A Napoli mo' vene Natale, luminarie a go go e le invenzioni di San Gregorio Armeno

di TINA PANE*

A Napoli, oltre ai tanti problemi endemici che la nuova giunta si appresta ad affrontare - e speriamo anche a risolvere - abbiamo quest’anno una questione Natale. Una polemica neanche tanto sotterranea, e che ha conquistato le prime pagine di giornali cittadini e social, sulle luminarie.

Che, per la prima volta a memoria d’uomo, sono state montate in tutte le vie della città (anche le più scalcagnate e periferiche) già dalla fine di settembre e che sono state accese, in un colpo solo nel pomeriggio di sabato 13 novembre.


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Insieme alle luminarie sono stati montati, smontati e rimontati nelle piazze principali e sul lungomare altri soggetti natalizi o pseudo tali, quali babbinatale


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alberi


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carrozze trainate da renne

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 ma anche orsetti, lumaconi e via immaginando, tutti a grandezza innaturale.

Sull’opportunità e gradevolezza di queste installazioni (che qualche maligno sostiene siano la pallida imitazione di quelle Luci d’artista con cui qualche anno fa l’allora sindaco di Salerno De Luca connotò la sua città a Natale, facendola assurgere a meta turistica) si sono formati i due partiti dei favorevoli e dei contrari mentre in pochi, senza essere ascoltati, hanno provato a sostenere la tesi del “va bene così, non perdiamo tempo con le luminarie, i problemi della città sono ben altri”.


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Ma si sa che tra i suoi tanti difetti il Natale ha quello di essere un po’ kitsch, e non si vede perché a Napoli dovrebbe fare eccezione. D’altra parte la stessa via San Gregorio Armeno, culla e fucina dell’arte presepiale, non si sottrae a questa regola e presenta fianco a fianco nelle sue botteghe lavori di alto artigianato e becera paccottiglia.


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Ma San Gregorio Armeno non è solo presepi perché dentro questo toponimo ci stanno, da molti secoli, una via, una chiesa, un convento e un’arte.

San Gregorio è un cardine, che unisce il decumano maggiore (via dei Tribunali) a quello inferiore (via Benedetto Croce, la cosiddetta Spaccanapoli), situato nel cuore antico della città dove un tempo era il foro della greca Neapolis. 


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Qui, e c’è una lapide, vi era pure la casa natale di Ianuarius, San Gennaro.



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San Gregorio è una chiesa, una delle centinaia che affollano il centro storico, ma non una qualunque, perché oltre a un trionfo di barocco e a tele di Luca Giordano custodisce le reliquie di santa Patrizia, venerata compatrona della città, il cui sangue si scioglie il 25 agosto e tutti i martedì.

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San Gregorio è poi un magnifico complesso monastico, costruito intorno al 1000 per accogliere le suore basiliane in fuga da Costantinopoli con le preziose reliquie di San Gregorio e Santa Patrizia. Un posto che davvero gronda di storia, leggende ed esoterismo e dove per un certo periodo l’hanno fatta da padrone le più nobili famiglie italiane (i Borgia, i Carafa, i D’Este, i Caracciolo…), che qui mandavano le loro figlie a fare la carriera di madri badesse.

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Ma San Gregorio è appunto conosciuta in tutto il mondo soprattutto per essere la via dei pastori, il luogo dove l’arte presepiale è nata e dove ogni anno si ripete, fatta eccezione per l’anno scorso, il rito della vendita dei pastori e dei turisti che affollano la strada fino a bloccarla.


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Nelle poche centinaia di metri di questo stretto vicolo in leggera salita, sormontato nella parte superiore dal campanile della chiesa, si ammassano senza soluzione di continuità le botteghe che vendono presepi già finiti ma anche tutto il necessario per allestire il proprio, di  presepe.

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 Da quando nel ‘700 si affermarono i tre momenti salienti da raccontare  (la Natività nella stalla, l’annuncio della buona novella ai pastori, la taverna con i personaggi del popolo)


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 la fantasia dei maestri artigiani si è sbizzarrita su quest’ultimo “quadro” e ancora oggi vengono realizzate statuine sempre più ricche di particolari, gestualità, accessori. Si chiamano per brevità pastori ma sono in realtà panettieri, pizzaioli, lavandaie, pettinatrici, pescivendoli, macellai…soggetti che più di un angelo o di un re magio offrono spunto alla creatività.


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Il presepe ha una storia antichissima, che viene fatta risalire a San Francesco e che attraversa le varie epoche della città; è una sorta di teatro fermo, una chiave di lettura di gusti e abitudini, sarebbe davvero interessante approfondire. Ma è un argomento che non tira, e non un libro, non un pieghevole si potrà trovare nei negozi di San Gregorio Armeno, ottenendo più mercato quei souvenir da due euro il pezzo, come cornicielli portafortuna, maschere di Pulcinella, calamite, palle con dentro il Vesuvio e la neve e l’icona di san Gennaro, realizzata in tutti i materiali e a tutti i prezzi, che ha conosciuto un boom negli ultimi anni.


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Le botteghe per stare sempre aperte s’inventano ogni genere di gadget e oggetti che abbiano a che fare coi simboli della napoletanità, e nei due mesi precedenti il Natale espongono i nuovi soggetti, che riassumono un anno di eventi, tra politica, spettacolo e naturalmente Covid.


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Nella categoria evergreen non mancano le teste di Maradona e degli angioletti, di Totò, Pino Daniele, Massimo Troisi e naturalmente di Eduardo, che non si è mai capito se il presepe gli piaceva oppure no.


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Girare per San Gregorio Armeno è davvero un’esperienza immersiva, con la merce che tappezza ogni singolo centimetro quadro di ripiani, muri, scaffali ed espositori. È un giro di giostra che può durare anche mezza giornata se si vogliono osservare sia i pastori di fattura pregiata, opera di artigiani che si tramandano il mestiere di padre in figlio, maestri della minuteria e dei particolari

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sia i personaggi del momento realizzati in maniera più standardizzata e commerciale, ma che strappano sempre un oh! di ammirazione per la creatività e l’ironia che esprimono.


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Completando il giro con la visita imperdibile di chiesa e monastero, si tornerà a casa soddisfatti. Nel trolley sicuramente qualche acquisto presepiale e nella memoria una girandola di sensazioni: il sacro e il profano, il serio e il grottesco, l’arte e le luminarie. Tutto compreso nel multi brand Natale a Napoli.

 


 * TINA PANE (Napoli, 1962. Una laurea, un tesserino da pubblicista e un esodo incentivato da un lavoro per caso durato 30 anni. Ora libera: di camminare, fotografare, programmare viaggi anche brevissimi e vicini, scrivere di cose belle e di memorie)



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