Abu Dhabi, frontman degli Emirati: è qui il lingotto?

di MANUELA CASSARA' e GIOVANNI VIVIANI*

Stop over andando in Kerala, per necessità più che per curiosità. Due notti, ma bastano. E’ una città inutile, Abu Dhabi, turisticamente almeno.  Da’ l’impressione che voglia assomigliare a Dubai, ma riesce solo a sembrare la sorella bruttina. Non stupisce, non incuriosisce, mi espongo a dire  che annoia. Come se gli Sceicchi, per risparmiare, l’avessero commissionata non ai famosi archistar  impegnati a Dubai, ma a studi  d’architettura qualsiasi, da cui lo skyline modesto, meno esaltato. Analisi, la mia, che verrà smentita quando, nella stessa Dubai ,mi hanno spiegato che invece  i soldi, quelli veri e quelli tanti,  sono proprio ad Abu Dhabi. Perché il territorio è più vasto, perché qui sta la maggior parte dei pozzi petroliferi.

Si può dire che Dubai sia il frontman degli Emirati. La cicala che la spende la grana. E che Abu Dhabi la grana la fa.



IL FOTOREPORTAGE

Mai viste così tante Ferrari, fuori dai cancelli di Maranello, quanto ad Abu Dhabi. Nemmeno a Dubai. Ferrari bianche,  forse per fare pendant con l’immacolata kandura, quella lunga tunica inamidata indossata dagli uomini.   Una curiosità fornita dall’amichevole tassista filippino sulla numerazione delle targhe. Credo volesse intrattenerci, e distrarci , perché non riusciva a trovare l’albergo. Interessante. Dai numeri della targa si capisce lo status del proprietario: due, o tre cifre, e la macchina appartiene ad un importante sceicco; quattro, o fai il tassista, o sei il tirapiedi di uno sceicco o magari lavori per uno di loro. Da cinque numeri in poi sei un nessuno.

 AD 4 La Moschea ajpg

(Abu Dhabi     foto di Giovanni Viviani)

Appena atterrati, dopo aver scaricato i bagagli nel nostro molto basico business hotel, unici turisti ed  io unica donna, dopo un’ infruttuosa, frustrante ricerca per comprare una Sim card locale -Etisalat, la locale compagnia telefonica,  blocca l’uso del wi-fi per le chiamate all’estero - abbiamo preso un taxi, unico modo per girare da queste parti. Vuoi perché sfiniti dal caldo e dal jet-lag, vuoi perché questo deserto di cemento non ci ispirava per niente. Camminare con questo caldo, e siamo solo a Febbraio, è fuori discussione. Già in taxi si macinano  solo miglia di noiosi vialoni a più corsie, tra file di mega ville fortificate. Dopo un po' si rinuncia.

E allora vada per la Marina Mall, uno dei numerosi centri commerciali che ha il vantaggio di essere fronte mare. Una costruzione di dimensioni modeste per queste parti, potrebbe essere una delle nostre, ad Agrate,  solo che qui c’è il gotha dello stilismo e dei brand internazionali. Vista una vista tutte, è vero, ma almeno qui fa fresco e possiamo affogarci in ripetute e deliziose limonate alla menta, che consiglio. 

Personalmente avrei preferito se Abu Dhabi fosse rimasta il posto di baracche e fresche frasche di palma che era quando vi si allevavano cammelli e si vendevano datteri.  Prima della scoperta del petrolio, nel 1958. Il fortunato  era lo Sceicco Shakbut, una formichina con scarse visioni imprenditoriali, tanto che preferì tenerselo, il  gruzzoletto di petroldollari. Ma suo fratello Zayed aveva altre ambizioni. Con un golpe familiare si assicura il controllo del patrimonio, e inizia ad investirlo, per poi impegnarsi affinché il suo ruolo passi ai posteri.  Oggi è celebrato su ogni edificio, strada, opera pubblica e quant'altro, costruita o in costruzione. Per esempio la Moschea, che porta il suo nome.

AD 2jpg

(Abu Dhabi       foto di Giovanni Viviani)

Dato che è la più grande del reame, si evince che Sheik Zayed era pio, ma anche megalomane. E che aveva i suoi standard: oro, marmo bianco, lapislazzuli, pietre semi preziose. Ogni dettaglio parla di Dio e del Dio Denaro. La moschea si staglia e brilla nel nulla, come un diamante. Come invito alla sacralità, a distanza, funziona. Tutto è enorme, il tappeto di 5000 mq per dirne uno, talmente enorme che ci hanno lavorato, cito Wikipedia, 38 imprese tra cui la nostrana Impregilo e 3000 operai da tutto il mondo. Copre un’area di 12 ettari, e quando cerchi di attraversare, sotto il solleone, la corte interna di 17.000mq,  su una pavimentazione di marmo candido che oltretutto riflette la luce e il calore come uno specchio, preghi di arrivare viva, senza stramazzare,  fino ai portici. All’entrata, mi hanno impaludata in un chador oversize che mi fa sembrare un calabrone, ma che nasconde, assieme a me, ogni altro potenziale scarrafone. E qui, perdonatemi, donne con velleità femministe,  vorrei spezzare egoisticamente una lancia a favore della palandrana. Per noi, che abbiamo smarrito con gli anni, la silhouette, è confortante farsi fotografare nascoste da questo covone nero. Lo dico a nome di tutte.

D 2jpg

(Dubai      foto di Giovanni Viviani)

Se Abu Dhabi non viene nemmeno presa in considerazione, se non per pura necessità, basta nominare Dubai ad ogni viaggiatore che si rispetti,  ed è garantita la smorfia di sufficienza. Andiamo, cosa ci si va a fare a Dubai, se non lo shopping duty free?  

Io invece un'altra lancia, stavolta a favore di Dubai, vorrei spezzarla. E’ la Las Vegas dell’Architettura.

Un agglomerato di grattacieli che sembrano disegnati per i fumetti di Flash Gordon,

E’ megagalattica, un po' per la skyline futuribile un po' per le distanze, davvero galattiche, tra una zona ed un’ altra.

Ce ne rendiamo conto un venerdi', l’equivalente  della domenica  per i Musulmani, quando fino all'una tutto é chiuso, metropolitana inclusa. Prendiamo un taxi: la Dubai Marina, che sulla cartina sembrava vicina, ci aspetta. Solo che, dopo un’ora a velocità' sostenuta, rimaneva ancora un lontano miraggio, e ci siamo fermati  al Burj Al Khalifa, il grattacielo più alto del mondo, quello poi spudoratamente copiato da Unicredit a Milano, dietro Piazza Gae Aulenti.

D 6jpg

(Dubai     foto di Giovanni Viviani)

Una visita che appaga, sempre che non si soffra di vertigini, ma che si paga €20 a testa, previa coda di 45 minuti per prendere l’ unico ascensore, una scatola nera che viaggia a velocità della luce e che ti scarica al centoventesimo piano,  e questo è seccante, perché i piani in verità sono 200 e mi spettano di diritto, penso. Ma la vista mozzafiato, la panoramica di grattacieli lillipuziani, garantisce la foto d’effetto da mostrare agli amici.

Se salire è penoso, scendere è peggio;  i 45 minuti d’attesa diventano 60, e si sta in fila, rassegnati  e schiacciati tra donne impaludate di nero, accompagnate da bambinelli molto molesti, maschi dall’aria arrogante e sospettosa, gruppi di giapponesi educati e smarriti,  e italiani, al solito, riconoscibili, polemici e rumorosi.

Più abbordabile per le nostre tasche è il ritorno in metro', in realtà una sopraelevata senza conducente, con fermate dalla precisione millimetrica e porte che si aprono in sincrono cronometrico. Pulitissima, cromata a lucido, tale deve rimanere: niente cibo né bevande, nemmeno chewing-gum, pena multe salatissime, come a Singapore. La prima carrozza è per sole donne. E Gianni rischia l’arresto per essere stato sorpreso a fotografarne il riflesso, il riflesso! sui vetri del vagone. Se n’è accorto un signore moralista e impiccione, che l’ha portato al cospetto di due militari, i quali, gentilmente ma altrettanto fermamente, l’hanno costretto  a cancellare la foto incriminata.

Un capolavoro d’ingegneria,  la metropolitana,  ma il giorno dopo, all’ ora di punta, manco fossimo a Roma,  ha dato forfeit. Ha chiuso i battenti ed evacuato, senza spiegazioni di sorta, migliaia di persone, che si sono riversate sui marciapiedi della superstrada, dove sarebbe stato più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago che trovare un taxi.

 D 5jpg

(Dubai     foto di Giovanni Viviani)

Dubai è una città cosmopolita, con il Dio Denaro come unica religione. Scorrono gli alcolici, ci sono ristoranti stellati, alberghi a sette stelle, discoteche e numerosi bar per expat. Le donne straniere girano in shorts e prendisole sbracciati senza rischiare di essere lapidate, eppure alle locali spetta solo la palandrana nera. Si vendicano, le poverette,  spendendo i miliardi dei coniugi, in accessori griffati: borse di Hermes, Gucci e Prada, scarpe di Manolo Blanick, sandali di Laboutin, braccialetti di Bulgari, anelli di Tiffany, orologi  di Rolex e Piaget.  Se si fanno due conti, addosso hanno un bel patrimonio, aggiungiamoci anche gli i-phone ultima generazione dai quali non si separano e si capisce perché i marchi moda siano diventati sempre più ostentati e pacchiani.

Le donne  soddisfatte con lo shopping giornaliero, ma per gli uomini la vita inizia al tramonto. E non manca la scelta. Struscio erotico serale sul lungomare della  Jumeira Beach Residence. Bellezze russe, alte, bionde, seminude e svettanti su tacchi 12, invitano con lo sguardo i tanti giovanottoni sovrappeso che fanno la ronda al volante delle loro BMV e Ferrari custom made. Mi dicono che ogni tanto atterrino anche charter pieni di bellezze greche, che, in un mesetto, possono portare a casa un bel gruzzoletto.

Gruzzoletto che, da queste parti, si spende come niente.   Per dare un’idea: il Bancomat all’Hotel Atlantis, posto da nababbi in fondo al Palm Jumeira, quell’agglomerato a forma di  foglia di palma, stipata di condomini e villette a schiera, rubata granello per granello di sabbia al fondale marino, dà come prelievo minimo 10.000 AED (pari a €2.000) e  per chi si sentisse ancora a corto di spiccioli c’è il dispenser di lingotti e dobloni d’oro. Metti i soldi, scegli la grammatura e invece della merendina ti porti via, per le piccole spese, un lingottino, che può sempre tornare utile per comprare, chessò, la compagnia di una serata.... 


*MANUELA CASSARA’ (Roma 1949, giornalista, ha lavorato unicamente nella moda, scrivendo per settimanali di settore e mensili femminili, per poi dedicarsi al marketing, alla comunicazione e all’ immagine per alcuni importanti marchi. Giramondo fin da ragazza, ama raccontare le sue impressioni e ricordi agli amici e sui social. Sposata con Giovanni Viviani, sui viaggi si sono trovati. Ma in verità  anche sul resto)

*GIOVANNI VIVIANI (Milano 1948, fotografo, nato e cresciuto professionalmente con le testate del Gruppo Condè Nast, ha documentato con i suoi still life i prodotti di molte griffe del Made in Italy. Negli ultimi anni ha curato l’immagine per il marchio Fiorucci. Ha anche lavorato, come ritrattista, per l’Europeo, Vanity Fair e il Venerdì di Repubblica. La sua passione più recente sono le foto di viaggio)


clicca qui per mettere un like sulla nostra pagina Facebook
clicca qui per rilanciare i nostri racconti su Twitter
clicca qui per consultarci su Linkedin
clicca qui per guardarci su Instagram
e.... clicca qui per iscriverti alla nostra newsletter