Benvenuti a Napoli, dove il mondo è fatto a scale

di TINA PANE*

Salire e scendere sono i verbi più usati a Napoli, al posto di andare e venire.

Si sale al Vomero, a Capodimonte o a Posillipo, si scende al centro storico, al Plebiscito o al Lungomare.

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C’è un sottinteso di fatica, di difficoltà, in questi terminologia che è talmente acquisita dai residenti da non farci quasi più caso, ma che è riflessa anche nella toponomastica, che conta un numero di strade definite salite tre volte maggiore di quelle definite discese.

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(Scale di piazzetta Trinità alla Cesarea)


Napoli come città in salita in tutti i sensi è un tema che torna anche in alcune tra le più malinconiche canzoni napoletane, da Scalinatella (1948, di Cioffi e Bonagura, bellissima la recente versione di Gragnaniello) a Saglie saglie (1977, di Daniele e Troisi), e in questi casi i motivi per salire e scendere sono rispettivamente l’amore e il lavoro.


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(Scala di Montesanto)


Bastano questi pochi esempi per capire come lo spostamento all’interno di una città di mare stretta tra le colline sia un concetto con riverberi che vanno dall’urbanistica alla musica, e basta guardarsi un poco intorno, anche da turisti frettolosi, per rendersi conto che le scale - in ogni loro più varia articolazione - sono state fin dall’antichità la principale soluzione per attraversare una città che non appena iniziò a espandersi oltre la pianura, nel Medio Evo, diventò una città di salite e discese.

E oggi che la città è stretta come ieri nella morsa del traffico, ma più di ieri si parla di mobilità sostenibile - al momento rappresentata solo da bici e monopattini elettrici che si contendono con disinvoltura pari a quella di auto e scooter le strade e anche i marciapiedi -  diventa utile fare un discorso sulle scale.


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(Gradini Cacciottoli)


Lo faremo iniziando da un bel libro uscito per la prima volta nel 2000 e ristampato pochi anni fa: Napoli in salita e discesa – Percorso alla scoperta delle scale napoletane, a cura di Gabriella Guida, foto di Sergio Siano, edizioni Intra Moenia, € 14,90.

“Napule è tutta rampe, scalinate, /scale, gradune, grade/ gradiatelle, /sagliute, scese, cupe, calate /vicule ‘e coppa, ‘e sotto, viculilli, /vicule stuorte / vicule cecate”. I versi di Carlo Bernari usati come esergo introducono subito alla questione: a Napoli “nei secoli si è costituito un sistema complesso di strade pedonali, vero e proprio capolavoro urbanistico, composto da oltre 200 percorsi tra 135 scale e 69 gradonate”. Ma subito l’autrice avverte che con l’avvento delle automobili (e l’apertura della tangenziale a partire dal 1972), questi percorsi “hanno subito un graduale abbandono perdendo la loro funzione di collegamento”.


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(Napoli in salita e discesa a cura di Gabriella Guida - foto di Sergio Siano - edizioni Intra Moenia, euro 14,90)


Le scale di Napoli racchiudono “il meglio dell’identità della città e della nostra storia” eppure molto spesso sono gli stessi Napoletani a non conoscerle o a non prenderle in considerazione come percorsi alternativi, da praticare almeno in discesa. Riqualificazione e messa in sicurezza dei percorsi, illuminazione controllo e pulizia, segnaletica, miglioramento del raccordo con parchi e fermate del servizio pubblico: non bisogna essere un urbanista per capire come incentivare l’uso di questi percorsi che hanno valenza storica ma anche ambientale.

Intanto, a uso dei turisti e degli stessi residenti, proviamo con l’aiuto di questo prezioso librettino a scoprire almeno le scale più famose.


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(Pedamentina di San Martino)


La Pedamentina di San Martino “è tra i più antichi camminamenti riconoscibili fin dalle prime vedute cartografiche della città”. Collega la parte più alta della collina del Vomero, dove stanno la Certosa di San Martino e Castel sant’Elmo (entrambi da non perdere!), con la zona di Montesanto, rutilante mercato a cielo aperto che sfocia su via Toledo. È un percorso di oltre 400 gradini, che si interrompe al Corso Vittorio Emanuele, e può essere ripreso dopo soli duecento metri, con la monumentale Scala di Montesanto. Da qualche anno molti turisti la percorrono in discesa, avendo utilizzato una delle tre funicolari per la salita, e offre scorci panoramici veramente belli sulla città svelando case basse, terrazzini e ameni pergolati. Durante la pandemia, la Pedamentina era diventata il punto d’incontro dei padroni di cani, che con questa scusa socializzavano, e anche una zona dove incontrarsi con pochi amici, di nascosto, portandosi appresso una bottiglia di vino per conforto.


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(Petraio)


Il Petraio, anticamente chiamato Imbrecciata (dal nome della pavimentazione con ciottoli detti in dialetto brecce) ricalca un antico alveo torrentizio e collega il Vomero con il quartiere Chiaia. A percorrerlo, soprattutto nella parte alta, pare di stare in un borgo dimenticato dal tempo, con le sue case bianche e basse, gli slarghi ariosi e tanti piccoli spazi di verde amorevolmente curati dai residenti. Poco prima di raggiungere il solito Corso Vittorio Emanuele (aperto nel 1853 e considerato la prima tangenziale di Napoli), la strada si snoda in due rampe e poi prosegue con le lunghe scale di Santa Maria Apparente che sfociano nel cuore della Napoli bene, via dei Mille. Un ultimo salto di quota con i Gradini di Via Bausan e si arriva alla Villa Comunale e al Lungomare.


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(Scala Regina Jolanda)


La Scalinata di Capodimonte, che si erge scenografica alla fine di Corso Amedeo di Savoia per spuntare in un trafficato e insalubre incrocio a due passi dall’ingresso principale del Museo e Real Bosco di Capodimonte (altra tappa imperdibile) è la scala di rappresentanza della collina di Capodimonte, bella ma poco usata. A differenza di quelle veramente vissute che dal quartiere dei Vergini e della Sanità salgono alla collina, che era tutta boschiva quando Carlo di Borbone decise di farsi costruire la sua Reggia e casino di caccia. Via dei Cristallini, che finisce nei Gradini Capodimonte, salita Miradois con la scalinata che porta fino all’Osservatorio Astronomico, la salita del Moiariello dominata dall’alta Torre del Palasciano sono tutti percorsi ricchi di storia e di altrettanto degrado, umano e ambientale. Percorsi che alternano abbandono e sovraffollamento, e che è consigliabile percorrere in compagnia di una guida.


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(Gaiola)


Sulla collina di Posillipo, luogo ameno per eccellenza, le scale più famose sono quelle alla fine della stradina pedonale che conduce alla Gaiola, piccolo borgo di pescatori con minuscola spiaggetta da dove si può accedere in maniera contingentata agli scogli che fanno parte dell’omonima Area protetta, e le scale che portano alla Fenestella di Marechiaro, lungo le quali è tutto un fiorire di ristoranti e tavolini. Conserva una sua antica impronta rurale la salita Villanova, invece, che collega via del Marzano a via Posillipo. Un piccolo nucleo urbano, un casale appunto, con case basse che si affacciano su cortili lungo una scalinata che prima si sviluppa comoda tra orti e vigne e poi diventa sempre più ripida, stretta e scoscesa man mano che si avvina a via Posillipo.


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(Villanova)


Ma questi sono solo piccoli suggerimenti, utili ai turisti che volessero cogliere un altro racconto della città e agli stessi Napoletani che per pigrizia o timore hanno abbandonato l’uso delle scale negli spostamenti quotidiani. Il seguito alla prossima puntata.


* TINA PANE (Napoli, 1962. Una laurea, un tesserino da pubblicista e un esodo incentivato da un lavoro per caso durato 30 anni. Ora libera: di camminare, fotografare, programmare viaggi anche brevissimi e vicini, scrivere di cose belle e di memorie)



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