Benvenuti a Chicago, movie set della deep America

di VITTORIO ZAMBARDINO*

La prima volta che sono arrivato a Chicago era il 1994, i giornali avevano ancora i soldi e così fui prenotato al Four Seasons (c’era l’inaugurazione dei mondiali di calcio al Soldier Field). Mi chiesero subito se volevo fare “il giro del film”. Intendevano il Fuggitivo, con Harrison Ford, uscito l’anno prima. Passavi anche per la lavanderia dell’albergo, ma soprattutto ti mettevano sulla L, il tratto di metro che disegna un rettangolo nel cuore della città (incrociando varie linee) ad altezza di finestra, cosa che si vede, il treno nelle case, anche nei Blues Brothers, il film più chicagoano che io conosca, ma non li conosco tutti. the beanjpg

Questa cosa del Loop (L sta per Loop) dovete farla, subito, altrimenti non siete a Chicago, non cogliete la sua voglia di farsi mito. Fondamentale. Come è giusto pagare il tributo del giro in barca dei canali e dei grattacieli. Corsi d’acqua, autostrade d’acqua, metallo, costruzione: è la storia costitutiva di Chicago. Oltre a un freddo mascalzone d’inverno e a un caldo demenziale in estate (cani con galoscine protettive).

Bisogna vedere la Union Station per ricordarvi degli Intoccabili. Nel film la stazione pare questa roba immensa, cattedrale di marmo, e invece è una normale stazione, per dire, più piccola delle centrale di Milano, per treni di media e lunga percorrenza. Dove bastano i nomi delle destinazioni sui monitor per capire che Chicago è il cuore dell’America profonda, la porta di ogni America destinata a non piacerci o ad affascinarci, da estranei. Insomma non quell’ America per sciacquette filoeuropee che è New York. Oh, non dimentichiamo la LaSalle Station di “Intrigo Internazionale”, dove purtroppo da cinquant’anni si aggirano esausti pendolari e non più Cary Grant con il fedora di Borsalino in mano: Chicago è sempre così, disvelamento della “trivialità” del mito, mito e caduta.chicago-1535678_960_720jpg

Se sei a Chicago devi passarci un fine settimana. Dalle stazioni e dalle autostrade escono folle di midwesterner in gita. Culi enormi da alimentazione abusiva, jeans aderenti sui medesimi, con effetti felliniani, alito di cipolla da hamburger o “onion rings” fritti, una cosa che in metropolitana può uccidere. Ma sono persone con una grande dedizione alla cultura e incredibile educazione di massa: qui la folla non si lascia dietro una scia di immondizia come in Italia, urla moderatamente, a bassa voce e ha un grande rispetto per ciò che sta vedendo. A Chicago ci sono palazzi belli e brutti ma non ci ho mai visto una scritta di innamorati fatta col pennarello o il coltellino come a Roma.

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Impossibile, per la folla, entrare nei musei della città - The Art Institute merita - ma sempre possibile vagare fra le piazze del centro dove per ogni location c’è un opera d’arte. Nella piazza dove finisce la fuga dei Blues Brothers c’è Picasso. Opere all’aperto, che vivono dentro la città, rendendole belle laddove in realtà sono spesso messe sotto ombra da una pesante edilizia aziendale di vetri e cemento.IMG_6132JPG

Nel Millennium Park, il parco che spezza la fuga del Magnificent Mile (shopping),  Cloud Gate, il “fagiolo” di Anish Kapoor, vigila sui giochi dei bambini e il gioco è che ti ci devi specchiare per vederti riflesso come in uno specchio deformante della folla. Qui c’è ideologia: l’idea che lo spazio comune è di tutti e tutti noi siamo una comunità. Ahimè non è così, di comunità non se ne respira molta, la durezza della vita è ovunque. Sempre in zona, non potete, avendo visto gli Intoccabili, non visitare il Chicago Opera Theater. Non ci sono mazze da baseball in giro, tranquilli. Assistere agli spettacoli è fuori questione, a meno che non abbiate prenotato settimane prima (si fa sul web). Preparate degli spiccioli, ci sono molti mendicanti e suonatori di strada, questi ultimi hanno una regolare licenza comunale da mostrarvi, se vi prende la curiosità da sbirro.IMG_6084JPG

 Ma io odio essere turista, perché ti taglia fuori dalla vita. E allora mi son fatto portare alla University of Chicago, uno dei laboratori del progetto Manhattan, quello che si occupò del Plutonio (il Met, Metallurgical Laboratory) è ricordato da una lapide. Ma non c’è più. C’è invece l’università, con la sua biblioteca robotizzata dove i libri  emergono da decine di metri sotto terra grazie a braccia automatizzate che ve li portano proprio davanti. Dove si studia sotto una volta gotica, sala di lettura aperta 24 ore al giorno per chi deve consegnare un lavoro e dove inevitabilmente c’è anche chi si addormenta sulle poltrone della caffetteria per riposare un po’.  Le scadenze sono infernali per chi studia qui. Non è un paese per fuori corso.

All’uscita dall’università meglio non sbagliare strada, finisci in una zona che ricorda molto la serie “The Wire” (ma quella era Baltimora) e dove ti servirebbe molto aver seguito un corso di sopravvivenza a Scampia, che tutto sommato è un posto più tranquillo di questo. Sul sito del Chicago Tribune si trovano anche le “homicide map”, le statistiche delle zone a maggior numero di omicidi, molto utile il giornalismo dei  dati, a volte (ammazza molto anche la polizia).3e9da6ebc7f3147d317f083d4c7be59ajpg

Occhio al clima, al di là degli estremi stagionali c'è la sua incredibile mutevolezza. E al lago, questa immensa pianura d'acqua sulla quale corrono i venti del nord, ancora piccola rispetto ai grandi Laghi che sono verso il Polo. Il "polar vortex" invernale, che quando si presenta può arrivare a paralizzare la città, di certo a gelarla, è l'esperienza del Polo senza la morte per assideramento. Sono quelle le giornate nelle quali i McDonald's permettono ai senza tetto di stare anche molte ore all'interno del ristorante, e passano loro anche un po' di caffè bollente. Una natura severa, questa. Città nata nel cuore del Golden Funnel, l'imbuto d'oro, rete di autostrade d'acqua lungo le quali si facevano scendere chiatte di merci e tronchi dal Canada verso il mare, ma anche spiaggia e bagni per tutti. 

Senza il lago Michigan, Chicago non solo non sarebbe ciò che è ma forse non sarebbe mai nata, perché ne sarebbero mancati gli stimoli commerciali. E l'acqua. Grazie ad uno dei primi e maggiori impianti di potabilizzazione, dai rubinetti esce tutta l'acqua potabile e per usi civili che si usa in città. Tanta acqua, una volta tanto la vostra lunga doccia non si accompagnerà all'idea di stare assetando il pianeta. Ma, ahimé, acqua pessima perché resa bevibile solo grazie all'uso del cloro. Tanto cloro. In poche parole, avrete la sensazione di star bevendo da una piscina. E quel sapore ti perseguita in cucina e nei drink che dovrebbero saper d'altro, perché anche il ghiaccio è ottenuto da quell'acqua (suggerimento: chiedere bevande senza ghiaccio. Mica è facile, bisogna ripetere il concetto varie volte, qui è quasi un'eresia bere senza ghiaccio). Però quel sapore è Chicago più di ogni altra cosa, come l'odore dello zolfo in un vulcano.

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Potreste cancellare - e lo farete, ne sono certo - tutto ciò che vi ho detto finora, in cambio di una sola vera esperienza di vita, che a Chicago si fa con le orecchie. Come grande città si sviluppa con l’ondata migratoria dei neri che a guerra civile finita salgono dal sud a cercare lavoro. E sono ancora là. Uomini e donne statuarie, per lo più battisti, che sono proprio come quelli della funzione di “Tu hai visto la luce” dei Blues Brothers. Quando parlano, anche in autobus o per strada, hanno quella cantilena che è una musica nella quale ci si può adagiare socchiudendo gli occhi,  e vedere i campi di cotone, il caldo e il sapore e la storia dell’America, uno scantinato con uomini con i sassofoni e molto fumo di sigaretta.

Post scriptum

A me di visitare Chicago poi interessa il giusto, ma voi fatelo. Io ci vado regolarmente - ci andavo prima della pandemia, adesso non so - perché ci ha messo radici mio figlio con sua moglie. La “mia” Chicago è Lakeview, dove abitano i ragazzi, e dove si sono sposati, nel Lincoln Park, sul bordo di un laghetto in un giorno di fine estate. Uno dei più felici della mia vita.


*VITTORIO ZAMBARDINO (1951.  Ha fatto il giornalista. Ora è vecchio. Si è occupato in ordine cronologico di politica, di sport e di cultura digitale. Non è credente, ma è tifoso del Napoli. Ama il suo cane)



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