ALBANIA - MACEDONIA / 4 Da Saranda all'ardesia di Argirocastro

di LUISA PECE*

Saranda ci dà il buongiorno con un cielo grigiolino e parecchia umidità, dopo ore di pioggia torrenziale. In lontananza, molto offuscata, si intravede Corfù.


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(Foto di Luisa Pece)


La strada è abbastanza agevole e il panorama, sotto un cielo bluissimo, incantevole.


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(Foto di Luisa Pece)

Non mancano le onnipresenti pecore – che a un conteggio approssimativo sono dieci volte più degli attuali abitanti dell’Albania…


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(Foto di Luisa Pece)


Dopo pochi chilometri, eccoci a Mesopotam, frazione del comune di Finiq, famosa per il monastero e la chiesa ortodossa dedicata a Shën Kollit (San Nicola, XIII secolo). Purtroppo la chiesa è chiusa per restauro da tempo immemorabile e l’interno non è visitabile, ma l’esterno è ricco di meravigliosi bassorilievi.


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(Foto di Bledi Bakia)

 

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(Foto di Bledi Bakia)


Ci rimettiamo in viaggio e arriviamo a Labova e Kryqit (Labova della Croce), nella valle del fiume Drino, con la sua splendida chiesa bizantina dedicata a Santa Maria (si festeggia l’8 dicembre). Fu la prima chiesa ortodossa edificata nei Balcani, forse nel XIII secolo anche se si parla di un primo insediamento ai tempi dell’imperatore Giustiniano, nel V secolo. Si narra che al suo interno fosse conservato un frammento della vera Croce – che, stando al numero di reliquie di questo tipo che sono in giro per il mondo, avrebbe dovuto avere dimensioni ciclopiche. Le tre navate interne riprendono la figura della Croce, di qui il nome.


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(Foto di Luisa Pece)


Appena arrivati, telefoniamo al numero che vediamo segnalato sulla porta d’ingresso del complesso architettonico e ci viene ad aprire una signora in ciabatte e grembiule che, gentilissima, ci conduce lungo il vialetto d’ingresso fino al magnifico nartece ombreggiato da alti cipressi. All’interno, oltre a una ricchissima iconostasi, si distinguono vari livelli di affreschi. L’icona che mi è piaciuta di più è quella di San Giorgio che trafigge il drago


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(Foto di Luisa Pece)


L’interno è silenzioso, mistico, con un sentore non spiacevole di polvere. Dopo la visita, comprate e accese le consuete candele, la signora ci invita a seguirla nel suo bar. Ordiniamo il solito caffè (ho bevuto più caffè in questi ultimi quattro anni di frequentazioni albanesi che in tutte le mie vite precedenti) e la signora ci porta un piattino con due oggetti commestibili non identificati, uno verdino e l’altro arancione, ricoperti da una specie di sciroppo mieloso. Ce li dividiamo e veniamo invitati a indovinare di cosa si tratta – il primo lo indovino in pochi attimi, non tanto per il sapore (squisito) e la consistenza (quasi gommosa) ma per l’aspetto. E infatti è un kiwi, lavorato secondo antiche tradizioni che però trattavano frutti diversi, ridottissimo come dimensioni (tipo una noce) ma indimenticabile. Per indovinare l’altra leccornia ci mettiamo un po’ di più, andando per tentativi, e per esclusione arriviamo alla soluzione: è un tocchetto di zucca, anche questo lavorato con procedure che richiedono tempo e una pazienza certosina. La prossima volta farò scorta di queste delizie.

Decliniamo con un sorriso la proposta di acquisto di babbucce di lana fatte a mano da lei medesima e riprendiamo la strada verso Argirocastro e Përmet, meta finale della nostra giornata.

Lungo il percorso incontriamo tante cappelline tenute con cura e le iscrizioni ci ricordano che siamo vicini al confine con la Grecia.

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(Foto di Luisa Pece)


Non mancano i bunker, lasciati lì dopo il regime, in mezzo a edifici di abitazione – questo in particolare vicino a una stazione di servizio. Molti vengono usati come magazzini o rifugi per i pastori.


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(Foto di Luisa Pece)


E lì, mentre beviamo qualcosa, ecco tre aquile che volano alte, poi scendono tracciando dei cerchi in aria e a un certo punto si precipitano verso terra, verso chissà quale preda. Non era possibile riprenderle – troppo lontane e troppo veloci. La Terra delle Aquile ha tenuto fede al suo nome.

Dopo circa mezz’ora passiamo vicino a Lazarat, nella prefettura di Argirocastro. Questo villaggio, 3500 abitanti, era il massimo centro di produzione della marijuana albanese (circa 900 tonnellate l’anno), nonché principale fonte di reddito delle famiglie che vi abitavano. Nel 2014 (dopo un servizio de “Le Iene”) il governo albanese ha ordinato la distruzione di tutti i campi coltivati a marijuana, ma a quanto pare non ha proceduto a una riqualificazione dell’economia locale, per cui molti abitanti sono emigrati, altri si sono dati alla pastorizia e il paesino sta morendo, nonostante sia stato inserito nel Progetto 100 Villaggi, che, almeno sulla carta, mirava a migliorare il potenziale di accoglienza turistica di, appunto, tali villaggi. Tuttavia, a quanto si sa, l’economia non è ripartita per niente. Lazarat è comunque rimasto famoso, tanto che mi hanno raccontato che nei coffee-shop di Amsterdam bastava chiedere del Lazarat per avere della cannabis di ottima qualità. Nonostante sia andata parecchie volte ad A’dam (ci vive mia figlia) non lo sapevo (anche perché più che i coffee-shop frequento librerie e baracchine di oljebollen…) ma mi informerò!!!!

Finalmente arriviamo ad Argirocastro, affascinante con i suoi tetti in lastre di ardesia, il castello e dettagli di gusto un po’ rétro…

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(Foto di Luisa Pece)


Un altro punto a favore di questa città è l’oshaf, dolce tipico albanese, una specie di budino con fichi secchi e latte di pecora lavorato come una morbida e invitante ricotta. Centocinquantamila calorie a cucchiaino, ma celestiale. All’uscita del ristorante, veniamo fermati da un signore che ci chiede un’informazione piuttosto banale, evidentemente una scusa per coinvolgerci in una lunga conversazione in cui ci rivela che è curdo e lavora per una non meglio identificata azienda che si occupa di controlli doganali. Siamo stati al gioco perché lui ci incuriosiva almeno quanto noi incuriosivamo lui. Dopo circa un’ora di scambi di opinioni e impressioni ci siamo salutati cordialmente e siamo tuttora convinti che si trattasse di un agente dei servizi segreti. Forse abbiamo visto troppi film…

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*LUISA PECE (nata a Bologna tanto tempo fa, malata di adolescenza senile, appassionata viaggiatrice, attrice per diletto, un passato lavorativo tra i libri - Il Mulino - , poliglotta, curiosa come un gatto rosso)

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