Brasile, il Carnevale lungo un anno del calamaro Lula

di FLAVIO FUSI*

Il carnevale più lungo nella storia del Brasile inizia in un giorno luminoso dell’ottobre  2002 sulla passeggiata a mare davanti alla spiaggia di Ipanema, il cuore di Rio de Janeiro. Migliaia e migliaia di persone, una folla festante che corre, canta e si abbraccia, si sbanda, riempie l’avenida e straripa sulla sabbia bianca del litorale dove si infrangono le placide onde dell’oceano.  Il traffico è bloccato, i clacson impazziti, la metropoli ribolle dal centro degli affari e del ceto medio fino alle favelas arrampicate sui contrafforti che stringono d’assedio la città. Un ronzio che cresce di intensità, un coro sommesso di alveare avverte che anche lì - tra tuguri fango e rifiuti -  fanno festa  gli sconfitti di ogni elezione.

Ripreso dalla sua telecamera, uno sconosciuto reporter mi stringe in un improvviso abbraccio e mi bacia in faccia: una due, tre volte. “Lula ha vinto – mi urla addosso – Lula sarà il nostro presidente.”  Che si scriva, dunque, sulla stampa locale e internazionale: quello che nessuno si aspettava è successo. Luiz Inàcio Lula da Silva, il metalmeccanico, il figlio del Brasile operaio, il barbuto, il sindacalista,  l’eterno secondo,  ha finalmente stracciato il suo avversario al primo turno delle elezioni presidenziali.


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E Rio così lo saluta, improvvisando un carnevale anticipato che è come un grido di sollievo, dopo tanta attesa e troppe delusioni. Qui, sul lungomare, si apparecchia ora dopo ora un festoso carnevale politico con le maschere di tutti i protagonisti della scena elettorale: dal rivale sconfitto Josè Serra al presidente corrotto e cacciato con infamia, Fernando Collor de Mello, fino al predecessore di Lula, l’onesto e raffinato economista Fernando Henrique Cardoso.  Scorre nei balli scatenati, nei fiumi di birra, nelle improvvisazioni musicali delle bande di strada, quel pezzo di storia brasiliana che ha sempre riservato il potere al club esclusivo dei ricchi e potenti.  Fino a oggi: fino a questo tosto, barbuto, implacabile, sorridente figlio delle fabbriche e dei quartieri popolari.

La seconda ola del più lungo carnevale della storia brasiliana si scarica nel centro di San Paolo pochi giorni dopo, il 27 ottobre del 2002, quando il ballottaggio certifica la vittoria a valanga del candidato della sinistra con oltre 52 milioni di voti, il numero più alto di suffragi per un presidente nella storia democratica del Brasile.  Per la festa, Lula sceglie la sua città, il cuore pulsante della classe operaia, la metropoli moderna e contraddittoria di un Paese grande come un continente. Più Rio de Janeiro è languida, musicale e a volte torpida, più San Paolo è elettrica, dinamica, futurista. Velocità, sintesi, modernità: qui la festa è festa di giovani e festa di colori, nelle cento sfumature del Brasile meticcio, terra di immigrati, di dinastie indigene  e di ardite mescolanze.  


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Nella notte del trionfo, sotto il palco innalzato a un vertice dell’Avenida Paulista, si raccolgono in cinquantamila: una marea che si gonfia in attesa del vincitore.   Anche qui come a Rio non mancano le maschere carnevalesche, l’ironia e la musica, i simboli della gioia di vivere brasiliana. Ma nelle prime parole di Lula c’è già tutto il  programma politico del nuovo leader:  “Il mercato deve sapere che il popolo brasiliano ha bisogno di mangiare tre volte al giorno.” E nella notte paulista un boato accoglie questa elementare verità che nessun presidente si è mai azzardato a rivelare.  

Il carnevale di Rio – il vero carnevale delle cartoline illustrate e dei pacchetti turistici -  sarà in quell’anno 2003 il più politico della storia del Brasile: quasi una continuazione  della festa per Lula iniziata nei giorni straordinari dell’ottobre. All’inizio di marzo, nel Sambodromo sorvegliato da decine di migliaia di agenti e militari, le quattordici scuole di samba rendono omaggio alla grande novità di un uomo di sinistra al Planalto di Brasilia e alla speranza di un Paese finalmente diverso. Un Brasile  – come dice il nuovo presidente – che ha votato “senza paura di essere felice.

Le maschere, ancora una volta.  Tra Saddam Hussein, George Bush, Osama Bin Laden, i coreografi del grande evento scelgono in maggioranza il profilo di Luiz Inàcio da Silva, detto Lula: il “calamaro”. Come sempre nei Carnevali di tutto il mondo - e in modo straordinario nel Carnevale di Rio -  la festa, il ballo, lo sberleffo e l’azzardo sessuale fanno da cornice a un riassunto storico dell’anno ormai trascorso, con i suoi temi, le sue ossessioni,  i suoi protagonisti. Nell’edizione del 2003 non c’è Lula in carne ed ossa – che ha scelto la sobrietà dell’assenza – ma una statua del nuovo presidente alta quasi dieci metri, e un banchetto popolare dedicato al progetto Fome zero (“Fame zero”) che è tra le prime iniziative dell’ amministrazione.  


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Questo è infatti il biglietto da visita di Lula: un grande e ambizioso programma sociale, battezzato Bolsa Familìa, grazie al quale milioni di brasiliani miglioreranno sensibilmente la propria condizione di vita e milioni di famiglie saranno  sottratte alla fame e alla miseria. L’alba del terzo millennio coincide per il grande Paese con l’avvio di uno straordinario sforzo di modernizzazione e sviluppo che al termine dell’esperienza  di Lula porterà il ceto medio brasiliano – spina dorsale di qualunque moderna democrazia – a raggiungere il 54 per cento dell’ intera popolazione.

Nel  corso dei due mandati al vertice del potere, Lula partecipò in persona a un solo Carnevale, facendo il tifo per la sua scuola di samba preferita, la Beija-Flor.  Successe il 23 febbraio del 2009, quando dal palco -  verso la quattro di mattina – il presidente lanciò al pubblico che lo salutava manciate di preservativi  (“camisinhas”). Un gesto di grande impatto: “fare sesso sicuro” è infatti uno degli slogan più ripetuti dal governo brasiliano durante il periodo del Carnevale. E le autorità locali accompagnano l’invito distribuendo centinaia di migliaia di profilattici gratuiti nelle strade di Rio e delle altre città investite dall’onda carnevalesca. Le cronache dell’epoca raccontano che il gesto fu suggerito dalla first lady, Marisa Leticia, delusa dal fatto che nel kit riservato agli ospiti del governo non c’erano confezioni di preservativi. 

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Altri tempi, altre glorie. Nei giorni del Carnevale 2009, Lula era al culmine della sua parabola politica, con un indice di popolarità  pari all’84 per cento, e i tempi duri dovevano ancora arrivare.  Nei primi mesi del 2003 siamo soltanto all’inizio della grande avventura.  A noi spettatori di quei giorni, il compito di cogliere in questa sarabanda il segno dei tempi, mentre nello stadio di Rio tra i personaggi protagonisti sfilano le sagome inedite di mendicanti, meninos di strada, prostitute e operai. E un avvertimento, quando  nel memento del Carnevale – scherzoso ma non troppo -   uno dei carri allegorici trascina  un gigante di piombo, legato e imbavagliato, a simbolizzare i ventuno anni del regime militare e il pericolo di un ritorno dei fantasmi del passato.   


*FLAVIO FUSI (Ha imparato il mestiere alla vecchia scuola de L’Unità e per la Rai ha consumato le suole dietro ogni crisi internazionale del Secolo breve e oltre. Non ha mai vinto premi giornalistici e non ha mai ricevuto aumenti ad personam. Ha scritto “Cronache infedeli” - Edizioni Voland - e “Campi di fragole per sempre” - Edizioni Effigi -. Medita e scrive in Maremma)

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