'è la grotta del gatto dove effettivamente quando esci l'imboccatura vista controluce ha proprio la forma di un gatto; c'è la grotta il cui ingresso ha le sembianze della Sardegna settentrionale e tutti a bordo giocano a indicare Olbia, Stintino, Porto Torres, Capo d'Orso...; e non può certo mancare la grotta dove l'acqua è così blu che più blu non si può, soprattutto di mattina.

Di grotta in grotta si naviga verso Cala Domestica: durante la traversata il nocchiero manovra il gommone per fare in modo che la torre d'avvistamento che domina la cala si inquadri esattamente nella luce di un arco naturale scolpito nella scogliera: suggestivo e non facile da vedere perché qui il mare non sta fermo mai, davvero. Ma oggi fa l'eccezione che auspicavo e il gioco riesce bene. A Cala Domestica - preceduta da una spiaggetta per pochi intimi, Cala Lunga - i manufatti più evidenti, oltre alle strutture in legno di un paio di bar, sono i ruderi dei vecchi edifici minerari. Rendono l'ambiente assurdo, richiamano quel confine manicheo di cui ti ho scritto prima fino alla noia. Ma la sabbia è così fine, bianca, e il mare così trasparente, azzurro, che dopo pochi minuti si amalgama tutto, nei pensieri e infine persino alla vista.

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(La grotta sarda      foto di Roberto Orlando)

Qui si arriva anche via terra: sentieri di difficiltà varie per gli escursionisti, parcheggio a pagamento per i bagnanti standard. A noi che andiamo per mare non resta che goderci lo spettacolo delle falesie: qui è un paradiso anche per i geologi e dopo il gran lavoro fatto dal fuoco della Terra, il mare e il vento si sono divertiti a stimolare la fantasia di noi umani con le forme più bizzarre, e le sorprese non finiscono mai. Ad esempio qui è molto nota la roccia dell'elefante: un testone gigantesco con la sua bella proboscide, le zanne, le orbite degli occhi molto pronunciate, le grandi orecchie. Da sola basterebbe a stupirti e invece proprio l'estate scorsa un paio di bambini si sono accorti per la prima volta che gli elefanti in realtà sono due: l'altro è proprio sopra, più piccolo, certo, ma a figura intera. Poco più in là invece c'è una roccia torreggiante: quando ci avviciniamo, a bordo del gommone un giovanotto prova a dire che sembra un faro, le risate lo zittiscono. 

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(La grotta del gatto       foto di Roberto Orlando)

Da qui al Pan di Zucchero, che sembra un panettone ma è il faraglione più alto del Mediterraneo con i suoi 130 metri di altezza, è questione di un attimo con il gommone che fila sul mare piatto. Qui è tutto suggestione: si passa sotto un altro arco naturale e ti sembra di essere in uno spot di profumi famosi; il Pan di Zucchero è in mezzo al mare eppure c'è chi fa alpinismo, con tanto di via ferrata; i minatori avevano scavato anche dentro il "panettone" con il risultato di risvegliare un Godzilla dal suo sonno millenario, almeno nell'immaginazione dei sub, i quali a una ventina di metri di profondità possono vedere i resti degli scarti minerari levigati dal mare fino a diventare "uova di dinosauro". 

Il gran finale del viaggio in questo paradiso marino è Porto Flavia, un'altra miniera, o meglio il suo sbocco al mare: è composto da due gallerie sovrapposte che consentivano di trasportare zinco e piombo dalla miniera direttamente nella stiva delle grandi navi da trasporto, attraccate a filo della scogliera a picco, al riparo dal maestrale. Prima, siamo nel 1924, il minerale veniva caricato sulle barche a vela latina e trasferito a Carloforte, unico approdo adatto ai grandi vascelli che facevano la spola con la Francia. L'idea di cambiare metodo fu del direttore della miniera, Cesare Vecelli. Flavia era sua figlia. E l'idea era questa: zinco e piombo venivano caricati su un trenino, raggiunta la galleria superiore il contenuto dei vagoncini veniva riversato per ribaltamento in nove grandi silos scavati nella roccia e da lì finiva nella galleria sottostante, dove un nastro trasportatore lo trasferiva nella stiva della nave. Molto ingegnoso, un'opera che all'epoca diventò vanto nazionale da sbandierare in tutta Europa. Oggi invece è uno dei posti più originali che esistano sulla faccia della Terra.

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(La ferrata del Pan di zucchero             foto di Roberto Orlando)

Il viaggio per mare nel paradiso costiero dura un paio d'ore e costa 30 euro. Una doccia, un riposino ed è tempo di andare a cena. Se tu chiedi quale siano i ristoranti "garantiti" la risposta è univoca: "Qui si mangia bene ovunque". Confermo, così come posso assicurare che qui esiste una sola qualità di pesce: quello che pescano i pescatori del posto. Io sono stato soltanto in quattro ristoranti e questi pertanto mi limito a segnalarti: "La Privilegiata", il nome è già un programma, si trova in centro, propone i ravioli di pesce della casa e a mezzogiorno ha un menu turistico semplice ma eccellente; "L'Ancora" di Portixeddu, vista su tutta l'enorme spiaggia di San Nicolò, mi ha fatto un'orata alla Vernaccia indimenticabile; l'agriturismo Sa Rocca ti toglie la fame per i prossimi cinque anni e ti fa assaggiare tantissime specialità sarde preparate molto bene; il "Nido dell'Aquila" infine ti fa dimenticare l'inferno che fu e persino il paradiso contemporaneo con i suoi spaghetti ai ricci di mare. Chi volesse cenare a casa può scegliere altre due soluzioni: la prima è ordinare un maialino al forno nella macelleria che si trova subito a destra entrando nel mercato comunale; l'altra è quella di prendere qualche deliziosa pizzetta sarda e dolci tipici nel panificio pasticceria che sta proprio di fronte alla caserma dei carabinieri. 


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(La grotta d'oro       foto di Roberto Orlando)

Ti consiglio di affrettarti a visitare Buggerru, perché qui a quanto pare la Storia va di corsa: dal 1864 a oggi è successo di tutto, si può dire. Oggi è un paradiso naturale, la gentilezza e l'accoglienza dei turisti sono davvero degne di nota. Poi sono curioso di vedere come andrà a finire, ma di sicuro ci tornerò presto.

(2 - fine)


*ROBERTO ORLANDO (Nato a Genova in agosto, giornalista professionista dal 1983. Ultimo capocronista del Lavoro. Dopo uno scombinato tour postrisorgimentale che lo conduce in molte redazioni di Repubblica è rientrato tra i moli della Lanterna. Viaggia, fotografa e scrive. Meno di quanto vorrebbe)

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